Skip to content Skip to footer

Del Piero in fuga? Stavolta è solo il mammifero in bianco e nero

Perbacco, che novità: per una volta, le cronache circensi vedono in primo piano la zebra.
Un esemplare maschio di 8 anni di nome Del Piero (chiara la comunanza di maglie a strisce bianche e nere fra il quadrupede e il campione!) ha creato scompiglio nella periferia di Milano, la mia città. Alle 17,30, in una domenica piuttosto nebbiosa, si è visto Del Piero (nella foto tratta dal Corriere della Sera) correre a perdifiato fra le macchine lungo la Vigevanese mettendo a dura prova la perizia degli addestratori Elvis e Derek Coda Prin prima di ottenerne il ritorno al suo habitat abituale all’interno del Circo Barcellona. Motivi della improvvisata ribellione? Sentimentali, hanno scritto con un filo d’indulgenza i cronisti. Del Piero non sopportava la destinazione ad altro circo della sua Zidane, le cui strisce bianche e nere erano rimaste nei suoi sogni di maschio dopo la separazione. Non ho elementi per valutare l’opportunità, da parte dei responsabili, di mettere in atto questa separazione dolorosa per l’animale. Colgo però l’occasione offerta dalla cronaca per fare qualche riflessione sulla presenza della zebra nel circo.
Questo quadrupede dal mantello color Juventus è vissuto in genere, da chi assiste agli spettacoli, come un cavallo che si distingue dagli altri solo per le strisce in bianco e nero. Ricordo un numero molto spettacolare presentato sulla pista del Medrano verso la fine degli anni Settanta da Eros Casartelli. Dodici gli animali in libertà. Davanti i cammelli, un maschio e tre femmine; dietro i cavalli, tutti maschi; infine le zebre, le più difficili da tenere a bada e sempre pronte a scalciare, come ben sapeva qualche stalliere del circo che talvolta era uscito da certi incontri con loro con un piede fra le mani e qualche moccolo destinato al cielo.
Caratterino mica da ridere, la zebra, ma c’è un perchè. Anche se sembra un cavallo che ha rubato la maglia a Del Piero, è un mammifero con una sua storia naturalistica tutta particolare di cui è obbligo tener conto se si vuol capire qualcosa della sua identità. Mi soccorre in questo il ricordo di quando, negli anni Ottanta, mi occupavo del mensile Natura Oggi e ogni tanto ricevevo nella mia stanza un maestro tedesco della fotografia naturalistica di nome Reinhard Kunkel. Aveva casa in Germania ma la sua casa era soprattutto la savana africana, che percorreva con sapienza naturalistica e pazienza teutonica al fine di ottenere, come poi otteneva, testimonianze di situazioni ambientali e di comportamenti animali per cui era considerato un maestro dai suoi stessi colleghi. E ricordo, per venire al dunque, un giorno in cui rovesciò sul mio tavolo una serie di fotografie che dimostravano con eloquenza quale personaggio da levarsi il cappello sia la zebra, soprattutto se mamma. Un erbivoro, certo, e come tale insidiato dai predatori: certo anche quello. Ma provatevi a recar molestia a un cucciolo di zebra quando la madre è presente: l’unica cosa da fare, quando si è così imprudenti e insensibili, è darsela a gambe. Lo stesso Kunkel ricordava di averlo fatto con la sua equipe una volta che avevano cercato di fotografare un cucciolo appena partorito. Una subitanea fuga verso il fuoristrada fu l’unica risorsa per evitare di conoscere come scalcia, e come morde, una zebra su tutte le furie. Ma questo, a pensarci bene, è ancora poca cosa, perché noi uomini ci diamo tante arie ma in natura è facile trovare qualcuno capace di sfasciarci. Il discorso si faceva appassionante quando Kunkel mi mostrava impressionanti cicatrici riscontrate sul mantello di femmine adulte sorprese ad alimentarsi nel verde della savana e sottoposte a ingrandimento in camera oscura. Testimonianze, indubitabili, di aggressioni compiute in altri tempi da leoni e leonesse ai danni di signore in bianco e nero che tuttavia avevano avuto il coraggio e la forza di sottrarre i propri cuccioli e se stesse alla predazione dei grandi felini.
E’ un animale tosto, la zebra, e quando nel circo la si incontra va applaudita per quello che è, e non perchè sembra un cavallo che indossa la maglia di Del Piero. La piccola cronaca qui raccontata ci aiuta a ricordare che il bianco e nero, in natura, tavolta è una medaglia al valore all’insegna della sopravvivenza.
Ruggero Leonardi