di Claudio Salvalaggio
MOSCA – Un clown italiano prima star straniera protagonista di uno spettacolo circense prodotto interamente in Russia. Non succedeva dai tempi della rivoluzione del 1917. E’ un po’ come se Carla Fracci fosse stata invitata all’apice della sua carriera come prima ballerina al Bolshoi in un allestimento a lei interamente dedicato. E’ stato un altro Bolshoi, uno dei due circhi stabili di Mosca, a riservare questo onore, e omaggio, a David Larible, considerato il più grande clown dei nostri giorni: stella per 15 anni del mitico circo americano Ringling Bros and Barnum & Bailey, clown d’oro e d’argento al Festival di Montecarlo, ospite d’onore dei maggiori festival del mondo. Larible fa parte della settima generazione di una famiglia di tradizione circense che, a dispetto di un cognome francese, è italianissima (della veronese Bussolengo).
Poter lavorare da grande con il Circo di Mosca era uno dei suoi sogni da bambino, quando suo padre lo portava a vedere i grandi spettacoli provenienti dall’Unione Sovietica importati in Italia prima da Enis Togni e poi da Walter Nones. Lo ha realizzato in questi ultimi due mesi diventando il protagonista di uno spettacolo di successo che porta il suo nome e dove copre da solo la metà di uno show di oltre due ore dove si alternano acrobati, trapezisti, illusionisti, cani, cavalli, orsi (in moto) e pure un tricheco. Dal giorno del debutto, l’8 marzo, il celebre circo di Lonid Kostiuk, con 3500 posti, una cupola alta 25 metri e piste intercambiali (comprese quella di ghiaccio e un bacino acquatico), è quasi sempre pieno. Ora c’é la fila al botteghino prima dell’ultima esibizione, il 16 aprile. Lo spettacolo è divertissment colorato con costumi sfarzosi, che spazia dal divertimento più sfrenato a magici momenti di poetica malinconia. L’opening, brillante e in stile musical, annuncia con un gruppo di strilloni l’arrivo in città di Larible.
Poi sbuca l’artista in carne ed ossa e comincia a presentare in pista il proprio personaggio alla sua maniera, con poche efficaci gag, usando solo il cappello e la giacca, e coinvolgendo grandi e piccini. Ad esempio giocolando con tre bottigliette che stappa per trascinare un bambino in una sfida all’ultimo spruzzo d’acqua. O giocando con una pallina immaginaria che finisce per cadere in un piccolo cartoccio, ancora una volta con l’interazione del pubblico, a dimostrazione che si possono inventare poesia e comicità anche con oggetti semplici o addirittura inesistenti. Larible esce poi dal palco alto dell’orchestra per scendere fra le tribune e scegliere sei spettatori: saranno involontari complici di uno dei suoi numeri maggiormente conosciuti, quello del direttore d’orchestra. I malcapitati dovranno tentare di suonare improbabili strumenti dando l’occasione a David di esibirsi in gag irresistibili in un crescendo musicale rossiniano e di ilarità. In un altro numero si sentono le note di ‘Ridi Pagliaccio’ e in alto fra il pubblico appare David che, con voce sicura da baritono, comincia a cantare ‘La donna e’ mobilé mescolandola con ‘Oci Ciornie’ per strizzare l’occhio al pubblico locale.
E’ il breve prologo per mostrare la sua creazione maggiormente apprezzata, fortemente legata all’italianità: l’opera lirica. Questa volta tre spettatori devono interpretare un’aria dei Pagliacci. Una voce annuncia quindi la presenza della prima ballerina de La Scala di Milano: Maria Lariblina. Dopo la gag del direttore d’orchestra e dell’opera lirica David completa il riferimento alle discipline più classiche con tanto di tutù interpretando su una piattaforma galleggiante una “aggraziata” danzatrice con fazzoletti volanti sulle note della Gazza Ladra. Nel finale tutti gli artisti attorno alla pista salutano il pubblico, tra le spettacolari fontane danzanti con getti altissimi. La musica trionfale sfuma e c’é un solo artista al centro della pista: David Larible, con una concertina a suonare e cantare ‘Quanto ti ho amato’, testo di Roberto Benigni e musica di Nicola Piovani. Gli artisti se ne vanno e resta in pista solo lui fino a quando si spengono l’ultima nota e l’ultimo proiettore. Un momento di struggente malinconia, che fa parte del dna del clown.
Ansa