Com’è la vita dentro uno dei più grandi complessi circensi italiani? E com’è la vita di un circo nella città di Milano? Il circo Darix Togni e Milano, si sa, hanno avuto un fruttuoso trascorso fatto di reciproco scambio e gioia, soprattutto a Natale. Questo Natale è passato e il Circo di Darix Togni ha occupato la piazza milanese portando alto il vessillo dei Togni, mostrando allegria e bellezza alle famiglie giunte sotto il tendone e, quando è stato possibile, mostrandole direttamente nelle strade della città. Il pubblico contento e meravigliato non è mancato, neanche quando gli animalisti hanno cercato di creare qualche problema al circo. Ma si sa che i tempi cambiano e tra crisi e tradizioni che si modificano, quand’anche non spariscano del tutto, è sempre un’impresa riuscire a barcamenarsi.
In un pomeriggio che precede lo smontaggio del circo e la sua partenza verso altre città siamo andati a fare un giro al Circo Darix Togni per vederne uno sprazzo di vita quotidiana. Incontriamo Davio Togni che esce dalla sua roulotte posta proprio poco prima dell’ingresso allo chapiteu; uno spazio, questo, che delimita la linea d’accesso al mondo della fantasia e dell’immaginario circense poetico ricco com’è di richiami all’estetica più romantica del circo. Stupisce per questo motivo vedere che le roulotte che si pensa siano messe lì solo per bellezza sono in realtà funzionanti e funzionali, oltre che belle, anche perchè il loro aspetto d’altri tempi è quello che costituisce la storia che questa famiglia si porta in giro per il mondo. E’ un’altra delle caratteristiche principali nella vita del circo: qualità (e bellezza) ma anche spirito di iniziativa che renda tutto fruibile unito alla memoria storica delle proprie radici.
MIlano è cambiata
Lo spettacolo di sabato 7 gennaio inizia alle 16.30 ma già dalle 15 la pista è in movimento perchè si deve sistemare tutto per l’invasione d’acqua che non manca di stupire e che è diventato marchio del Circo di Darix Togni (noto anche come “il circo dell’acqua”). Una vera tradizione, inaugurata nel 1969 da Darix e tutt’ora portata avanti dai figli. “Anche alcune delle musiche che utilizziamo sono le stesse che mio padre usava negli anni ’70 e forse anche per questo il pubblico è rimasto contento, ha ritrovato qualcosa del suo e del nostro passato”, dice Davio Togni che ora in pista è cavallerizzo, spalla del fratello Corrado nel numero comico e, naturalmente, ammaestratore, numero nel quale conserva il nome del padre divenuto famoso proprio nello stesso ruolo. Ma in passato, come tutti i circensi, Davio ha fatto tutto e oggi, oltre agli impegni artistici, ci sono anche quelli gestionali, come dover tenere uniti i membri del circo, un’ottantina circa.
Tuttavia Milano forse non è più quel paradiso del circo che una volta era stata per Darix, è diventata una città cara, “una città molto costosa soprattutto per i prezzi delle affissioni pubblicitarie che diventano poi difficili da riassorbire con i guadagni, se si tiene conto che abbiamo fatto il possibile per tenere i costi dei biglietti proporzionati al passato”, continua Davio. “I grandi complessi si sono spostati in altre piazze, magari più piccole, però di più facile gestione, anche economica”. Sono due mondi a confronto quello di Milano e quello del circo: il primo che conosce i cambiamenti che investono un po’ tutte le città e forse tutto il mondo occidentale e che va via via perdendo alcune tradizioni che si fanno sempre più sterili, o adottandone di nuove mai conosciute prima. E dall’altra parte il mondo del circo, tradizione e solidità, che si inserisce in questi mutati contesti, forse talvolta più freddi nei loro confronti ma forse “la colpa in gran parte è anche di noi circensi e mi riferisco a quel momento storico, tra gli anni ’70 e gli anni ’80, in cui molti si sono approfittati del buon nome del circo per agire in maniera non del tutto corretta nei confronti dei comuni, spesso a scapito della buona fede, e mi riferisco ad esempio al fenomeno dei tanti Orfei che nulla hanno a che spartire con i veri Orfei”, dice Davio, per il quale è una questione di principio: “Noi portiamo in giro un circo che ha il nome di mio padre ed è nostro dovere rispettarlo e fare del nostro meglio per realizzare un prodotto di qualità”. E’ una chiaccherata che inevitabilmente tocca gli argomenti e le questioni più attuali, come la situazione italiana che spesso non facilita chi vive in questo paese, circense o fermo che sia. Il circo di Darix ha molti trascorsi all’estero, è stato pioniere di viaggi in terre particolari come il Qatar, la Turchia o l’Iran dove ci è rimasto per ben quattro anni.
Prossima tappa il Ghana
Il circo, lasciatosi alle spalle un tradizionale Natale meneghino (a dispetto dei tempi che cambiano e accantonate le “relazioni pubbliche” con l’amministrazione comunale) sarà presto a Piacenza, poi a Carpi e poi via di nuovo per un’avventura esotica, infatti continua Davio, “ci stiamo già preparando a partire e ad imbarcarci per il Ghana dove resteremo cinque o sei mesi”. Che sia un salto nel vuoto? In parte si perchè prima d’ora il circo non è mai stato là ma a volere il complesso di Darix in Ghana “sono state le autorità del luogo che ci hanno chiamato appositamente; poi là abbiamo trovato grossi sponsor come la Vodafone locale o come la Coca Cola”. Grandi sponsor che qui da noi sembrano mancare nei confronti del circo, come dal resto molte altre cose.
La vita di un circo non è quindi solo un viaggio di città in città ma è anche un aprirsi a delle realtà totalmente differenti rappresentate da culture a noi estranee ma questo non sembra essere avvertito dai circensi come un limite: “Il circo è tutto qui, siamo come una grande nave che si sposta e con essa c’è tutto. Poi arrivati in un posto diverso come potrà essere il Ghana ci ambientiamo subito, si esce, si conoscono i mercati, si entra in contatto con le gente e con la realtà del luogo, troveremo una manovalanza del posto che verrà a lavorare da noi”. Nessun pregiudizio nei confronti delle realtà ospitanti né nei confronti di chi, non circense, bussa alla porta del circo per unirsi ad esso: “Di lavoro ce n’è per tutti, di certo non si viene qui a dormire. Siamo almeno un’ottantina in totale ma non tutti sono circensi di famiglia o provenienza”. Ma anche questo può essere un elemento che rischia di lasciar straniti coloro che vengono da fuori e che sono abituati ad orari di lavoro ben precisi e che magari considerano gli straordinari come, appunto, stra – ordinari, dice infatti Davio: “Tra circo e vita non c’è separazione, sono la stessa cosa, vita e lavoro sono sovrapposti, e se un giorno non hai voglia di fare il tuo lavoro allora è proprio quella forse l’occasione buona in cui impari qualcosa di nuovo, qualcosa di diverso per non annoiarti”. Intanto si unisce Corrado alla conversazione, il clown di pista che Davio definisce “un vero artista, e come tale con lui ci si può aspettare di tutto, la settimana inizia con il numero in un modo e finisce con tutto quanto sconvolto”. Corrado conferma: “Non è solo il pubblico che si deve divertire, devo farlo anche io e quindi ben vengano le improvvisazioni!”. Il terzo fratello è Livio Togni, non è impegnato in pista ma non mancano compiti anche gravosi come l’approccio alla burocrazia tipico della parte gestionale e organizzativa. Quando Davio è all’estero col circo, Livio in Italia si occupa di organizzazione e gestisce la tournèe del complesso di Darix.
La new generation
Poi ci sono i più giovani, figli e nipoti dei diretti eredi di Darix che un giorno gestiranno a loro volta il circo. Daniel Togni, ventiquattrenne figlio di Davio, oltre che essere artista in pista con un numero di trapezio e di cinghie aeree insieme al cugino Ryan, svolge altre mansioni di ordinaria amministrazione, come la vendita di gadget a inizio spettacolo o come lo smontaggio dello chapiteu. Altra lezione questa che fuori dal circo si dovrebbe apprendere un po’ meglio, ovvero come anche chi porti il cognome dell’intero complesso lavori e svolga le mansioni al pari di tutti gli altri. Daniel Togni ha nel suo passato anche tre anni di studio presso l’Accademia del Circo fondata da Palmiri quando ancora era a Cesenatico, poi la formazione è avvenuta principalmente sul campo, dapprima nel tentativo di esibirsi con i giochi icariani, sempre insieme al cugino Ryan, poi dati i problemi che questa disciplina infliggeva alla schiena, Daniel è passato con ottimi risultati alle discipline aeree nell’attesa, un giorno, di conoscere direttamente la parte gestionale e organizzativa. Dice Daniel: “Devo ammettere che un po’ mi spaventa: vedo quello che fa mio padre o che fa mio zio e dal mio punto di vista, che è quello artistico o logistico dei montaggi e smontaggi, la parte burocratica che quotidianamente affronta mio zio Livio mi spaventa non poco!”. Ma Davio è ottimista poiché, sostiene, la genetica non mente, e l’atmosfera farà sicuramente il resto. Daniel è un ragazzo come tanti ce ne sono fuori ma siccome, come si diceva prima, circo e vita, circo e lavoro, qui collimano, insieme al divertimento ci sono le responsabilità (la responsabilità, questa sconosciuta per tanti ragazzi): “Alla fine il tempo per divertirsi e per fare casino lo si trova sempre, si esce e si va nei locali della zona in cui siamo anche se restiamo sempre tra di noi perchè i nostri racconti non sarebbero compresi dai ragazzi che stanno fuori; ma spesso la stanchezza vince perchè lo spettacolo finisce alle 23.30, aiuti a sistemare, rincasi, ti fai una doccia, mangi e poi sei cotto!”.
Il circo, la nostra non-proprietà
Ad accomunare la parte artistica dei Togni, padri e figli, c’è il fatto che spesso il loro numero viene provato direttamente in pista alla presenza del pubblico: ciò non significa lasciare le cose al caso ma piuttosto entrare in contatto con uno spirito diverso, significa avere vita privata e circo talmente coincidenti che non si può dedicare il tempo alle sole prove come invece possono fare gli artisti ingaggiati, quelli che non devono necessariamente occuparsi anche delle questioni pratiche e logistiche.
Lo spettacolo inizierà a breve eppure Davio non mostra impazienza nè altro, accompagna in giro per il circo una troupe da poco giunta, mostra loro i cavalli, lo spazio separato e riscaldato degli elefanti, la gabbia delle tigri. Gli elefanti si fanno incontro ai nuovi ospiti; il loro incedere, visto così da vicino, è inquietante, ma la sensazione passa subito dopo che questi due mastodontici pachidermi indiani si lasciano imboccare con delle arance fresche. Le tigri, da bravi felini, se ne stanno sornione al sole e lì davanti alla gabbia Davio risponde alle curiosità: che tipo di tecnica usa nell’ammaestramento, che forza hanno le tigri, come fa Davio a riconoscerle tutte, se esse riconoscono elementi estranei. A quest’ultima domanda la risposta è immediata: “Vedete quelle piume? Ecco, quello era un piccione entrato nella gabbia”.
Suonano davvero come stonate le grida che fino a pochi giorni fa gli animalisti urlavano davanti al circo, invettive contro il pubblico e contro i bambini.
Al termine di tutto ciò, dopo questo tour in quella parte di circo visibile da tutti perchè a cielo aperto eppure frequentata da pochi, in una discussione che ha toccato argomenti diversi, le parole più esaurienti sono quelle di Corrado: “Noi non abbiamo senso della proprietà perchè tutto quello di cui abbiamo bisogno è qui con noi e questa è una grossa libertà. I valori veri sono rappresentati per noi dalle tradizioni, dalle idee, da queste cose che ci tramandiamo come si faceva un tempo e che finiranno quando saremo finiti anche noi. La verità è che qui dentro noi stiamo bene, lavoriamo ma ci divertiamo anche molto, e forse questo dà fastidio”.
Stefania Ciocca