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Daniele Togni: dietro i riflettori c’è di più

Daniele Togni nel numero con gli elefanti (1986)
La sua famiglia, l’infanzia, il rapporto con il fratello Flavio, le tourneé, la predilezione per gli elefanti, lo spirito di libertà che si respira insieme all’odore della segatura. Per Circo.it Daniele si racconta senza rete, parlando anche di ciò che all’American Circus ama occuparsi e di ciò che farebbe volentieri a meno. Ma sempre con una passione che contagia anche chi di circo conosce e sa ben poco.
La sua è una delle più famose dinastie italiane del panorama circense. Com’è stato crescere in una famiglia così importante?
E’ stato bello ed emozionante. Quando si è bambini si fatica un po’ a capire. La mia, ad esempio, mi sembrava una famiglia come tante, forse con un lavoro più strano ed eccentrico, ma assolutamente normale. Ho iniziato fin da piccolo a viaggiare, all’epoca si facevano delle vere e proprie tourneè. Stavamo in giro trecentosessantacinque giorni l’anno, senza una pausa e una tregua, ed a me sembrava tutto straordinariamente bello: partire, cambiare città, conoscere gente nuova. Ora, con il senno di poi, posso ritenermi fortunato ad avere avuto una vita così.
Daniele Togni (1986)
Per chi proviene da una famiglia di artisti circensi, è quasi scontato continuare a lavorare nello stesso ambito. Lei ha mai desiderato fare un altro mestiere?
Assolutamente no. Il mio, come quello di tutti i circensi, prima ancora di essere un lavoro è uno stile di vita, un modo di vivere diverso dagli altri. Pensare di cambiare mestiere quindi sarebbe come rinnegare un po’ le proprie origini, significherebbe cambiare radicalmente abitudini e regole, e per chi è abituato al nostro “mondo”, vorrebbe dire abbandonare anche quello spirito di libertà che contraddistingue ogni circense.
Quando ha iniziato a pensare di voler lavorare con gli animali?
Fin da piccolo ho avuto questo trasporto verso gli animali, ma è stato quasi scontato iniziare. Ricordo che quando ero un bambino, mio nonno iniziò a farmi cavalcare un pony, poi mio fratello Flavio, che è maggiore di sette anni, è stato sicuramente una guida per me. Mentre lui si allenava, io passavo ore a guardarlo, cercando di imparare e così passo dopo passo sono arrivato al debutto in pista con un numero di cavalli.
Daniele insieme a Gunther Gebel-Williams
Qual è l’animale con cui le piace di più lavorare?
Preferisco gli elefanti innanzitutto per la loro intelligenza, hanno una memoria di ferro e se l’addestratore varia una piccola parte del numero che gli è stato insegnato, lo fanno capire. Poi mi piacciono per il loro carattere: sono divertenti, riescono a manifestarti affetto e gioia. A dispetto della loro mole sono molto docili, facilmente gestibili in fase d’addestramento e caratterialmente giocherelloni.
E l’animale più difficile?
Il rinoceronte è un animale poco intelligente e molto testardo, ma non posso dire che sia quello peggiore. Ogni animale ha il suo carattere ed il suo temperamento, per cui basta prenderli per il verso giusto e tutto sembra essere più facile. A volte si scelgono animali per le loro naturali inclinazioni, che facilitano poi la costruzione del numero. Le tigri e i cavalli sono animali talentuosi e molto agili, i cammelli sono invece più posati e metodici, ma la buona riuscita dell’esibizione dipende quasi sempre dall’ammaestratore: se ha saputo fare bene il suo lavoro, allora cavallo, cammello, o rinoceronte raggiungeranno lo stesso risultato.
Con Mark Oliver, Gunther Gebel e Flavio impegnati a sfogliare la rivista Circo
Suo fratello Flavio Togni è considerato uno dei più importanti addestratori a livello mondiale. Ha mai provato un po’ di invidia o rivalità?
No. Tra noi non c’è mai stata competizione, anche perché essendo lui più grande di me, è stato il mio maestro. Lo ammiro e stimo molto sia per il suo carattere che per il suo modo di lavorare. Lui vive per la pista e mi ha trasmesso la stessa passione. E’ un orgoglio essere il fratello di Flavio.
Elefanti che passione. Daniele Togni a San Diego (1990)
Oltre a lavorare in pista lei si occupa anche di uno degli aspetti più ostici e controversi del circo: l’amministrazione. E’ difficile far tornare i conti di un colosso come l’American Circus?
Mi occupo solo in parte dell’amministrazione del nostro circo, e confesso che è l’aspetto più noioso di questo lavoro ed anche il più difficile. Mi occupo più che altro della logistica e dell’organizzazione: assunzione di personale adatto, scelta degli autisti per i nostri automezzi e altro. Gestire l’American Circus non è semplice, è come spostare un intero paese con annessi e connessi da una parte all’altra del mondo.
Quanta gente indicativamente lavora all’Americano?
Durante la stagione invernale abbiamo fra 120 e 125 dipendenti, 25 automezzi per il trasporto del materiale e poi un treno di 30 vagoni per il trasporto del materiale più voluminoso.
Quanti animali avete?
Circa 50 cavalli, 9 elefanti, 12 tigri, 8 cammelli (nelle ultime due settimane ne sono nati tre).
Piccolo l'elefante, piccolissimo Daniele Togni (Berlino 1980)
La burocrazia italiana rende difficile assumere artisti stranieri?
Molto. Credo che l’Italia sia il paese più complicato e problematico per il rilascio dei permessi. Se nelle altre nazioni nel giro di un mese si risolve tutto, in Italia purtroppo l’iter burocratico è lunghissimo e si ricade nella sindrome da “ping pong”, ovvero la domanda viene rimbalzata automaticamente da un ufficio all’altro. Noi dobbiamo metterci in ballo a maggio/giugno per poter arrivare in regola ad ottobre, mese in cui inizia la stagione circense, ma spesso a pochi giorni dal debutto si arriva con l’acqua alla gola, proprio a causa della burocrazia.
Un consiglio per chi vuole intraprendere la sua carriera?
L’unico consiglio che mi sento di dare è quello di non avere la presunzione di poter fare solo una cosa nel circo. Chi vuole lavorare in questo ambiente deve essere preparato e ben motivato. Nel circo bisogna saper fare tutto ed adattarsi a tutto, non si arriva solo per esibirsi sotto i riflettori, per sentire l’applauso del pubblico o per ottenere prestigio, si diventa artisti per vocazione. Ah… dimenticavo, bisogna anche possedere un grande spirito d’avventura!
Valentina Ripa