Ho assistito al numero di Wilson Dominguez, alias Crazy Wilson, al Festival Internazionale del Circo di Monte Carlo nel 2008, quando vinse il Clown d’argento. Ma ogni volta che lo vedo è come la prima.
Parlandogli, scopro che non è affatto matto come lascerebbe intendere il suo nome d’arte, dimostra al contrario di padroneggiare fino all’ultimo dettaglio della sua esibizione, che mi spiega come fosse pura “scienza”. E per lui lo è: precisione, concentrazione, controllo.
Ardua impresa descrivere a parole la straordinaria acrobazia di questo artista venezuelano, l’unico al mondo ad eseguire una serie di salti mortali ad un’altezza da brivido, all’esterno di una ruota di metallo che gira attorno ad un perno e sulla quale lui cammina, si arrampica, fa le capriole, divertendosi come un bambino, mentre fissa il pubblico con un’espressione di sfida, preparandosi ai salti mortali.
A vederlo sembra una passeggiata, ma a giudicare dall’atmosfera di suspence che si respira sotto il tendone durante la sua esibizione, è immediata la sensazione che si stia assistendo ad un reale pericolo. Nei giorni scorsi si è svolta la 35esima edizione del Festival monegasco, e tre anni dopo mi sono ritrovata faccia a faccia con l’acrobata che allora, come questa volta, mi ha lasciato col fiato sospeso. Mi domando come mai non abbia vinto il Clown d’oro, ed è infatti la prima cosa che chiedo anche a lui.
Il Clown d’argento è un riconoscimento prestigioso, ma sempre il secondo. Una vittoria o una sconfitta per te?
Volevo l’oro. Ed è ciò a cui miro. Mi ero infortunato. Feci il numero con due costole rotte, non ero al massimo della forma. Sono caduto il 23 dicembre, e venti giorni dopo c’era il Festival. Non ho voluto rinunciare, ma ho avuto paura e non ho dato il massimo.
Il tuo sogno è vincere l’oro o sfidare i limiti dell’impossibile?
Entrambi. Nulla è impossibile, la sfida mi piace. Prima di fare i salti mortali sulla ruota, tutti pensavano che quello sarebbe stato impossibile, ma ho dimostrato che non lo è. E non ci credevo nemmeno io quando l’ho fatto la prima volta e mi sono riguardato in video. Da piccolino andavo a scuola, ma piangevo fino a che non vedevo un trapezio, o un trampolino, quella sarebbe stata la mia vita, e il mio sogno è sempre stato diventare un artista sempre più forte. Ora voglio fare il doppio salto mortale, per il momento il record è 15 salti mortali di fila.
Come ti è venuto in mente questo numero?
Io l’ho solo modernizzato, non inventato. Certo, il record dei salti mortali è mio, e ho anche fatto altri numeri, come quello con una motocicletta sul filo, ma ora sono 14 anni che eseguo la ruota e cerco di perfezionarlo ogni volta, di creare dinamiche nuove.
Come riesci a stabilire questa connessione magica con il tuo pubblico? Li guardi negli occhi, comunichi con loro, sembra quasi che tu scherzi con ognuno di loro durante il numero. Non mi sei sembrato un “freddo” e distaccato atleta, nonostante l’acrobazia che esegui sia ad altissimo livello atletico.
In effetti è l’aspetto che più mi interessa e che ricerco. Non si può spiegare la connessione con le persone, è una energia che si sente e si respira, e il mio numero non sarebbe unico se non ci fosse questo rapporto tra me che mi esibisco e il pubblico che mi guarda. Voglio toccare l’anima delle persone, creare la suspence.
Ti sei esibito nell’impresa circense per antonomasia nel mondo: il Ringling-Barnum negli Stati Uniti. Sei scritturato dal circo Krone in Europa, da Moira in Italia. Cosa si prova a lavorare a questi livelli?
In Venezuela la mia famiglia ha un circo e quando il Ringling mi ha scritturato, dopo aver visionato e apprezzato il mio numero, è stata per me e per loro una grossa soddisfazione. Esibirsi al Ringling significa affrontare ogni sera più di ventimila persone, e quando senti che rispondono a quello che fai, applaudono e ti incitano, provi un’emozione indescrivibile. Al Madison Square Garden di New York ho provato l’emozione più grande della mia vita. Poi, certo, lavorare al Krone e da Moira (è il suo terzo anno nel periodo natalizio, ndr) è un’opportunità e una responsabilità: so di dover dare sempre il massimo e questo mi stimola a migliorare.
Tu rischi davvero la vita ogni volta che ti esibisci. Incoscienza o amore per il pericolo?
Forse solo esercizio. Aggiunto ad un mix di incoscienza e passione per il pericolo (ride, ndr)!
Parlo con il mio corpo nel momento in cui faccio le cose, controllo il mio corpo con la mente e, ora che il salto mortale è diventato usuale, ho piena consapevolezza dei miei movimenti.
Mi alleno molto, l’esercizio è fondamentale e a volte mi pesa il sacrificio di dover controllare tutto, fin dall’alimentazione, però la soddisfazione più grande, che è il pubblico, e la mia voglia di raggiungere i massimi risultati, mi fanno andare avanti.
Con la pratica ho disciplinato l’esercizio. So che il mio lavoro è pericoloso, ma ne ho rispetto e sono cosciente del fatto che tutto dipenda da una grande concentrazione. Non ho mai paura perché io decido sempre cosa e come farlo. Quando sono caduto, prima di Monte Carlo, non sono caduto per un errore mio, ma perché si è staccato un pezzo di metallo della ruota, e quella volta ho rischiato davvero grosso. Ma non posso permettermi di avere paura, la paura ti distrae e ti impedisce di muoverti con lucidità.
Alessandra Borella