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Brachetti: la forza mostruosa della maschera

Davio Togni (tutte le foto sono di Stefania Ciocca)
Proseguono le giornate di studio sulle arti circensi, e dopo lo studio arriva il diletto: la sera di mercoledì si è andati in visita al Circo di Darix Togni, in città fino a dicembre.
Diletto vero, tanto che il successo che un’iniziativa come le giornate di studio riesce a registrare lo si nota sulle tribune del circo: a riempire le gradinate sono tutti i volti che quotidianamente gli studenti vedono in università, non solo amici e compagni, e nemmeno gli ospiti delle conferenze, ma anche i professori, le bibliotecarie, le collaboratrici scolastiche. Segnale da sottolineare perchè poche sono le iniziative universitarie che vedono una partecipazione così globale.
Diletto anche necessario se vogliamo, perchè durante le giornate trascorse sino ad oggi si è avuto modo di parlare e di toccare argomenti come la differenza che intercorre tra clown bianco e clown rosso e poter vedere coi propri occhi in scena le gag messe in atto dai fratelli Togni, Davio e Corrado, dona a tutto un sapore diverso; durante le conferenze si è parlato di Darix Togni e del suo splendido rapporto con le tigri e poter vedere il figlio di Darix che per il suo numero con le tigri entra in pista usando lo stesso nome e la stessa estetica gladiatoria del padre, lo fa avvertire come un personaggio già conosciuto, famigliare.
E tuttavia non sono bastati i racconti e le testimonianze che narravano di pantomime acquatiche e di antiche o nuove naumachie a preparare ad un inizio di vero impatto, quando dal frontone che reca il nome “Circo Darix Togni” esce una cascata d’acqua ad allagare la pista sulla quale per tutta la prima parte i numeri aerei e di contorsionismo disegnano eleganti arabeschi. C’è lo stupore e c’è il divertimento di essere tutti insieme per una serata diversa dal solito: docenti, ospiti e colleghi tutti a vedere uno spettacolo magico e di qualità. E poi ci sono le domande che ciascuno si pone o rivolge al vicino, domande sulle abilità degli artisti, sulla qualità di stupire che pista e chapiteu hanno, sulle paure o le non-paure che alcuni circensi sembrano non dimostrare affatto.
Sempre domande ma stavolta dirette e soddisfatte sono quelle che gli studenti hanno rivolto invece nel pomeriggio di oggi al grande ospite di questa edizione 2011 delle giornate di studio sulle arti circensi, il famoso trasformista Arturo Brachetti.
Brachetti, classe (quella anagrafica) 1957 e classe (quella artistica) da vendere: entra in scena, anzi, in aula, avvolto da mantello e con tanto di cappello a cilindro. Incarna in sè tutte le discipline del teatro popolare e del circo riuscendole a trasformare in un’arte di livello elevatissimo. Ed elevato è anche il suo intervento da trasformista-professore che offre un vasto insieme di cultura, umorismo e di storia dello spettacolo concentrati in un unico intervento: parla di cinema, di teatro, di circo e di storia del circo, di surrealismo e di semplice meraviglia; e poi ancora di geishe e di trasformisti del ‘500, di chiesa e di cartoon Disney, di semplicità e di come le formule più antiche siano quelle che ancora oggi funzionano alla perfezione.
Ha iniziato nel 1979: “Andai a fare un provino a Parigi ed ero l’unico trasformista ma in realtà non lo sapevo ancora”. Gli altri sono stati emuli, anche se emulare chi si cambia in tre o quattro secondi non è impresa facile. Certo, essere italiano forse è un vantaggio: “Gli italiani sono famosi per essere ritenuti comici e un po’ circensi, dal resto siamo famosi nel mondo per avere inventato la commedia dell’arte”. E poi cita il primo clown, Giuseppe Grimaldi, oppure Giovanni Gabrielli che a Bologna nel 1550 fu il primo trasformista a cambiare maschera davanti al pubblico in un’epoca in cui un ruolo lo si rivestiva sino alla morte. E cita anche il grande Leopoldo Fregoli, famoso trasformista che ebbe anche il merito di far conoscere il cinema agli italiani.
Arturo Brachetti alle Giornate di studio sull'arte circense
Proprio in questi giorni Brachetti, a modo suo, celebra il cinema nel suo ultimo show dal titolo Ciak in scena agli Arcimboldi a Milano. Nonostante numerosi impegni come una star del suo calibro può avere e nonostante lo spettacolo ora in scena che richiede prove e concentrazione, Arturo Brachetti si presta agli studenti in una veste (definitiva?) decisamente differente: “Non sono affezionato a nessun personaggio che rappresento perchè durano poco, ma la cosa più difficile è proprio quella che sto facendo ora, essere me stesso. La maschera è una forza mostruosa: dagli occhiali del poliziotto al colletto del prete, il costume che ciascuno indossa nella vita gli conferisce l’autorità che noi accettiamo. Trovarsi il dentista anzichè in camice con il bikini arancione ti fa pensare due volte se aprire la bocca o meno”.
Nel suo bagaglio un’esperienza che equivale a mille costumi che ha vestito, dal Puck di Shakespeare all’amante cinese in Madama Butterfly con Tognazzi fino a tutti i personaggi da lui creati. E così si mescolano vite, esperienze, storie e generi: “Mescolare il bisogno culturale con ciò che la gente si aspetta da te mentre ora è il contrario, cioè dare alla gente ciò che si aspetta da te e ricamarci dentro. E’ proprio il caso del suo ultimo spettacolo che si presenta con un promettente “100 personaggi in 100 minuti” e durante il quale presto il pubblico si rende conto che non è solo una sfilata di trasformismo. Cerco di portare un altro discorso più toccante al pubblico.”
Arturo Brachetti e Alessandro Serena
Il filo conduttore dell’intera giornata è proprio questo, il fatto che ormai tutti provano a dare un’emozione al pubblico, che sia a teatro, dentro al circo o al varietà. Brachetti cita a questo proposito quello che considera essere uno dei primi a mescolare circo e poemi intellettuali, ovvero Andrè Heller, il fondatore del Circo Roncalli insieme a Bernhard Paul.
Insiste molto sulla differenza ma anche sulla continuità tra semplicità e sfera intellettuale: laddove lo stupore e la meraviglia toccano il cuore delle persone anche il più grande cattedratico può scovare significati altri. Ma la scorciatoia è sempre la semplicità: “Basta una cosa anche piccola perchè la meraviglia è un click nel cuore del pubblico, qualcosa di piccolo che non richiede milioni di euro, un po’ come succede alla fine del film Ratatouille”.
Raccontare, fare click nei cuori delle persone e conoscere la storia: Brachetti fa anche quello perchè nella durata di un’ora tocca davvero i punti salienti della storia del circo che ancora oggi sono vivi e “funzionano”, come un suo numero in cui si avvale di un cappello e che ha la sua origine nel 1600.
Il circo un tempo era il grande divertimento perchè “l’alternativa più divertente era la chiesa: fumo, musiche, paillettes! La chiesa per 2000 anni ha fatto della teatralità il rituale con cui catturare la gente. Il circo era una grande meraviglia oltre che il riscatto da una vita difficile perchè il segreto è che è la realtà immaginata quella che ci rende più felici. Tutti noi ce ne inventiamo una parallela. Ora è il cinema, prima il circo e il varietà, dove tutto luccica, tutto è più bello”.
Una vera lezione che di tutto ha trattato e che, come la meraviglia di cui Brachetti ha parlato, ha toccato sicuramente il cuore delle persone.
La lezione ha offerto spunti anche agli interventi che hanno avuto luogo dopo il trasformista: si è parlato della maschera che si riduce tanto da diventare un naso rosso con i clown Andrea Ruberti dei Fratelli Caproni e Emanuele Pasqualini della compagnia Pantakin. Si è parlato del corpo in trasformazione e in rapporto con il circo e la sua teatralità con Valeria Cavalli di Quelli di Grock. Si è parlato del rapporto tra il racconto, la regia e la drammaturgia circense con lo studioso e regista Raffaele de Ritis.
E un filo rosso che si avvolge e si svolge lungo secoli di storia, un circo che da parola a maschera, a storia che si fa emozione giunge fino a noi sotto forma di semplicità che può toccare elevati livelli artistici e per un giorno si offre agli studenti di un’università.
Stefania Ciocca