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Araz, segreti e imprevisti di un dislocatore

Araz Hamzayev

 

di Alessandra Borella (fotografie Silvia Ottaviano) 

Il padre di Araz ci conduce nel suo campino, perché siamo troppo curiosi di vedere come si riscalda un contorsionista dislocatore, a casa sua. Entrando noto i piatti abbandonati sul lavello, e mi rendo conto della fatica e del sacrificio di un artista che, in una domenica qualsiasi, ha già sulle spalle il peso di due esibizioni, e sta per affrontarne un’altra alle sei di sera, senza avere avuto il tempo di sistemare casa. Mi sento quasi di invadere l’intimità del momento “sacro” di preparazione che precede lo spettacolo, ma la cordialità di Araz Hamzayev, contorsionista-dislocatore al circo di Mosca, è tale che mi dimentico in fretta dell’incursione e mi siedo sul divano curiosando dappertutto con lo sguardo.
Araz, come ti sei formato per diventare un contorsionista? E uno dei più bravi…
Ci sono voluti cinque anni di prove, alla mattina alla scuola di ginnastica a Baku, in Azerbaijan, e al pomeriggio, dopo la scuola, tre ore di prove con mio padre. Erano tempi duri, l’Unione Sovietica era “caduta” da poco, non c’erano soldi. Io ero piccolo, ricordo solo la sveglia alle sei e trenta tutte le mattine, e la sera, quando crollavo a letto stanco.
Il tuo mestiere coinvolge il corpo come quello di uno sportivo, di un atleta. Come ci si prepara?
Tutto dipende da una preparazione psicologica prima che fisica. Nel mio genere di lavoro significa che non posso mangiare due ore prima dello spettacolo, devo scaldarmi moltissimo e rimanere al caldo per proteggere i muscoli. Il freddo è il mio nemico, d’inverno mi trovo peggio che d’estate. Di mattina, quando mi alzo, e poi ogni volta che finisce la parata di inizio spettacolo, mi metto in terra, sul mio tappetino, e inizio il riscaldamento dei muscoli che può durare anche poco se ho dormito bene e mi sono svegliato senza acciacchi. Di mattina la zona più difficile per me è dietro il collo, che mi fa sempre un po’ male. Poi ripeto molte volte gli esercizi dello spettacolo, magari a ritmo di musica davanti alla tv.
Hai mai provato panico durante un’esibizione?
Sì, una volta mi sono dimenticato quasi tutto il numero. Sono rimasto fermo, in una posizione “contorta”, fissando il pubblico con la musica che andava perché non mi ricordavo più cosa dovevo fare. Alla fine mio padre mi ha chiesto come mai avessi tagliato metà numero, e io non lo ricordavo, non me ne ero nemmeno accorto. L’adrenalina può fare brutti scherzi, ma a volte queste défaillance non vengono avvertite dal pubblico.
Io veramente ho visto che prima non ti è riuscito al primo colpo un esercizio, la verticale.
Questo è il live, capita. Come mai? Mah… (un’eloquente espressione interrogativa si dipinge sul suo volto, ndr) Un esercizio che faccio tutti i giorni, facilissimo, non mi è riuscito. Però ho subito riprovato e la seconda volta è andata meglio. Per fortuna non mi sono innervosito e non ci ho pensato troppo. Una volta che sei entrato in pista devi mettere da parte i tuoi problemi e concentrarti. A volte, ad esempio, se ci sono poche persone nel pubblico ti demoralizzi, invece io ho imparato che bisogna dare sempre il cento per cento, anche per poche persone.
Cos’è il circo per te?
Il circo è un mondo bello, visto da fuori, ma è qui, dietro i camerini che si vive la vera bellezza del circo, l’amicizia e la complicità tra gli artisti. Gli inconvenienti che succedono nel retroscena, la tensione, la carica che ti dà il tendone con un pubblico numeroso, i riti scaramantici.
In più, fuori dalla vita artistica siamo tutti molto legati, spesso ce ne andiamo a visitare la città insieme, qui a Roma abbiamo visitato il Colosseo e prima di partire vorremmo andare a vedere il Vaticano. Oppure ci divertiamo a giocare dopo cena, e ci mettiamo in competizione anche mentre non lavoriamo e non facciamo spettacoli. C’è questo torneo, la “pollo” cup o league, in cui ci sfidiamo in diversi giochi e alla fine al vincitore spetta un vero e proprio riconoscimento scritto, è una competizione seria!
Ah, ecco, la musica della parata…. è andata, ormai l’ho saltata. Va beh, potete restare un altro po’.


Con il senso di colpa per avergli fatto perdere l’inizio dello spettacolo a causa delle nostre confidenziali chiacchiere, lo ringrazio e scappo via, lasciando che si vesta e si prepari per il numero. A quello no, non può mancare, e il riscaldamento dei muscoli chiama!

 

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