di Ivan Eotvos
Le difficoltà di gestione che si presentano per lo spettacolo del Circo Americano sono evidenti. Prima di tutto ci sono le dimensioni: il Circo Americano, per dirsi tale, deve essere a tre piste e deve essere grande. E la struttura della famiglia Togni grande lo è sicuramente. Le tre piste sono impegnative, gli spazi sono ampi, il rischio della dispersione è alto. Per questo, probabilmente, in alcune produzioni degli scorsi anni il Circo Americano si era presentato un po’ sottotono all’appuntamento con il grande spettacolo, anche perché risentiva non solo delle proprie dimensioni. Perché il Circo Americano non è, storicamente, solo un “circo grande”, ma è sempre stato il simbolo del “grande circo”, e per tenere il passo con la propria storia a volte si dovrebbe faticare più di quello che la logica consentirebbe di fare. Ma in questa stagione è stato trovato un equilibrio molto efficace tra passato e presente, rappresentato perfettamente dalla presenza di due presentatori: il volto e la voce storica che hanno accompagnato gli spettacoli della famiglia Togni per quasi quarant’anni, Ricky Piller e il giovane Christian. Due modi opposti di intendere il mestiere del “Ringmaster”: uno molto impostato, tradizionale, l’altro con inflessioni televisive, addirittura intervistando il pubblico durante le pause dello spettacolo. Questo mix, per altro riuscitissimo, fa onore sia al passato che al futuro del grande marchio circense della famiglia Togni e si espande a tutto lo spettacolo. La cosa assolutamente più evidente è il grande lavoro di regia e di coreografia che c’è dietro ogni stacco, ogni pausa (senza mai lasciare vuoti tra un numero e l’altro) e ogni attrazione. Nel complesso, il dispositivo scenico messo in campo nelle tre piste del Circo Americano è imponente ma non fa sentire il suo peso. La parata iniziale dei carri ricorda i fasti di un tempo ma non ha la pretesa di impressionare. C’è un velo di narrazione in tutto lo spettacolo, ma senza autocelebrarsi inutilmente e senza prendersi troppo sul serio.
Le attrazioni principali sono naturalmente i grandi numeri di animali, come il gruppo di elefanti, dove il Circo Americano rievoca una “Bolliwood” da musical con tutto il numeroso corpo di ballo o la cavalleria russa, dove la pista si trasforma in una immaginaria steppa con tanto di neve. Insomma, per il pubblico è facile sognare e divertirsi, perché lo scopo dello spettacolo non è celebrare se stesso ma divertire e affascinare il pubblico.
Questo può sembrare uno scopo banale, ma non sempre è così, anzi, piuttosto spesso lo spettacolo circense finisce con la rievocazione della propria storia passata, dimenticandosi del presente e del futuro. Mentre vedere lo spettacolo di questa stagione del Circo Americano è una esperienza tra il teatrale, il circense puro e il televisivo, grazie a scelte sceniche e artistiche coraggiose che vanno indubbiamente nella giusta direzione. Insomma, proprio da una insegna fra le più tradizionali e, secondo molti, meno incline ai cambiamenti dovuti alle congiunture storiche (basti pensare che ha conservato le tre piste), arriva uno spettacolo rispettoso della tradizione ma contemporaneamente innovativo, dai tempi scenici impeccabili e con la capacità di dare spunti di divertimento per i grandi e per i bambini, fornendo un complesso artistico che nel suo insieme assume un senso ma anche singoli quadri che proiettano la fantasia lontano. Capacità di razionalizzare le forze, mettendo insieme elementi di magia diversi per fare una sorta di “medley” di prestigiatori e di presentare il giovane ed elegante Bruno Togni con il suo numero di giocoliere con le palline.
Particolarmente apprezzabile non solo l’abilità artistica, ma anche la presenza scenica dell’addestratore di belve feroci Alfred Beaoutur, capace di presentare un numero di grandissimo livello e di una showmanship quasi iconografica, che ricorda altri e più eleganti tempi. Bravissimi, e del resto di provata esperienza, i clown Ives Miletti e Remo Caveagna, musicisti di livello, comici e perfino attori consumati nel portare in scena solo intermezzi comici parlati, scelta che può piacere o no, ma che viene condotta in maniera impeccabile dai due artisti. Insomma, il bello di questo spettacolo sta nella presentazione di pezzi tradizionali dello show circense ma con la voglia e il nuovo slancio di volerlo presentare al pubblico di oggi, con il sorriso, senza la patina, parecchio impegnativa e ormai francamente datata, della nostalgica immagine del circo felliniano in bianco e nero. Uno spettacolo a colori, la versione 2.0 dello storico Circo Americano che segna una direzione che si spera diventi un nuovo solco da seguire per tutti e una strada maestra che conduca verso un circo migliore, più moderno, senza però dimenticare la propria storia.