di Claudio Monti
Raccontare, seppure per flash, mezzo secolo di vita di un circo di questa caratura è come scrivere la storia di una grande azienda, di una famiglia, di una squadra di uomini e donne ben consapevoli della loro mission e perfettamente allenati a stare sul mercato affrontando le sfide quotidiane. Tante, a volte quasi insormontabili, ma nulla è impossibile alla gente del circo.
Se l’industria del Belpaese ha avuto i suoi capitani, dal fondatore della siderurgia italiana, Oscar Sinigaglia, all’avvocato Gianni Agnelli, secondo la felice definizione dello storico Valerio Castronovo l’ultimo grande capitano d’industria d’Europa, anche il circo ha avuto i suoi. Anzi, di capitani d’industria capaci di trasportare un’azienda da 5 mila posti e centinaia di addetti in giro per il mondo, in modo itinerante, funzionando ogni giorno come il migliore degli orologi svizzeri, fino ad oggi se ne sono visti solo sulle piste di segatura.
E’ una storia scritta sui manifesti e sui programmi del circo, ma anche sulla stampa internazionale, nei cinegiornali in bianco e nero, nelle immagini che i fotoreporter hanno fermato una volta per tutte, nei mille ricordi legati alle tournée in città italiane e straniere, negli incontri, davvero ravvicinatissimi, con politici, capi di stato, personalità della cultura, del cinema e dello spettacolo.
Quel che colpisce nello scorrere le fotografie e nell’ascoltare i racconti dei protagonisti, è proprio questo: il circo è ben più di un grande e luccicante show. Il circo interpreta le epoche che attraversa e, come per tutte le imprese di successo, risulta vincente quando riesce ad immedesimarsi coi gusti e le attese del pubblico, quando regala emozioni e cattura l’interesse perché offre lo spettacolo giusto al momento giusto.
Al Muro di Berlino
Poco dopo il crollo del muro di Berlino, l’Americano è il primo grande circo occidentale che monta il tendone a cavallo delle due Germanie, praticamente sopra il bunker di Hitler, riunificando la voglia di pace, divertimento, dialogo e cambiamento che per decenni la Cortina di ferro aveva congelato. E’ il 29 agosto 1992 quando l’American Circus debutta, chiamando a raccolta la gente dell’Est e dell’Ovest. “Il successo è stato tale che abbiamo riempito il circo per tutto il periodo di permanenza, più di 5 mila persone al giorno, tanto è vero che i piccoli circhi della Germania ci portavano le sedie perché le nostre non bastavano”, ricorda Enis Togni. Il desiderio di novità che i tedeschi esprimevano in quel momento fu catturato da un circo, per di più con il marchio Americano, e il fascino occidentale giocò sicuramente un grosso peso soprattutto verso la popolazione della DDR. “Prorogammo di due settimane e il pubblico continuò ad accorrere, con ogni condizione di tempo”. Tutte le classi sociali si mettevano in fila per acquistare il biglietto. Grazie ad una convenzione con l’esercito russo, anche tutti i militari e le loro famiglie andarono a quello spettacolo. “Io, Flavio e Daniele ci recammo al quartier generale dell’esercito russo e ricordo come fosse oggi la grandiosa accoglienza preparata per noi: prima una parata militare con tutti gli onori e poi ci invitarono a mangiare nella mensa ufficiali”, dice Enis Togni.
E’ il 22 novembre 1963 quando l’American Circus, frutto di una collaborazione fra partner europei del calibro dei fratelli Arturo e Raimondo Castilla, spagnoli, di Carola Williams, tedesca, e della famiglia di Enis Togni, inizia la sua avventura. O meglio, aveva progettato di farlo, perché l’imprevisto è sempre in agguato. Come a testimoniare che il circo è permeabile agli avvenimenti e non vive in un mondo a sé, parafrasando Francesco De Gregori si potrebbe dire che “la storia non si ferma davvero davanti a un tendone”.
Il debutto… rinviato
Il 22 novembre di 50 anni fa, il trentacinquesimo presidente degli Stati Uniti d’America, John Fitzgerald Kennedy, viene assassinato a Dallas e il mondo intero rimane attonito, come stordito. In Italia è il tardo pomeriggio quando il dramma prende forma compiuta. Al Palazzo dello Sport di Torino l’American Circus ha già riempito ogni ordine di posti. È il grande battesimo dell’American Circus. Ma quando arriva la notizia, i Togni non ci pensano un attimo: danno l’annuncio e sospendono lo spettacolo. Non è sempre vero che The Show Must Go On. Ci sono passaggi della storia che spengono l’interruttore. E così l’insegna che ha deciso di puntare tutto sul sogno americano si ferma in segno di rispetto. La partenza slitta di un giorno.
Come nasce il nome Americano? “Eravamo in Germania col nostro Circo Nazionale Italiano Heros. Quando ci trovavamo a Bonn ricevemmo la visita dei titolari del Ringling che avevano pianificato una tournée in Europa e pensavano a noi come allo zoccolo duro di questo circo, in particolare noi avremmo dovuto partecipare con gli animali mentre loro avrebbero aggiunto il resto”, spiega Enis Togni. “Ma non ci siamo messi d’accordo. Il Ringling pensava di poter cambiare le abitudini del pubblico proponendo orari degli spettacoli che in America funzionavano ma da noi no. Erano ad esempio convinti che uno spettacolo alle ore 13 avrebbe raccolto pubblico. In più Ringling organizzò una conferenza stampa in pompa magna a Lille, e ne scrissero tutti i giornali, compresi i nostri Massimo Alberini e Giorgio Mistretta”.
Ma a conti fatti Ringling rinunciò alla tournée in Italia. “Noi, che dovevamo tornare in patria con i Castilla col Circo Nazionale Spagnolo, cogliemmo la palla al balzo della “popolarità americana” seguita all’attenzione mediatica sollevata da Ringling, e all’ultimo momento decidemmo per il Circo Americano”.
I primi passi del trio Togni, Castilla, Williams furono mossi sulla piazza di Vigevano ma ancora col nome Heros. Castilla e Williams erano già in società nel Circo Nazionale Spagnolo, e così questi ultimi col 50 per cento e la famiglia Togni con l’altro 50 per cento, decidono di unirsi nell’American Circus che, lasciata Vigevano, debutta a Torino: “Tutto è nato in pochi giorni”, assicura Enis Togni. Un parto veloce ma la creatura appare robusta sin da subito.
Per la prima volta un circo europeo metteva piede in un Palazzo dello Sport, visto che l’unico precedente era stato quello del circo di Mosca.
Il sogno americano made in Italy
In realtà il nuovo circo Americano non scimmiottava il colosso a stelle e strisce, che in Europa non ha mai attecchito e non è riuscito a conquistare il pubblico, ma partiva davvero alla grande con una struttura enorme e con numeri internazionali e una quantità di animali da fare impallidire lo stesso Ringling. Qui va subito introdotto un altro elemento: è quello della “macchina da guerra” che ha reso possibile i risultati ottenuti dall’American Circus, cioè l’equipe di titolari e collaboratori che hanno dato il meglio e hanno mietuto successi. Enis, Bruno, Willy e Adriana Togni, i fratelli Castilla, “il re della pubblicità” Ugo Nietzsch, il conquistatore delle piazze e general manager Dante Cardarelli, per citare i principali. Come in una formazione di calcio ci sono le punte, i mediani e i difensori ma o la squadra “gira” tutta insieme oppure le partite non si vincono, lo stesso può dirsi per il circo di cui stiamo parlando. A sfogliare i programmi – peraltro già bellissimi mezzo secolo fa e tutti con una grafica moderna e avvincente – emerge una squadra molto ampia e un lungo elenco di competenze che andavano dalle scenografie ai costumi, direttore esecutivo, tecnico e delle tournée. Passando per le pubbliche relazioni, direzione artistica, musicale e tanto altro.
Si, perché se si chiede a Enis Togni qual è stata la ragione del successo del circo Americano, e in particolare di un trentennio di trionfi, la risposta fulminante è questa: “C’è sempre qualcuno che emerge di più perché ci mette la faccia, ma quelli che stanno dietro, dei quali la faccia non si vede, contano di più di chi è in prima linea nel decidere il successo di una impresa”. E, assicura il patron del circo Americano, “i nostri collaboratori erano il meglio del meglio”.
I milioni di persone, perché di questo si parla, che hanno riempito lo chapiteau a tre piste, 4300 posti, sono il risultato di una passione e di una professionalità contagiose. Certo, erano altri tempi e il circo non doveva fronteggiare la concorrenza della televisione, beneficiava del favore della pubblica opinione e delle amministrazioni comunali.
Piazze centrali e grandi produzioni: l’Americano vola
“Le piazze delle grandi città sulle quali lavoravano i circhi erano centrali e la pubblicità trasformava il loro volto”, sottolinea Enis Togni. “Una città come Verona veniva tappezzata da 10 mila fogli pubblicitari e coprivamo un raggio di 30 chilometri. Adesso, in generale, quando si possono mettere 150 plancette hai ottenuto il massimo”.
A Padova il circo alzava le antenne a Prato della Valle, a Verona nella centralissima Porta Palio, a Udine in piazza Primo Maggio, a Bologna alla Montagnola, a Roma in viale Tiziano (stadio Flaminio) a Palermo al Foro Italico. “La collocazione è buona parte del successo – aggiunge Enis Togni – e se anche oggi avessimo quelle piazze il lavoro crescerebbe del 50 per cento”. L’altro fattore che ha gonfiato le vele del circo Americano è stato quello degli artisti ma ancor di più l’insieme, il modo in cui ha saputo proporsi e in particolare le grandi produzioni. Quando si parla delle stelle delle tre piste si fa riferimento a Gunther Gebel-Williams, a Pablo Noel, ai clown Rudi Llata, ai Rastelli, ai trapezisti Jarz e Cardona, giusto per citarne qualcuno di un lungo elenco di nomi di prima grandezza. Ad un certo punto la star diventa Flavio Togni che, già giovanissimo, si afferma al Festival di Montecarlo. E’ Enrico Bassano a scriverne la cronaca: “Il sedicenne Flavio Togni premiato con il Clown d’Argento”. Porta in pista sedici elefanti e dimostra (“con grande soddisfazione e orgoglio del papà Enis e del nonno Ferdinando”, riporta Bassano) ciò di cui è capace la quarta generazione dei Togni. Ma siamo solo agli inizi. Di Clown d’Argento ne arriveranno altri due e da ultimo l’Oro (nel 2011), ma in mezzo c’è una carriera brillante che lo porta anche ad essere la vedette del Ringling Bros. And Barnum & Bailey all’inizio degli anni ’90 e ad avere addirittura due ristoranti, uno a New York e uno in California, che sfornano un “menu Flavio Togni”.
L’Americano può contare su artisti gettonatissimi e sulle produzioni davvero maestose: Biancaneve e i sette nani, Cristoforo Colombo, Le mille e una notte ed altre. Venticinque elefanti in pista, 48 cavalli mandati da Bruno e Willy Togni, le parate fastose. Un circo enorme, imponente, che per i suoi spostamenti si muoveva su tre treni (e così ha fatto regolarmente fino al 1975) e dove passava lasciava il segno.
Ma Enis Togni rivela anche un altro aspetto: non è sempre vero che i programmi di alto livello garantiscano il successo sicuro. “Ad anni alterni si lavorava più o meno bene, ed è difficile trovare delle motivazioni oggettive di questo andamento. La signora Williams, persona dalla quale ho imparato molto, diceva che il circo è come una lotteria, non sai mai bene perché lavori o perché non riesci a sfondare. E aggiungeva: neanche gli alberi crescono fino al cielo”. Il successo è sempre una conquista incerta, frutto di mille condizioni e a volte anche indipendenti dall’impegno che ci si mette.
In Francia: un caso diplomatico
Cosa ricorda con più soddisfazione del periodo d’oro dell’American Circus? Andando indietro nella memoria con la freschezza di un ragazzino, ricordando alla perfezione ogni data e tournée, e facendo dimenticare che per l’anagrafe ha appena compiuto 80 anni, Enis Togni risponde: “Poche sorprese, nel senso che raccoglievamo quello che avevamo seminato e le soddisfazioni c’erano. Forse due episodi eccezionali vanno però menzionati”.
Entrambi hanno a che fare con la grandeur dei nostri vicini d’Oltralpe. “Nel 1979 siamo andati in Francia per fare tappa a Parigi, affidandoci ad un promotore locale e ottenendo una piazza sulla quale mai nessun circo aveva montato prima, Pelouse de Reuilly”. Fra l’altro occupandola tutta con lo chapiteau e i mezzi dell’Americano, mentre ai giorni nostri ospita quattro circhi. “Stiamo tirando su le antenne quando arrivano all’improvviso una decina di automezzi della polizia e una trentina di agenti. Ci bloccano, addirittura mettendo le ruote anteriori dei mezzi a cavallo delle antenne per impedirci di alzarle. Non sapevamo il perché di questo spiegamento di forze. Ci consentirono solo di muovere gli animali, perché ovviamente non avrebbero potuto rimanere chiusi”. Non fu un semplice blitz di un giorno.
L’Americano rimase forzatamente inattivo per giorni. Il motivo? I circhi francesi, a partire dalle principali famiglie circensi, non gradivano “l’invasione di campo”, ma sarebbe meglio dire la concorrenza, anche se era del tutto lecito che un circo italiano andasse in un’altra nazione europea. E così si erano rivolti alle autorità francesi per cercare di bloccare l’intruso. Intervenne anche l’ambasciata italiana suggerendo a Enis Togni di andare a Canossa, cioè di scendere a patti coi circhi francesi. Il titolare dell’Americano non è uomo da farsi mettere i piedi in testa, tanto più perché in quel caso era convinto di avere tutto il diritto di lavorare in Francia.
I media si mobilitarono e tutti a favore del circo italiano: “Qui a peur de l’American Circus?” titolarono i maggiori quotidiani. Già, chi ha paura dell’American Circus? Il caso diventa ben presto internazionale tanto che, ricorda Enis Togni, “anche il Papa ci inviò un telegramma”. Solo questo episodio meriterebbe un libro, ma per necessità di sintesi si può dire che dopo un lungo braccio di ferro che portò anche ad una manifestazione davanti all’Eliseo, il circo riuscì a debuttare: “Alla prima abbiamo riempito grazie ai tanti colleghi francesi che erano venuti a vedere cosa stesse accadendo, da lì in poi abbiamo fatto dodici spettacoli a settimana con il tutto esaurito”. Non è finita, però. Dopo una tournée in Germania, l’Americano tornò in Francia e fu come rivedere alla moviola l’episodio appena raccontato. Anzi, molto peggio, perché stavolta il circo dei Togni i francesi non vogliono nemmeno che metta piede nel loro Paese.
“Mentre da Baden-Baden siamo diretti in Francia, dal ministero italiano ci informano che non ci avrebbero fatto entrare. Segno che avevano già mosso passi diplomatici. Questa volta il pretesto fu quello della licenza: “Per lavorare in Francia secondo la legge occorreva una licenza che chiamavano ‘la cinque’, che in realtà non aveva nessuno, nemmeno i circhi francesi. Il nostro impresario non ce l’aveva e così ci volevano bloccare. Anche in questo caso scattò una gara di solidarietà nei nostri confronti, la figlia di Chaplin ci offrì la licenza ma io ringraziai e risposi che avremmo lavorato con la nostra. Mi sembrava un’assurdità il trattamento che stavamo ricevendo. Ma come, i francesi non vendono i loro prodotti in Italia? La Citroen piuttosto che la Renault o lo champagne? E perché noi italiani avremmo dovuto essere banditi dal loro territorio?” Protezionismo, solo protezionismo e con lo scopo di tutelare i circhi francesi. Sta di fatto che arrivati a Kehl, alla frontiere franco-tedesca, la colonna con tutti i mezzi del circo Americano trova un muro e decide di piazzarsi sul ponte. Si ferma lì, bloccando una arteria importantissima di comunicazione, anche per avere una forte arma di pressione. Non poteva andare né avanti, verso Strasburgo, né indietro, dove si erano schierati gli agenti tedeschi con i cani poliziotto. Ancora titoloni: “L’American Circus di nuovo vittima della guerra dei circhi”. Dopo quattro giorni fermi sul ponte e numerosi tentativi di soluzione, anche stavolta la situazione si sbloccò: “Quando la colonna si mosse la gente alzava le dita in segno di vittoria”. E anche in questa seconda campagna francese, seppure a fatica, l’Americano uscì con un ricco bottino: pienoni ovunque.
“Ho la presunzione di dire che, da un certo punto di vista, abbiamo cambiato la Francia: in città dove i circhi francesi facevano tappe di uno o due giorni, noi abbiamo iniziato a lavorare una settimana e così anche loro hanno seguito l’esempio”.
Ha funzionato il marchio Americano, ripete con un pizzico di orgoglio Enis Togni. E l’avventura continua, se è vero che il 50esimo cade quando il circo si trova in tournée a Vicenza.
Sotto ogni cielo e con gli applausi di grandi personalità
Ci sarebbe da chiedersi sotto quale cielo non abbia navigato questo circo. Difficile dirlo. Dalla Piazza Rossa agli Usa, a tutta l’Europa, sull’asfalto o nei palazzi dello sport, a volte respingendo le folle a fatica, perché il tendone era pieno ma con quelli che non avevano trovato posto ed erano rimasti all’esterno si sarebbe riempito un altro circo. “Un mese prima del nostro arrivo in alcune grandi città giravano già i biglietti a riduzione falsificati del circo Americano”, dice Ugo Nietzsch, per 40 anni, a partire dal 1955, responsabile della pubblicità, capace come pochi altri di piazzare i “richiami” (manifesti, striscioni e altro) del circo nei punti nevralgici delle città, o di distribuire una sapiente campagna promozionale sulla carta stampata. Ancora conserva con scrupolo da bibliotecario buona parte dei cimeli di una lunga e onorata carriera con la famiglia Togni.
Quanti personaggi sono passati dal circo Americano in mezzo secolo! Impossibile citarli tutti. Teste coronate come il principe Ranieri e Costantino di Grecia, Vittorio Gassman, Giuliano Gemma, Federico Fellini, Claudio Villa, Mike Bongiorno, in anni più recenti Gina Lollobrigida, Claudia Gerini, Anna Falchi, Sabrina Ferilli. Politici come Amintore Fanfani, Aldo Moro, Pietro Nenni, Palmiro Togliatti, Enrico Berlinguer, “e i politici venivano senza scorta, anche se presidenti del Consiglio dei ministri, mica come oggi”, commenta Enis Togni. Si, mica come oggi. Troppe cose sono cambiate da quel 1963. Ma l’American Circus continua a far viaggiare il sogno a stelle e strisce.
© Copyright Circo.it – Tutti i diritti riservati