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di Stefano Pasta

Nando-OrfeiNando Orfei, morto a Milano lo scorso 7 ottobre, sarà sempre ricordato per questa frase, accompagnata dalla sua giacca bordeaux, improbabile e forte come tutti i colori e i gusti del mondo circense. “Nandino”, prima giocoliere poi domatore, era famoso per il momento in cui la porta in ferro gli si chiudeva alle spalle, lasciandolo nella gabbia in compagnia di giganteschi felini. Il circo è stato la sua vita e la sua famiglia. Racconta al La Città Nuova la figlia Ambra, acrobata e cavallerizza: «Quante notti abbiamo passato a massaggiare cavalli con le coliche! Capitava che anche gli elefanti stessero male di pancia, magari avevano mangiato troppo fieno; allora io e papà prendevamo i mastelloni da 80 litri, quelli che solitamente usavamo per il bucato, e preparavamo tè caldo con whisky e miele per i pachidermi».

Nei ricordi di Ambra, il domatore di belve è un “gigante buono”: «Sai di cosa abbiamo parlato poco prima della sua morte? Di quando facevamo insieme il presepe all’ingresso del circo. Era l’evento dell’anno: una volta vincemmo anche un premio per un presepe che era grande 20 metri per 10. In tutte le città toccate dal nostro carrozzone, compravamo qualcosa di caratteristico da tenere da parte fino a Natale». Ad un certo punto della sua vita, Nando Orfei divenne una stella del cinema, attore in Amarcord e Clowns del suo amico Federico Fellini. Da bambina, Ambra andava spesso sul set a trovarlo: «Sentiva il bisogno di stare con la famiglia: per questo, rinunciò alla carriera cinematografica per tornare sotto il tendone». Scelse una vita più dura, dove si deve smontare un palco anche se piove e dove aveva la responsabilità di un’intera comunità di 250 persone. «Lui era forte come un gladiatore – racconta la figlia – spostava una roulotte con le spalle. La sua forza? Stare con la sua gente, una famiglia allargata in cui ci si voleva bene. Dopo la fatica, c’erano le grigliate tutti insieme».

A Natale, metteva tutti i bambini – una quarantina – su un camion del circo e li portava al cinema a vedere i cartoni animati: «Allora il cinepanettone era fatto dalla Disney», ricorda Ambra. Nell’immaginario di tutti, gli Orfei sono il circo italiano: Nando, la sorella Liana, il fratello Rinaldo, la cugina Moira, a cui era legatissimo, e i rispettivi figli, tra cui appunto Ambra, nota anche per le apparizioni televisive. Ma forse non tutti sanno che all’origine del Circo Orfei c’è quello che noi oggi chiameremmo un incontro interculturale, o un matrimonio misto. Molto misto… Racconta Ambra: «Nel 1820, il mio trisnonno Paolo era sacerdote a Massa Lombarda (RA), veniva da una famiglia nobile di Urbino ma non aveva una vocazione ferrea. Si innamorò di una sinta del Montenegro che mendicava all’uscita della chiesa e scapparono insieme, tendando la carriera di saltimbanco con quattro cagnolini e un orso». E qui c’è un altro punto di interesse: sì, gli Orfei – come l’altra grande famiglia del circo italiano, i Togni ­– sono di origine sinta.

Non è esattamente l’immagine che di solito associamo a quelle persone che troppo spesso chiamiamo “zingari”, con una parola che ha valenza dispregiativa. Eppure, la metà dei circa 160mila rom e sinti in Italia sono di cittadinanza italiana, attestati sulla Penisola fin dal XV secolo. Tra di loro, appunto, le famiglie lunaparkiste e circensi, ad esempio quella da cui è nata Gardaland, ora comprato da una multinazionale. Circensi e quindi nomadi. Anche altri rom e sinti erano in passato nomadi per ragioni professionali, da chi commerciava cavalli a chi girava le cascine per riparare pentole e attrezzi di rame. Ora il mondo è cambiato (non si riparano più le pentole di rame…) e non lo sono più: secondo una recente indagine del Senato, in Italia solo il 2­3% dei rom e sinti pratica ancora il nomadismo. Spesso “chi resiste” sono appunto i circensi, ma anche loro lo sono sempre meno.

Del resto, anche il mondo del circo è in trasformazione: Gardaland non lo è più da decenni, la stessa Ambra ora non gira più con la compagnia, ma dalla sua casa milanese dirige l’Ambra Orfei Entertainment che, su commissione, organizza feste e spettacoli in tutto il mondo. «Però – precisa – non mancano riferimenti alle radici circensi». La compagnia del padre, invece, resiste, anche se oggi è composta solo da una cinquantina di persone. In questi giorni, il Circo Nando Orfei è di scena a Mirandola. Del resto, come è d’obbligo in questi casi e come voleva “Nandino”, the show must go on.

Corriere.it