|

Alcatraz, il Circo che racconta

di Luciano Cantini

Servizio fotografico di Erica Poggianti

Alcatraz, un’isoletta nella baia di San Francisco, tristemente nota per essere sede del carcere di massima sicurezza dal 1850 al 1963. Chi era destinato ad Alcatraz era particolarmente violento e trattato con durezza.
Dalla sua chiusura ad oggi sono più di 12 i film che sono ambientati in quella realtà, poi anche un serial televisivo e non pochi video giochi. Ma una cosa è essere spettatore esterno e una cosa essere coinvolti in una azione scenica, così come capita a chi partecipa allo spettacolo Alcatraz. Circense è la famiglia Medini che gestisce la struttura e ne è l’anima, circensi sono una parte di protagonisti dello spettacolo che vede in pista anche attori, musicisti, cantanti, oltre gli spettatori che si lasciano coinvolgere.
L’impatto è forte fin da subito, la struttura della hall in cui si attende l’ingresso nella sala dello spettacolo è animata dagli attori che in mezzo al pubblico impersonano detenuti e secondini con improvvise scene, a volte violente. Si rimane un po’ perplessi, forse confusi, anche entrando nel circo (struttura comoda e ben attrezzata) in cui lo spettacolo non ha un inizio. La pista e le sedute sono impegnate già dagli attori che piano piano introducono gli spettatori nella storia ambientata ad Alcatraz negli anni ’50.

La storia fa emergere la violenza che arriva fino alla giustizia sommaria che sembra appartenere ad un mondo circoscritto come un carcere ma che è il frutto di una mentalità diffusa in cui i violenti subiscono violenza in nome dell’ordine e della tranquillità dei cittadini. In una realtà così pesante non manca la poesia, il sogno, la fantasia e neppure la comicità.
La musica, tutta dal vivo, sottolinea gli avvenimenti con una chitarra suonata con virtuosismo e con un ritmo insistente che accelera il patos di chi partecipa.
La recitazione e i personaggi diventati numeri richiamano la violenza e l’oppressione mentre alla acrobatica e ai numeri circensi è affidato il compito di descrivere le fantasie e il bisogno di libertà, evasione compresa quella sessuale. Tutto è descritto con pesante leggerezza ed è proprio la leggerezza che deposita con semplicità nell’animo degli spettatori quella “pesantezza” che aiuta a pensare.
Per capire meglio il senso dello spettacolo che lascia la voglia di essere visto di nuovo, sono le parole di Luca Razzauti; laureato in scienze dello spettacolo sta preparando la laurea specialistica sulla scenografia. È un ragazzo particolare con qualche difficoltà a livello comunicativo relazionale superate con fatica ma dal grande intuito che dopo aver visto lo spettacolo ha scritto:

[Luciano ci ha invitati al circo ieri sera.] Ok, il circo mi piace. Quello che non avevo capito era la peculiarità di questo spettacolo.
Intanto direi che lo spettacolo è un genere a sé, non propriamente circo, non propriamente teatro.
Direi una bella esperienza di circo teatrale oppure di teatro circense.
Le novità di rilievo, piacevolmente sorprendenti: la prima parte interattiva e il tema scelto.
Complimenti.
La parte iniziale, quella più innovativa, mi ha messo un po’ alla prova.
Le urla, i movimenti repentini, le azioni a contatto ravvicinato non sono pane per i miei denti.
Ma ho compreso l’intenzione: ricreare il clima di tensione di Alcatraz. Con me ci siete riusciti.
I luoghi di detenzione non sono certo ameni, ma quello era tristemente noto per la crudeltà fisica e psicologica alla quale i detenuti dovevano sottostare. Il criterio adottato era: se non reggi crepi.
Unico metodo adottato: il terrore. Quindi bravi attori che anche con il linguaggio ci avete introdotti in un clima di non rispetto.
Bravissimi poi a mostrare come la mente, in uno spazio onirico, al colmo della sofferenza, riesca a liberare il corpo. I vostri numeri acrobatici mi hanno liberato lo spirito. Grazie.
Non dobbiamo avere paura di guardare in faccia la realtà, anche se solo attraverso uno spettacolo.
Denunciare il male del mondo rende tutti più liberi e forse più disponibili verso chi soffre.
Speriamo, perché se ci chiudiamo nel nostro egoismo vuol dire che ci siamo infilati dentro la nostra personale Alcatraz.

PS: Luca Razzauti è un ragazzo laureato a Pisa (110 lode) triennale, a ottobre discuterà la tesi sulla sceneggiatura (e non sarà da meno). È affetto da sindrome dell’X fragile. Ha fatto un duro percorso di Comunicazione Facilitata Aumentativa con cui si esprime. Ha una fortissima coscienza di se stesso e delle sue problematiche ma anche uno spirito di osservazione che riesce a esprimere con un linguaggio necessariamente sintetico. Ha partecipato a diversi convegni sulla sua problematica e sulla CFA. Sta partecipando ad una indagine sulla comunicazione promosso dalla Università di Manchester.

Short URL: https://www.circo.it/?p=42141

Comments are closed

Archives

Comments recenti