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Al Fringe di Edimburgo la meraviglia più grande è il circo

di Alessandro Serena

Ogni agosto la redazione di Circo fa tappa ad una delle più grandi manifestazioni dedicate allo spettacolo dal vivo del mondo, il famosissimo Fringe di Edimburgo. In attesa della nuova edizione, ecco alcune delle proposte più interessanti andate in scena nel 2022. Come ogni anno, la meraviglia più grande l’hanno offerta gli spettacoli di circo.

Kin

Da più di settant’anni, il mondo dello spettacolo dal vivo ha un appuntamento imperdibile ad agosto. Si tratta dell’Edinburgh Festival Fringe, la rassegna più importante su scala planetaria che ospita per un mese migliaia di show di ogni genere (dal teatro alla danza, passando per la stand-up comedy e naturalmente per il circo) riempiendo la capitale scozzese.

Per il pubblico è un’immensa festa no-stop nella quale è possibile incontrare performer provenienti da tutto il mondo e assistere ad una gamma pressoché infinita di esibizioni, tanto nei teatri più eleganti quanto nelle sale più piccole all’ultimo piano di un anonimo palazzo.

Per gli artisti che vi prendono parte non è solo una vetrina dalla quale presentare la propria opera a migliaia di spettatori e ai direttori di teatri e festival di tutte le nazioni ma è anche un’occasione preziosissima per conoscere il panorama attuale delle performing arts, confrontarsi coi colleghi e meglio posizionarsi all’interno del mercato del live entertainment.

Nel 2022 gli spettacoli sono stati 3.334: fare un resoconto anche solo parziale delle proposte del Fringe, pur limitandosi al circo, sarebbe troppo riduttivo dell’offerta caleidoscopica di questo festival. In attesa di vedere quali novità ci attendono nel 2023, quest’articolo prova dunque a segnalare solo alcuni degli show presenti in cartellone l’anno scorso, con la speranza di riuscire a dare un’idea di quanta varietà sia presente in una manifestazione unica al mondo.

Tra circo e varietà. Humans 2.0 e La Clique

Da tempo la compagnia australiana Circa si è distinta come uno dei fenomeni più interessanti del circo contemporaneo. Dopo il successo di Humans (presentato in Italia da Raffaele De Ritis a Funambolika), il gruppo ha portato a Edimburgo una versione 2.0 dello show che, partendo da un’impostazione concettuale simile all’originale, crea in pratica un nuovo spettacolo potente quanto il primo. Su un palco bianco a forma di cerchio, dieci persone si cimentano in una serie di acrobazie d’altissimo livello, spesso difficili da definire: accanto a esercizi di ispirazione classica (una donna che muove i suoi passi su doppie colonne, piramidi con due artisti alla base, due in mezzo e uno in cima che tiene una sesta persona, due performer su un terzo messa ad arco, terze colonne e terze colonne spezzate) viene infatti presentato un repertorio non canonico, fondato sulla ricerca di nuovi modi di unire i corpi dei performer. Il tutto tenendo assieme virtuosismo e delicatezza, tecnica sopraffina e apertura all’errore: lo slancio di un artista verso l’altro si trasforma in un abbraccio goffo, i salti non sempre ricevono una presa dai compagni, l’equilibrio sui corpi degli altri è sempre instabile, pronto a svanire.

Humans

Tra numeri con le cinghie, alla corda verticale, di banchina, col trapezio basso, assistiamo anche alla parodia dei balli da discoteca, con gli artisti che si dimenano, si contorcono, saltano scoordinati. In questo passaggio è più evidente un tratto comune all’intera esibizione: Circa performa l’imperfezione. E l’effimero: gli esercizi si compiono e svaniscono in un istante, durano un attimo e si volatilizzano. Un’estetica lontana da quella del circo classico, che però raggiunge lo spettatore col medesimo messaggio: la bellezza di essere umani che interagiscono tra loro.

Di tutt’altro tenore lo show de La Clique, forse uno dei più convincenti del 2022, tanto da registrare numerosi sold out nello spiegeltent The Beauty di Underbelly, una delle multivenue che animano il Fringe.

Se in passato aveva proposto uno spettacolo con un filo rosso a fare da trama, oggi questa compagnia offre al pubblico un varietà dal format abbastanza classico ma dal piglio decisamente originale: una serie di numeri d’altissimo livello scollegati tra loro, della durata di pochi minuti ciascuno, presentati uno dietro l’altro senza troppi fronzoli, tutti perfettamente disegnati da luci che esaltano l’emozione e tutti giocati sul confine tra il sexy e l’ironico (sfiorando anche il blasfemo). Senza soluzione di continuità, vengono presentati un impeccabile numero di sospensione per i capelli (la cui interprete eseguirà poi un altrettanto preciso esercizio col cerchio aereo), un cowboy che gira nella sua ruota cyr su una piattaforma grande poco più del perimetro dell’attrezzo stesso, una routine al palo (uno dei pochi momenti delicati in uno show molto chiassoso), un numero con la sfera gigante in testa che, al contrario di quanto avviene di solito, viene portato in scena da una donna, che pian piano viene completamente inghiottita dal globo, con un finale quasi burlesque. E poi un’esibizione sul monociclo, un duetto sui pattini, una performance su due cinghie che, in maniera inusuale, sono unite in basso, in modo che l’attrezzo ricordi anche una una corda verticale. Tutti inframezzati da intermezzi comici (quello più riuscito è quello nel quale viene chiesto a uno spettatore di saltare ogni volta che un’altra persona del pubblico preme il pulsante di un telecomando e si cerca di fargli mangiare del cibo appeso ad una esca).

Tra le scene più speciali, quelle interpretate da Heater Holliday, come conturbante mangiaspade, che inghiotte prima una, poi due e poi sei spade e, a conclusione di un numero scritto benissimo, si mette in posizione orizzontale per mangiare una spada storta e infine inghiotte una spada laser che le illumina la gola di rosso. Successivamente troviamo la stessa performer nelle vesti (succinte) di mangiafuoco, per un nuovo numero magistrale.

Con la sua verve e la sua libertà creativa, La Clique dimostra perfettamente che, in mani sapienti, lo spirito del circo classico sa ancora divertire alla grande gli spettatori.

Dal contemporaneo al classico. Kin, Tulu e Cirque Berserk!

Il bello del Fringe è la compresenza di stili e visioni differenti. C’è davvero spazio per tutti e chi ama il circo può trovare ogni sua declinazione, dal classico al contemporaneo, dal pop all’intellettuale. Un’ottima via di mezzo tra questi poli è Kin, della compagnia inglese Barely Methodical Troupe, che mette in scena un casting esistenzialista, misterioso ma molto godibile. In scena, una ragazza e quattro ragazzi vengono scrutati da una non meglio precisata figura femminile, in quello che è un provino spietato, durante il quale ogni tanto suona un telefono rosso ma, come dice la donna del casting, “It’s not him”, senza mai spiegare chi sia quel lui tanto atteso.

Accompagnati da chitarra e batteria dal vivo, e da musiche efficaci nell’esaltare la freschezza della messinscena, gli artisti si cimentano in acrobatica a terra, lanci e prese, numeri di ruota cyr, sfide di breakdance, alternando momenti delicati, rivelazioni personali, gag comiche e scene concitate. Ad infittire la trama a più livelli di quest’opera, il premio della competizione è una banana (che campeggiava iconicamente nei poster affissi per tutta Edimburgo), un altro enigma da decifrare per quello che potrebbe essere definito un dramma pinteriano in chiave circense.

Tulu

Più classici nell’impostazione gli show di Circus Abyssinia e Cirque Berserk. Pur senza il tendone, infatti, le due compagnie hanno proposto spettacoli nei quali i numeri si susseguivano senza un vero e proprio legame tra loro e a far da padrone, più che la particolarità degli allestimenti, era il virtuosismo fisico e le atmosfere tradizionali: quelle del continente africano, e dell’Etiopia in particolare, nel caso di Tulu del Circus Abyssinia che conteneva un repertorio fatto di contorsionismo al femminile (davvero impressionante e velocissimo nei cambi di posizione), banchina e verticalismo, ma anche pattini, giocoleria con torce infuocate, salti spericolati nei cerchi, cinghie e performance all’altalena; a far da sottilissimo collante, qualche riferimento alle olimpiadi (lo show è dedicato alla campionessa Derartu Tulu, mezzofondista e maratoneta), con le torce e i cerchi a rappresentare fiaccole olimpiche e il celebre logo della manifestazione sportiva. Questo spettacolo trova un equilibrio tra l’esigenza di richiamare l’Africa e l’immaginario collegato a questo continente e la voglia di esprimere la propria fisicità senza scadere banalmente nei cliché.

Cirque Berserk! è ancora più esplicitamente legato al mondo del circo classico, anche perché la compagnia che lo porta in giro ha una lunga tradizione alle spalle. Forse un po’ penalizzato dalla distanza dal pubblico, nonostante la presenza di due maxischermi, lo spettacolo non nasconde le sue ambizioni: 27 artisti provenienti da varie nazioni, un melting pot colorato che mischia suggestioni varie, con una preponderanza di quelle gitane. Anche in questo caso, gli act proposti sono innumerevoli, presentati a ritmo serratissimo: salti con la corda, piramidi umane, numeri coi cerchi, tessuti aerei, verticali, equilibrismi (tra i più apprezzati, quello a testa in giù appeso per i denti), limbo col fuoco, trapezio a due, altalena russa. Tra gli elementi che si rifanno più esplicitamente allo spettacolo popolare, il numero dell’arciere che scocca le frecce utilizzando i piedi, gli intermezzi comici eseguiti da un clown nano, le scene con il lanciatore di coltelli. La parte più apprezzata, tutta adrenalina, è quella dei motociclisti nel globo della morte (altro classico delle feste di ogni nazione): 5 centauri senza paura che a velocità folle sfidano la morte per lo stupore e la gioia del pubblico. L’essenza stessa del circo.

Il circo e la “frangia”. Materia

In inglese, la parola “fringe” significa “frangia” e indica anche ciò che è posto ai margini. Qualcosa di laterale. In ambito artistico, va includere tutto ciò che è sperimentale. In effetti, questo festival contiene molti spettacoli non canonici, di ricerca. Nel 2022 ce n’era uno realizzato da un italiano, Andrea Salustri, di stanza ormai da molto tempo a Berlino. Il suo show Materia, come recita il foglio di sala, è una coreografia per diverse forme di polistirolo e un umano. In concreto, significa che il performer cessa di essere protagonista, lasciando che lo sia il materiale in tutte le possibilità. Senza alcun tipo di narrazione di supporto, lo spettatore assiste a un interessante ibrido tra performing art ed esperimento scientifico. Il “facilitatore” umano da una parte governa gli oggetti, dall’altra sembra voler lasciare loro libertà, limitandosi a contemplare le reazioni agli stimoli che genera con altri attrezzi. Inizia mettendo delle sfere di polistirolo su un ventilatore rivolto verso il soffitto, lasciando che l’aria le sospinga in alto. Sembra un mago in un numero di lievitazione. Pilota le correnti finché le sfere assumono le sembianze di pianeti fluttuanti. C’è qualcosa di mistico in questa manipolazione. Poi su quel ventilatore costruisce una sorta di recinto, sempre di polistirolo, sul quale sbatte una sfera nel suo girare. Il rumore, amplificato dai microfoni sapientemente installati, diventa un mantra ancestrale che accompagna il prosieguo dell’esibizione. Si passa a un altro esercizio: Salustri pone una tavola di polistirolo tra due ventilatori contrapposti e, con solennità, armeggia fino a farla rimanere in equilibrio verticale sul lato corto. La tavola trema, sembra viva.

Materia (foto di Milan Szypura)

Quando l’interprete balla con un quadrato di polistirolo non si capisce chi guida chi. Quei momenti, in cui lancia e riprende quella forma materica, sono quanto di più simile alla giocoleria convenzionale, ma rimaniamo comunque in un ambito totalmente diverso, superando perfino il concetto di contact juggling alla Michael Moschen. Nella sua indecifrabilità, lo spettacolo è costellato da immagini che colpiscono, come quelle, bellissime, dei pulviscoli che danzano nell’aria, del graduale scioglimento nell’acqua di una lastra, della fiamma che distorce il polistirolo fino a trasformarlo in un’opera che non sfigurerebbe in una mostra di arte contemporanea o del finale, potentissimo, che porta gli spettatori in un temporale, un terremoto, un tornado. Come se tutto stesse per crollare.

A che cosa abbiamo assistito? A un paesaggio emozionale, a un’esplorazione sonora? Certamente definizioni come circo, teatro e performance sembrano stare strette a questa esperienza. La risposta, però, potrebbe essere più facile del previsto: è il Fringe. La sua natura è meravigliarci.

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