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Il grande cappello: l’esplosione dell’arte di strada


Il successo del Festival di Fossano, in Piemonte, conferma quello delle rassegne dedicate alle arti di strada diffuse in tutta Europa e nel mondo. Un fenomeno sempre più presente ed eclatante che trasforma le città, i borghi, intere zone urbane in enormi teatri multidisciplinari all’aperto.
Così piccole, medie o grandi città diventano la sede di rassegne che hanno un impatto di rilevanza incredibile sulla vita non solo culturale ma anche sociale ed economica di queste località.
Le arti di strada, è noto, sono antichissime. Dai tempi dell’antico Egitto, sino alla Roma imperiale con i suoi Circolatores, e poi lungo tutto il medioevo, quando menestrelli, giullari, mostratori di meraviglie, assunsero un ruolo importante come momento di aggregazione delle genti in un periodo buio. Le fiere ed i mercati, dove principalmente agivano, si trasformavano per alcuni periodi dell’anno, in un momento di gioiosa vita in comune. Le massicce corde di canapa dei funamboli, tese tra importanti edifici della città, in qualche modo rappresentavano la fusione fra le istituzioni e il popolo, che si vedeva unito ad ammirare le prodezze compiute. Anche se il libero esercizio, ovvero l’arrivo di saltimbanchi in momenti poco graditi, era spesso bandito.
Un’arte tipicamente popolare che subì gioco forza battute d’arresto in concomitanza di grandi eventi funesti, come le due guerre mondiali del secolo scorso. Ma che conosce una rinascita attorno agli anni ’60, quando l’arte di strada assume forti connotazioni sociali e politiche. Si sviluppa dentro ed attorno ai grandi movimenti giovanili della fine degli anni ’60 e che sfociano nel nostro Sessantotto. La conquista della strada come indicazione di una scelta di vita, i figli dei fiori, gli hippie, con molti dei partecipanti a Woodstock che decidono di prendere la via del mondo per affermare la propria libertà e la propria autonomia dal sistema. La scelta è quella di girare il mondo armati di pochi attrezzi, magari una chitarra, e lavorare “a cappello”, ovvero chiedendo un obolo agli estemporanei avventori. Le esibizioni sono quasi sempre molto semplici, non strutturate, non ci sono costumi raffinati, non vengono presentati esercizi eccezionali, non si lavora sotto i riflettori, ma alla luce del sole o al massimo illuminati da qualche lampione. Lo stupore dello spettatore nasce in primo luogo nell’incontrare qualcuno di inaspettato in un luogo quotidiano. Il cortocircuito di imbattersi in un giocoliere ad un angolo della strada dove di solito si passa per andare a comprare il giornale o il pane.
Il fenomeno si diffonde ovunque. Alcune di queste zone diventano celebri per la presenza degli artisti di strada, come Les Halles a Parigi, Covent Garden a Londra, Central Park a New York. E finiscono per diventare attrazioni turistiche. Degli amministratori accorti e lungimiranti si rendono conto che questi artisti non solo non disturbano ma rendono la zona più allegra e, alla lunga, più gradita dai visitatori. E scatta un meccanismo che avrà esiti inaspettati.
Grandi città d’arte o piccole città storiche decidono di ricostruire artificiosamente aree del genere, dando libertà al pubblico esercizio. Ben presto nascono dei Festival di arte di strada, a volte a margine o come sezioni di grandi festival di teatro o di spettacolo in generale, come nel caso di Edimburgo. Altre volte in piena autonomia. Il risultato è inaspettato ed esplosivo.
Queste manifestazioni attirano decine o centinaia di migliaia di visitatori dalle zone circostanti e poi da tutto il mondo. Con un indotto di portata enorme per gli esercenti della località. A beneficiarne di più, ovviamente, il settore turistico, della ristorazione e alberghiero, ma in genere tutte le categorie ne escono felici e con incassi a volte più che raddoppiati. Questo permette a grandi città con già spiccate caratteristiche turistiche di migliorare le performance in particolari periodi dell’anno o a piccoli e sconosciuti borghi di assurgere a capitali della cultura per una settimana all’anno. Sì, perché il format più diffuso è quello di un week end lungo, che inizia il mercoledì o il giovedì, durante il quale vengono presentati centinaia di spettacoli. Avete letto bene, centinaia di spettacoli, spesso ogni giorno. La direzione artistica si impegna a evidenziare i luoghi più tipici e conosciuti della località, ma anche a scoprirne e valorizzarne di nuovi, di trascurati, a volte tentando e riuscendo a recuperare zone versate da anni nel degrado urbano.
La presenza nel mondo di migliaia di queste manifestazioni di fatto crea un mercato del lavoro ricco ed articolato. Infatti gli artisti non vanno più solo ed esclusivamente a cappello. Le compagnie ottengono dalle organizzazioni o dagli enti pubblici cachet anche consistenti. Così, mentre in passato gli artisti di strada erano messi al bando, adesso sono cortesemente invitati ad intervenire. Ed un artista che si mette a creare uno spettacolo, se ha successo, sa che potrà contare su numerosissime repliche. Questo è un grande stimolo per la creatività, perché bisogna saper presentare un prodotto nuovo e di qualità per poter contare su una buona distribuzione.
Quali sono le forme artistiche presentate in queste manifestazioni? Ovviamente esistono rassegne piccole, medie, grandi e grandissime. Festival tematici o concentrati solo su alcune forme. Ma nella maggior parte dei casi la composizione è estremamente variegata.
Sono rimasti attivi gli artisti che presentano forme molto semplici e leggere, sia nella struttura tecnica che nell’estetica, facili da presentare ad ogni angolo di strada. Questi menestrelli del terzo millennio hanno diversificato la proposta artistica in mille rivoli differenti. Dalle classiche statue viventi (con repertori che vanno dal più banale al sublime), alla dimostrazione di tecniche circensi, ai contastorie, agli esperti del teatro di figura, ma anche a coloro che lo spazio urbano in qualche modo lo arredano, come i madonnari. Ognuna di queste discipline ha sviluppato mille estetiche e mille varianti che vanno dal classico al contemporaneo. Così le tecniche circensi non sono più solo quelle più semplici della giocoleria o della clownerie, ma anche quelle dell’acrobatica, dell’equilibrismo e delle discipline aeree. Le storie vengono raccontate con l’ausilio di moderne tecniche multimediali. Il teatro di figura presenta forme e formati molto inusuali che sfociano nella sperimentazione. Ed oltre ai madonnari sono presenti maestri del “writing” e dei graffiti urbani.
Oltre alla varietà nella tipologia esiste anche la varietà nella grandezza. Non più solo spettacoli presentati da una o due persone ma grandi formati che invadono festosamente lo spazio urbano. Dalla tradizione delle sfilate carnevalesche sono nate delle compagnie specializzate nella realizzazione di enormi apparati scenotecnici che sfilano per la città raccontando storie di draghi e cavalieri. Da specialisti dei numeri aerei sono nati gruppi che riempiono il cielo delle piazze più grandi e più belle con attrezzi disegnati da architetti che diventano uno spettacolo nello spettacolo. Vengono utilizzati proiezioni e retroproiezioni che trasformano le facciate dei palazzi più storici e noti o di edifici semi sconosciuti. Vengono allestiti grandi palchi e spaziose tribune per ospitare e potersi gustare gruppi numerosi o che abbisognano di spazi ampi. Allo stesso tempo viene riscoperta l’intimità di piccoli luoghi, stretti cortili, chiostri, vecchie edifici della preistoria industriale, vengono allestiti per presentare spettacoli più delicati che necessitano di una protezione rispetto al rumore della strada. Così come vengono utilizzati piccoli o grandi chapiteaux che arredano la città.
I Festival, inoltre, (come ben rappresentato da Mirabilia) possono anche essere momenti di giocosa riflessione culturale o sociale. Sono spesso presenti compagnie che portano in giro per il mondo la propria cultura di riferimento. Gruppi etnici, monaci dervisci, ballerine indiane, musicisti mongoli. O compagnie, sempre più numerose, che lavorano sul sociale, sia con la messa in scena spettacoli con persone che provengono da situazioni di disagio mentale o sociale (sublime lo spettacolo Complicitè, con artisti down e “complici”). Sia per la scelta di temi sociali nella scrittura dello spettacolo.
Ma la componente sociale è presente anche in altre due direzioni. La prima è la rete con il mondo. Spesso infatti questi eventi sono in connessione tra loro e fanno convergere sinergie su singoli progetti aumentandone così le potenzialità di diffusione, attraverso articolati sistemi di coproduzione. Il Festival quindi non pensa solo a presentare degli spettacoli, ma dona anche strumenti di crescita alle compagnie. Come da noi Open Street, un progetto della Federazione Nazionale Arti di Strada che mette in circuito festival di tutto il mondo e propone una vetrina di spettacoli ad ottobre a Fermo.
Non è da trascurare il grande impatto economico di manifestazioni di questo genere. In Italia, solo per citare altri due casi di successo, Mercantia a Certaldo, al quale partecipano 45 mila visitatori paganti che accorrono nel piccolo borgo medievale. E il Buskers Festival di Ferrara (nella foto in home page, tratta dal sito www.ferrarabuskers.com) che a fine agosto, in cinque giorni attira oltre 800 mila visitatori, con un budget superiore ai 700 mila euro. Nelle più grandi manifestazioni all’estero (come Aurillac, in Francia o Tarrega in Catalogna) queste cifre possono essere moltiplicate per dieci. Uno studio realizzato di recente da una rassegna con caratteristiche simili, quello di Manresa in Spagna, attesta che per ogni euro speso vi è un ritorno di otto come indotto sulla comunità.
I bilanci sono sostenuti da una parte di incassi su biglietti, contributi di associazioni di esercenti, grandi sponsor come istituti bancari o operatori di telefonia. E, ovviamente, godono del sostegno degli enti pubblici, sia a livello locale che centrale. In alcuni casi, addirittura, i ministeri della Cultura sostengono l’attività degli artisti di strada all’estero. In Italia, forse non ci si è ancora accorti dell’enorme potenzialità di queste manifestazioni, che in virtù dell’enorme patrimonio culturale della nostra nazione, servirebbero da utile traino per l’economia generale del settore.
Così, il cappello mostrato dai saltimbanchi si è trasformato ora in un articolato bilancio con interventi pubblici e privati. Ma forse le istanze sono le stesse di allora. Forse viviamo in un medioevo moderno e sentiamo come prioritaria la necessità di aggregarci. In un mondo di tecnologie virtuali, di media on line e di avatar, sentiamo il bisogno di scendere in strada ed incontrare lo stupore di uno spettacolo dal vivo presentato in un luogo inaspettato: casa nostra.
Alessandro Serena

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