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Vegliò, il cardinale innamorato del circo e dei clown

Il card. Antonio Maria Vegliò

Il circo? «È festa, gioia di vivere e di fare, dinamismo allo stato puro». La figura del clown? Ha un’innegabile «valenza educativa». I circensi e i fieranti? Testimoniano nella nostra società «valori postivi di solidarietà, fratellanza, allegria e accoglienza». Guai, dunque, a «ogni forma di marginalità e pregiudizio» nei loro confronti.
Non sono frasi di maniera quelle pronunciate dal neo-cardinale Antonio Maria Vegliò, guida del Pontificio Consiglio della Pastorale per i Migranti e gli Itineranti. Piuttosto, quelle affermazioni, assomigliano a una vera e propria dichiarazione d’amore nei confronti del mondo dello spettacolo viaggiante. Parole piene di stima e di ammirazione che il neo porporato, “creato” cardinale da papa Benedetto XVI al Concistoro del 18 febbraio, ha pronunciato nel corso di un’intervista rilasciata un mese fa alla versione on line del mensile “Il Circo”.
I circhi e i luna park, ha osservato il religioso, sono stati definiti “cattedrali di fede e di tradizione” perché sono «luoghi in cui, al di là delle barriere culturali e delle separazioni linguistiche e religiose, le persone si incontrano e si riconoscono fratelli e sorelle, accettandosi nelle loro diversità». Anzi, vegliò si spinge più in là: «Essi- assicura – possono divenire nuovi areopaghi per l’annuncio del Vangelo e la trasmissione della fede».
Di circensi e fieranti, Vegliò ha imparato a conoscere problemi ed esigenze: il particolare ritmo di vita, le attese, il livello spirituale e morale con le sue punte di generosità e i suoi cedimenti. Senza dimenticare le difficoltà che incontrano durante i loro spostamenti e l’emarginazione di cui spesso sono vittime.
«Per venire incontro alle difficoltà di questo ambiente, la Chiesa – ha osservato Vegliò – ritiene necessario investire nella formazione, soprattutto delle giovani generazioni, perché si possa parlare di apertura e di accoglienza anche nei confronti dei Circensi e dei Fieranti».
Quanto alla presenza di animali e alla coinvolgimento negli spettacoli, Vegliò non ha dubbi: quelle esibizioni sono «affascinanti», ma i proprietari devono vigilare affinché le bestie ricevano un «trattamento adeguato al loro benessere, con addestramenti rispettosi e positivi».
Ma è il clown la figura che da sempre ha attirato di più il neo-cardinale: «Apprezzo e ammiro tutti gli artisti del circo – afferma Vegliò – perché sono ben consapevole di quanto sacrificio ed esercizio, quanta dedizione e quante rinunce comporta la loro professione. E per questo oso dire che la loro, più che una professione o un lavoro, è una vocazione. Il clown ci incanta per la creatività e la capacità con cui presenta, in forma di gioco, le cose ordinarie della vita, le azioni o gli atteggiamenti per i quali normalmente proviamo disagio o vergogna, perché considerati sbagliati, sfacciati o esagerati. Attraverso i suoi gesti spontanei e vivaci, – prosegue il cardinale – il clown trasmette allo spettatore un messaggio concreto: lo invita a liberare l’allegria e la generosità che porta in sé. In più, il clown cerca di risvegliare nell’uomo la capacità di ridere di se stesso; il suo intento è aiutare le persone a vincere le proprie paure. Il clown ci invita a toglierci quella maschera che indossiamo in certe circostanze per difendere noi stessi o la nostra immagine. Assistendo allo spettacolo del circo – conclude – si riceve il dono di tornare alla meraviglia e all’innocenza nell’infanzia, quanto tutto è ancora puro e pieno di speranze per il futuro».
Vatican Insider-La Stampa

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