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Sandy Medini: fare circo fra innovazione e tradizione

Sandy Medini (le foto del servizio sono di Emanuele Vergari)

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Il cognome è di quelli altisonanti nel mondo degli chapiteaux, ma, come ci spiega lei stessa, non è un lasciapassare scontato se non si hanno il talento e la voglia di costruire uno spettacolo di qualità.
Sandy Medini, la nipote di Hella Swoboda, una delle sorelle “Medrano” (insieme a Vanda, Anita e Resi) e Renato Medini, ha le idee chiare su come si porti avanti un’impresa circense di successo, e lo dimostra il riscontro di pubblico e critica che sta ottenendo il nuovo spettacolo del “Circo Acquatico Bellucci” (il padre di Sandy, Mario Medini, è sposato con Loredana Bellucci) Pirati. Tra l’incontro con l’ingegnere del comune e il lavoro d’ufficio quotidiano che precede la sua esibizione nello spettacolo, la giovane artista, diplomata come verticalista e trapezista all’Accademia di Verona, con anni di esperienza negli spettacoli del circo di famiglia, mi risponde al telefono di prima mattina, indaffarata, ma con un entusiasmo contagioso nella voce. E’ il mestiere del circo, in fondo, che non conosce orari e non teme fatiche.

Lo spettacolo Pirati

Sandy, parlaci di come ti è venuta e si è sviluppata l’idea del nuovo spettacolo, che si svolge, come una sorta di marchio del vostro stile, su un palcoscenico teatrale e non nella consueta pista tradizionale. Quali sono le novità?
Avevo voglia di fare qualcosa di nuovo. L’idea della pista teatrale c’era anche prima che facessi io lo spettacolo e il fatto che si ricrei un ambiente intimo rende l’atmosfera più familiare. Andrea Bertinelli (il presentatore dello spettacolo precedente, Voyager, ndr) mi ha dato una mano per l’idea dello spettacolo, anche se erano tanti anni che l’avevo in testa. La chiave teatrale è più sviluppata, cioè è una storia più completa, un filo conduttore che rende la parte recitata fondamentale. Inoltre proponiamo idee innovative, anche dal punto di vista delle esibizioni, come ad esempio quelle che si svolgono in mezzo alla gente e non sul palco.
Hai citato Bertinelli, che era un “neofita” del circo. E in Voyager anche Flic e Flac (Elisa Magni e Raffaele Rizzo) erano un ragazzo e una ragazza approdati dal mondo esterno. Che importanza ha per te introdurre e coinvolgere persone che non hanno alle spalle un background circense?
Io sono a favore di questa commistione, ed è un aspetto molto importante per me. Anche grazie a loro siamo riusciti ad innovarci, forse se fosse stato solo per la nostra mentalità circense non saremmo riusciti a realizzare quello che abbiamo fatto. Flic e Flac mi hanno supportato nell’idea dei Pirati. Elisa mi ha dato una mano a disegnare i costumi, e Raffaele mi ha dato alcuni consigli tecnici, di regia e messa in scena. Loro ci mettono un amore sconfinato per il nostro mestiere, noi le competenze dovute ad anni di tradizione. Uno scambio che può arricchire lo spettacolo.
Tua nonna, Helen Swoboda “Medrano”, è stata una grande cavallerizza e donna di circo, famosa con le sue sorelle. Che insegnamenti ha dato a te e ai tuoi fratelli sia professionalmente che nella vita, se ce no sono di particolari che ti hanno guidato nella tua carriera.
Mia nonna ha avuto una vita straordinaria, ha vissuto anche molte difficoltà, è nata in una famiglia ricchissima che ha perso tutto con la guerra, ha addirittura vissuto per quattro anni in Marocco. È piena di vita e mi ha insegnato a viverla appieno, perché la vita è una sola e la sua essenza è la famiglia. Mi ha insegnato che il nostro mestiere si fa con la massima serietà, sempre. Che il tendone sia pieno, o ci siano quattro persone, noi artisti dobbiamo affrontare lo spettacolo nello stesso modo, con la stessa professionalità, lo stesso sorriso.
Provenire da una famiglia importante è una responsabilità o una facilitazione?
Nell’ambiente circense il nome è riconosciuto, all’estero di più, in Italia è apprezzato solo se hai la forza di portare avanti ideali e obbiettivi con le tue sole forze, proponendo uno show di alto livello.
Che rapporto hai con i tuoi fratelli (Jennifer e Sonny) e cosa pensi della formazione ricevuta, dato che vi siete formati tutti e tre all’Accademia Circense di Verona (prima a Cesenatico)?
La considero una solida formazione. Io e mio fratello l’abbiamo frequentata insieme, mia sorella è più piccola, è entrata dopo, da sola. Io aumenterei comunque le ore di studio delle discipline anche dopo la scuola. In Italia c’è una cultura della professionalità meno sviluppata che in Russia, ad esempio. Noi siamo abituati a fare la scuola e tornare poi subito a lavorare nei circhi di famiglia, senza viaggiare o studiare all’estero. Osservare cosa accade in altre realtà è importante per il business di oggi per portare nella propria attività elementi nuovi.
A proposito di business e di idee nuove, sembri conoscere quali sono le caratteristiche per uno spettacolo circense di successo nel mercato odierno. Voi vi siete impegnati in una tournée anche in mercati emergenti e non scontati come ex Jugoslavia, Romania, Ungheria, Bulgaria. Cosa dovrebbe fare il circo classico per migliorarsi, senza risultare anacronistico, né snaturarsi nella tradizione?
I circhi italiani devono accogliere le idee nuove, viaggiare fuori per costruirsi un’esperienza più consistente e mostrare qualcosa di nuovo alle persone, anche dal punto di vista della presentazione dello spettacolo e dell’ambiente. Il pubblico ha bisogno di essere sorpreso, e per fare questo è necessario essere competitivi. Il nostro stile era già diverso dal circo tradizionale prima (un circo acquatico che presenta numeri peculiari con animali particolari, ndr), ma senza snaturare la tradizione con la presenza fissa delle discipline circensi classiche. Vorrei lanciare un messaggio ai circhi italiani, perché possano vivere un momento positivo come è consueto all’estero: costruite uno spettacolo in modo accurato, innovativo e stimolante, anche se è in piccolo e non in grande, come nel caso della mia famiglia. Ci vuole il coraggio di cambiare e vivere il circo al passo coi tempi.
Una cosa che mi ha sempre colpito degli artisti circensi è la loro poliedricità. Anche tu fai molte cose. Ti esibisci in un numero aereo, segui la regia, ma scommetto che fai anche il lavoro d’ufficio.
Se dovessi dirti tutto quello che faccio, in effetti, ti metteresti le mani nei capelli. Noi, io e i miei fratelli, abbiamo preso in mano l’attività dei genitori e la portiamo avanti insieme, dividendoci i compiti. Io e mio fratello seguiamo la scelta degli artisti, la documentazione, la Siae, le assicurazioni. Poi c’è la tournée da seguire, con i viaggi da organizzare, la pubblicità e l’ufficio stampa. Mia sorella adesso è incinta per cui non può esibirsi (altrimenti il numero aereo lo faccio con lei di solito) in più ho una foca che è cresciuta ammaestrata con me da quando ero piccola e per fortuna non devo allenarmi sempre. Dipende dal numero però, perché se devo farle eseguire qualcosa di difficile mi devo esercitare con lei anche per due settimane prima dello show.
Artista, regista, imprenditrice. In quale di questi ruoli ti riconosci meglio?
Non sarei felice di vivere una vita piatta, quindi fare tutto queste cose per me è un grande stimolo. Mi piace il contatto con l’animale e quando non c’è ne sento la mancanza. Poi adoro il trapezio, quindi sì, il mio ruolo di artista lo sento molto, ma amo anche la parte organizzativa che ti fa vedere tutto della costruzione di uno spettacolo, dall’inizio alla fine, con le fatiche e le difficoltà. Inoltre fare il tutoring agli artisti e a tutti coloro che collaborano è una grande responsabilità. Loro ci mettono impegno e sono molto bravi, per cui non c’è nemmeno bisogno di controllarli troppo (sorride ancora, ndr).
Il 17 marzo 2011 avete seguito l’esortazione dell’Ente Nazionale Circhi di partecipare ai festeggiamenti per l’Unità d’Italia, durante il vostro show a Padova. Forse un modo per avvicinarsi di più non solo al pubblico, ma anche alle istituzioni?
Sì, abbiamo accolto la proposta dell’ENC ed è stato un momento estremamente emozionante. Tutto il pubblico in piedi che cantava l’inno d’Italia. Certo, mica si può fare una volta ogni 150 anni (la sua voce squillante si lascia andare ad una risata, ndr). Sono a favore di queste cerimonie, da celebrare con una cadenza regolare. Per noi è un vantaggio trovare ascolto e appoggio nelle istituzioni, abbiamo bisogno di essere valorizzati e tutelati.
Alessandra Borella

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