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Incontrare l’altro da sé: la storia degli animali al Circo

di Ettore Paladino

Ad oggi non si hanno dati precisi sul numero e sul tipo di animali presenti nei circhi italiani; secondo il presidente dell’ENC Antonio Buccioni si tratta di circa 2.000 esemplari, di cui un terzo equini. In ogni caso tutti gli animali non considerati domestici sono dotati di regolare certificato CITES, e sono quindi nati in cattività (salvo gli elefanti, le cui ultime importazioni risalgono ai primi anni Ottanta). In corrispondenza al disegno di legge presentato dal Governo nel 2017 tendente alla graduale eliminazione degli animali nei circhi, le associazioni animaliste sono state particolarmente attive nel sostenere questo obiettivo, perché l’ambiente Circo viene considerato come assolutamente incompatibile col benessere e la “natura” dell’animale. Ormai da decenni è in atto una strategia per creare un dissenso sempre più ampio, isolare il Circo dai mass media, pubblicizzare solo i dati a sfavore di questo spettacolo (dati a volte manipolati o non correttamente presentati). Il mondo del Circo ha risposto sempre in modo puntuale e con molte iniziative, ma purtroppo con scarso impatto mediatico.

Dalle piramidi all’Ottocento
L’addestramento degli animali selvatici fu un’arte molto praticata nell’antichità. Presso gli Egizi si hanno notizie certe di addestramento di animali come ghepardi e leoni a scopo di caccia. L’animale per l’uomo all’inizio fu sacro, un tramite tra la realtà fisica e quella ultraterrena; poi divenne utile e con l’addomesticamento l’uomo da cacciatore diventa pastore e poi agricoltore. L’addestramento a fini di spettacolo rappresenta l’ultima tappa di questo millenario e ancora per certi versi controverso rapporto. Ai tempi dei Romani lo spettacolo esibiva le due antiche facce della stessa medaglia, il conflitto e la convivenza tra uomo e animale (i gladiatori e i mansuetari). Poi, per molti secoli, questa come altre manifestazioni artistiche restarono sopite e gli animali esotici erano piuttosto oggetto di interesse per le collezioni private dei nobili.
Al 1768 si fa data la nascita del Circo, con esibizioni equestri, presto unite a quelle di acrobati, comici, e addestratori di animali domestici. Gli anni successivi furono l’epoca dei serragli, esibizioni itineranti di animali per lo più esotici. E quasi contemporaneamente si iniziarono a presentare degli spettacoli con alcuni di questi animali, soprattutto quelli feroci. Certo le conoscenze scientifiche sulle bestie erano molto limitate, l’etologia come scienza non era ancora nata (anzi, furono gli stessi addestratori i primi etologi ante-litteram), il contesto culturale era ben diverso e si ammirava soprattutto la supremazia dell’uomo nei confronti dell’animale. Ma, come diversi studiosi hanno sottolineato, l’effetto culturale di tali spettacoli fu enorme. Ci si rese conto che molti animali, per secoli giudicati “intrattabili”, erano piuttosto stati “trattati male”. L’uomo poteva stabilire dei contatti anche con bestie precedentemente viste solo come fonte di paura e di morte. All’inizio gli addestratori (citiamo Henry Martin, da molti considerato come il primo domatore dell’era moderna) presentavano molta confidenza e collaborazione verso le belve. Poi il pubblico iniziò ad apprezzare di più il rapporto di forza, quasi conflittuale, tra uomo e animale; fu il periodo delle esibizioni cosiddette “in ferocia”; il nostro Faimali ne fu uno dei più famosi interpreti. Attenzione, si parla di esibizione, non di addestramento. Perché neanche in quel periodo storico l’addestramento venne mai compiuto con violenza e paura nei confronti degli animali.

Carl Hagenbeck

Nel segno della collaborazione
All’inizio del Novecento cresce la sensibilità nei confronti degli animali e la conoscenza scientifica sui loro comportamenti. Hagenbeck crea il suo celebre motto: “Trovare una via per arrivare alla psiche dell’animale”. Così l’addestramento e la presentazione degli animali imboccano definitivamente la strada della collaborazione e di un rapporto sereno, a volte confidenziale. Nel frattempo i serragli confluiscono nei circhi, gli spettacoli dei quali si arricchiscono di numeri con animali selvatici che trovano da subito un forte consenso da parte del pubblico.
Le innovazioni e i miglioramenti proseguono fino agli anni Ottanta del secolo scorso, quando esplode il fenomeno animalista e si moltiplicano le opinioni e le iniziative a sfavore della presenza di animali nei circhi. Basate essenzialmente su due punti cardine: che l’uomo non ha diritto di privare gli animali selvatici della loro libertà e che non deve utilizzarli per un suo divertimento. Valutazioni che però si manifestano in maniera così drastica solo nei confronti dei circhi, anche se esistono molte altre forme di uso degli animali a fini di spettacolo, o al confine tra spettacolo e lavoro. In realtà i due concetti di cui sopra presentano molte sfaccettature ed aspetti reconditi. A livello scientifico il concetto di animale selvatico e domestico è ancora
ben lontano dall’essere definito. Non entriamo neanche in questo campo, se non ricordando che alcune specie (come lama, cammelli, dromedari, alpaca) sono assolutamente domestiche in Paesi diversi dai nostri, e lo stanno lentamente diventando anche da noi. Piuttosto parlando di Circo dobbiamo soffermarci su quello che è lo status del singolo animale. Se un animale, pur appartenente a specie selvatica, è nato da più generazioni in ambienti a contatto con uomini, accanto ai quali è cresciuto vivendo sempre assieme a loro, non lo si può considerare alla stregua di un suo consimile nato e cresciuto in ambienti naturali. La singola tigre o il singolo leone nati e cresciuti in un circo sono animali con caratteristiche etologiche, e in parte anche fisiologiche, diverse. Non possiamo definirli propriamente domestici, ma neanche selvatici. Gli inglesi utilizzano il termine “tamed”, nel senso di animale ammansito, addomesticato, condizione che viene riferita appunto al singolo soggetto. Per questi specifici animali avere e mantenere una corretta relazione con l’uomo è altrettanto importante che avere a disposizione ricoveri e nutrimento adeguati.

Italia, leggi e condizioni
In Italia invece la regolamentazione per la detenzione degli animali presso i circhi si basa sulla definizione molto puntigliosa di dimensioni di gabbie e recinti e non considera affatto la valutazione di quelle che sono le manifestazioni reali di benessere o malessere del singolo animale. Criterio che ormai a livello mondiale si cerca di privilegiare nell’ambito della ricerca scientifica e che la stessa normativa europea ha recepito per quanto riguarda gli zoo, ai quali non viene data nessun obbligo circa la misura di gabbie e recinti e nessun criterio preciso di detenzione degli animali, valutando solo il soddisfacimento dei bisogni dell’animale ed il suo stato di benessere. Una recente nota del Ministero della Salute prevede l’applicazione di tali criteri anche per i centri di recupero e di detenzione di animali selvatici gestiti da enti privati, fra i quali numerose associazioni animaliste, LAV in testa. Si arriva così al paradosso per cui queste ultime denunciano i circhi perché non vengono rispettate esattamente le metrature previste per le gabbie e i recinti, le procure sequestrano gli animali e questi vengono portati nei centri gestiti dalle stesse associazioni, dove però potranno essere mantenuti senza stare attenti alle dimensioni delle gabbie, ma solo valutando se il loro stato di benessere è soddisfacente o meno. C’è quindi una evidentissima disparità di trattamento.

Per il benessere animale
La precorritrice degli studi scientifici sul comfort animale è stata la dottoressa Marthe Kiley-Worthington, un’etologa incaricata alla fine degli anni ’80 dalla principale associazione protezionista inglese (RSPCA) di effettuare un’indagine sullo stato delle bestie presenti nei circhi britannici. Dopo un anno e mezzo di osservazioni le conclusioni furono che il benessere di questi animali non era da considerarsi carente, poteva essere migliorato ma non era peggiore rispetto a quello di altre forme di detenzione comunemente diffuse.
Esiti ai quali sono arrivati altri studiosi in altre parti del mondo, come il professor Ted Friend negli USA e la dottoressa Raffaella Cocco dell’Università di Sassari, che ha condotto il primo studio del genere in Italia collaborando con la famiglia di addestratori circensi Valeriu, da sempre attentissima alla qualità di vita dei loro tanti e svariati animali. Tali ricerche hanno sottolineato l’effetto positivo per gli animali dei circhi degli stimoli fisici, ma soprattutto mentali, ottenuti grazie all’addestramento, alle variazioni frequenti di ambienti ed alla stretta interazione con l’uomo.
Da tempo il Circo chiede regole precise e fondate, non divieti. In Italia l’ENC già da cinque anni, con l’aiuto di un valido team di esperti, ha predisposto un regolamento per la detenzione e l’addestramento di animali che potrebbe essere un’ottima base di partenza per la rivisitazione delle norme attuali, lacunose e spesso non adeguatamente motivate sul piano scientifico.

A difesa di un legame profondo
Il mondo del circo ha sempre dato, e darà, la massima collaborazione per tutelare e garantire il benessere animale. Ma si schiera con forza contro ogni provvedimento che colpisca la libera espressione artistica in nome di un presunto messaggio diseducativo dello spettacolo con le bestie. La legge deve tutelare il benessere degli animali. Ciò garantito, sarà poi il pubblico a decidere se questo tipo di spettacolo è anacronistico (come dicono molti suoi detrattori) o no. I circensi dal canto loro si difendono con forza e convinzione. Per prima cosa con un rapporto sempre più evoluto coi propri animali, col miglioramento delle strutture di detenzione e dei sistemi di allevamento e addestramento. E poi cercando di dar spazio alla propria voce con manifestazioni, divulgazioni scientifiche, inviti a venire a conoscere la realtà a tutti gli interessati. Sicuramente bisogna stimolare e incrementare gli studi sugli animali dei circhi, così da avere sempre più dati oggettivi a dimostrazione del loro benessere. Ma non si può ignorare anche l’attività di ricerca di consenso e sostegno a tutti i livelli sociali e culturali. Un’attività che dovrà giocoforza utilizzare tecniche di comunicazione specifiche e contemporanee. Un messaggio con cui si riesca ad esprimere non solo una difesa e una richiesta di aiuto ma anche l’orgoglio per il proprio ruolo artistico e culturale.
Noi siamo convinti che lo spettacolo con animali abbia ancora tanto futuro. Prova ne sia che pur in un contesto così difficile come quello degli ultimi dieci anni molti giovani si sono dedicati all’addestramento. Con le evoluzioni che ogni attività umana incontra nel corso del tempo, il bisogno di contatto fra uomo e animale non si spegnerà mai. Così come l’acrobata esprime la sottile frontiera tra danzatore e guerriero, l’addestratore supera il concetto dell’animale come creatura utile e ci porta, o forse ci riporta, in un mondo dove uomini e animali vivono davvero insieme.

L’articolo di Paladino è stato pubblicato sulla rivista “Circo” speciale estate 2018

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