Una folata di circo si è abbattuta su un teatro di Milano. Parlo di “Quello che prende gli schiaffi”, di Leonid Andreev, rappresentato per la prima volta al Teatro d’Arte di Mosca nel 1915 e in seguito rappresentato con successo davanti a platee di tutto il mondo. Il protagonista della vicenda, deluso da una vita che gli ha fatto torto, si rifugia sotto lo pseudonimo di Quello, che sottintende Quello che prende gli schiaffi. Meglio, molto meglio, prendere gli schiaffi nella finzione circense che non subire passivamente quelli che riserva una vita di mortificazioni. Una riflessione amara idonea a tutte le platee che ha dato all’autore, proprio per questa commedia, il dono dell’immortalità. Non c’è uomo o donna che quando sente gli schiaffi che cascano a gragnuola sul povero Augusto di turno non provi il flusso liberatorio di chi pensa che, almeno per una volta, ci sia qualcuno a buscarle al suo posto.
La compagnia è diretta da Glauco Mauri, cui tutti noi siamo debitori per come tiene alta la bandiera del teatro di prosa, ma il ruolo di Quello che prende gli schiaffi è sostenuto – oso dirlo, con spirito circense- dal bravissimo Roberto Sturno. E quando dico spirito circense, sia ben chiaro, non mi riferisco soltanto alle virtù acrobatiche, ma anche e soprattutto al “come” si recepiscono gli schiaffi. Mentre assistevo alla scena, la mia memoria si voltava all’indietro richiamandomi alle tante e tante volte in cui avevo visto il Quello di turno tradurre lo schiaffo in esecuzione di creatività, e mai una volta che uno schiaffo fosse eguale a un altro. Ho visto schiaffeggiati furbi, schiaffeggiati spavaldi, schiaffeggiati fino alle lacrime. L’uomo senza schiaffi non esiste: e se ce n’è uno che crede di esistere, è quello che più di ogni altro merita gli schiaffi. Sono grato a questa bella rappresentazione teatrale che mi ha ricondotto alla macchina da clown, con le sue risorse di dolore sotto la risata, che tante volte ho amato vedere sulla pista di segatura.
Ruggero Leonardi