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Il film The artist, del regista Michel Hazanavicius, ha vinto cinque Oscar e certo se li merita tutti. Ma ieri pomeriggio, mentre assistevo alle proiezione nelle comode sedie del cinema Anteo (una delle poche sale di Milano che abbiano il coraggio di proporre un film muto anche se di realizzazione recente), mi sono sorpreso a chiedermi se le statuette sarebbero state così numerose senza la presenza, accanto al protagonista Jean Dujardin, di un terrier di 9 anni di nome Uggie.
Preciso subito che non sono l’unico a essermelo chiesto. Ben prima che mi recassi al cinema Anteo con mia moglie, Uggie aveva ricevuto il premio “Palm Dog Award”, riconoscimento cinofilo istituito sulla Croisette fin dal 2001 dal giornalista inglese Toby Rose e che da allora premia ogni anno la migliore performance di un cane, in carne ossa o cartone animato che sia. Ma i premi, talvolta, sono lì solo per aggiungere spettacolo allo spettacolo. In questo caso, invece, la cosa è seria, perché Uggie non si merita il premio: se lo stramerita. Ho parlato di “presenza” accanto al protagonista bipede, un divo del cinema muto che va in depressione per l’avvento del sonoro, ma subito faccio ammenda per la riduttività del vocabolo. Uggie è figura danzante che scandisce i ritmi della vicenda sia quando il suo uomo fa spettacolo sia quando il suo uomo va in depressione. La vita può fermarsi ma Uggie non si ferma mai. E’ lui quello che detta i tempi di una vicenda a lieto fine (e ci mancherebbe altro!). Anzi, oso dire di più: è lui il lieto fine.
Tanti umani, come ben sappiamo, sono amici dei cani. Ma solo gli umani che fanno spettacolo sanno quale risorsa possano rappresentare per lo spettacolo. Mi basta tornare con la memoria al circo Herasio, e ai barboncini di Giuseppe Bricherasio che salivano obbedienti su una giostra, per ricordare che gli esemplari di questa razza paiono fatti apposta per l’arte circense. Mi viene in mente Mickey, il barboncino nano che Eros Casartelli non può non avere inserito nell’album dei suoi ricordi per quel che faceva con lui negli anni 70′. Due volte al giorno, puntualissimo, si presentava in pista per una entrata comica breve ma di sicuro effetto. Sbucava d’improvviso, afferrava le redini di un cavallo e se lo portava fuori. A numero terminato, tornava in carovana e si accucciava nella sua poltrona prediletta. Un po’ difficile, anche per l’animalista più spinto, parlare di “vita da cani”.
E a proposito. Nessuna camicia verde davanti al cinema a protestare per lo sfruttamento di Uggie.
Eppure salta e balla più di tutti gli altri nel film, chissà la disciplina a cui sarà stato sottoposto. Già, ma protestare contro un cinema che offre cultura non è chic. Tentare invece di mandare alla malora una impresa come quella circense, che ogni giorno dà da mangiare a centinaia di persone (oltrechè animali), quello sì è un fiore all’occhiello.
Ruggero Leonardi