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Ubert Macaggi, la comicità non ha parole


Il clown di pista del Circo Errani è Ubert Macaggi. Intrattiene gli spettatori per tutta la durata dello spettacolo, mostrando sin dall’inizio le proprie doti di mimo, la verve comica e le capacità acrobatiche (nella seconda parte dello spettacolo si esibisce anche come verticalista) con un sapore più teatrale che non prettamente circense. Infatti il suo personaggio è vestito di nero, indossa un completo con giacca, bombetta e un paio di scarpe da ginnastica ricoperte di paillettes nere. Non ha trucco, se non il naso leggermente sporcato di rosso.
Ubert, sei di famiglia circense?
Si, da quattro generazioni.
E anche la tua famiglia era specializzata in clownerie?
No, non solo. Le generazioni di prima sapevano fare davvero tutto.
Come hai scelto il tuo personaggio?
L’ho scelto in base ad una comicità che fosse solo fisica e quindi comprensibile a tutti. Io ho una formazione sia circense che teatrale, lavoro all’estero anche come cabarettista. Spostandosi in tanti paesi è necessario essere comprensibili a tutti, e soprattutto è indispensabile riuscire a far ridere sia i bambini, che non hanno ancora un’idea precisa del mondo in cui viviamo, sia gli adulti. Per questo motivo ho creato un personaggio che sappia comunicare con la fisicità o che, per esempio, sia in grado di “parlare” fischiando.
Quali sono stati i tuoi modelli?
Sicuramente Charlie Chaplin e Buster Keaton, sono stati dei grandi. Sono riusciti ad essere universali con una comicità molto semplice e fatta di pochissime parole.
Cosa ti ha spinto a scegliere di fare il clown?
Mi piace far ridere le persone, e suscitare la risata è una delle cose più difficili del mondo. Riuscire a far dimenticare, anche solo per un’ora, le preoccupazioni della vita quotidiana è una grande soddisfazione.
Hai in progetto di rimanere al Circo Errani?
Si, spero di rimanerci a lungo perché ho tre bambini e vorrei che imparassero molto da questa esperienza. Vivo negli Stati Uniti da 25 anni, i miei figli là si sono formati studiando anche canto, danza e acrobazia…però vorrei che imparassero anche gli aspetti più duri e meno facili di quella che può essere la quotidianità in un circo. Saper affrontare le piazze più difficili, quando magari il pubblico non è particolarmente numeroso. L’importanza di capire da dove vengono molte cose. E il valore di “fare la scaletta”, come diceva mio padre.

Ubert Macaggi
Tuo padre (Domenico Macaggi, ndr) ti ha insegnato molto?
Mio padre è stato un buon insegnante, ha formato artisti all’estero, per esempio in Russia e in Francia, e anche in ambito accademico. A lui non piaceva avere tantissimi allievi, c’era il rischio di creare troppa dispersione. Preferiva scegliere pochi elementi ma buoni, in modo da poter avere un rapporto più diretto per trasmettere i propri insegnamenti.
Che differenza noti tra l’Italia e l’estero?
Che qui il circo è molto sottovalutato nonostante sia una delle forme di spettacolo più antiche. Molti degli attuali comici che si vedono in televisione traggono le origini delle proprie tecniche dal circo. Fuori, in Germania o in Svizzera o in altri paesi ancora, il circense è considerato un artista a tutti gli effetti, mentre in Italia spesso è considerato alla stregua di uno zingaro.
Stefania Ciocca (autrice anche delle fotografie)