A seguito del terribile duplice omicidio di due senegalesi a Firenze, e dello stupro inventato dalla ragazzina di Torino (con annessa accusa ai rom), Filippo Facci, giornalista di Libero, su Il Post ha pubblicato un intervento i cui contenuti sono chiari sin dal titolo: “Siamo razzisti? Sì”. Si parla di rom e l’aggancio con il circo scatta quasi in automatico, un po’ per abitudine e un po’ perché fa molto colore.
Partiamo dalle pubblicazioni. Alcune brevi autobiografie sulla vita dei sinti a partire dai primi del ‘900 esistono e sono consultabili da tutti. Si tratta di Sinti: un modo di vivere (Brignolo, 1980), Strada, patria sinta. Cento anni di storia nel racconto di un saltimbanco sinto (De Bar, 1998), La casa con le ruote. O ker kun le penijà (Niemen, 1995), Storie e vite di Sinti dell’Emilia (Torre, Relandini et al. 2005). Ci si trovano tracce di circo in queste autobiografie? Quasi per niente. “I riferimenti sono agli spettacoli di piazza di inizio secolo, al teatro ambulante, al mondo dei saltimbanchi, ai postoni e alle prime arene e si parla del circo dal punto di vista di chi non ne è più parte da diverso tempo, perché a seguito di vicende familiari o della crisi di questa forma di spettacolo ci si è visti costretti a comprare mestieri diventando giostrai; in tutti i testi emerge il rimpianto e l’orgoglio per un periodo in cui si era considerati artisti piuttosto che zingari”. Così spiega Paola Trevisan, docente all’università di Verona, che ha approfondito l’argomento nel corso di una lunga ricerca sui sinti, autrice anche di un lavoro importante come La persecuzione dei Sinti e dei Rom durante il regime fascista. “Proprio questi racconti mi hanno spinto a consultare la bibliografia italiana sulla storia del circo e, con un certo stupore, ho constatato che i sinti non sono quasi mai citati, mentre compare saltuariamente la parola “zingaro”, usata spesso in senso dispregiativo”. In particolare lo storico del circo Alessandro Cervellati ha spiegato che raramente gli “zingari” possiedono un circo poiché preferiscono altre attività sempre itineranti, riservando solo qualche riga di passaggio agli “zingari” ammaestratori di orsi.
E’ nel volume di Alberto Zucca (1902) Acrobatica e Atletica, formidabile descrizione di quella particolare arte del corpo da tempo sviluppata nel nostro Paese, ma che nella seconda metà dell’800 veniva praticata nelle palestre del Nord Italia, che compare per la prima volta in Italia l’etnonimo sinti, insieme ad un breve accenno alla loro lingua e alle esibizioni con cui intrattenevano il pubblico. “La sua conoscenza diretta degli artisti di acrobatica e di atletismo offre al lettore un’interessante visione tutta interna al mondo della piazza”, dice Paola Trevisan. Particolarmente interessante è il contesto in cui si parla di sinti, ma Alberto Zucca arriva a concludere solo che sono molte le cose che accomunano “dritti” e sinti perché “entrambi si collocano nella fascia più bassa fra gli acrobatici, quella dei saltimbanchi girovaghi”.
Anche un’altra autrice, Litta Modignani, che in un volume del 2002 si è occupata della minuziosa ricostruzione delle genealogie delle famiglie circensi, scorge legami matrimoniali tra palestranti, dritti e sinti, avvenuti soprattutto nella seconda metà dell’800, ma – assicura – sono appena percepibili.
Ma non c’è solo questo aspetto. Tira una brutta aria per tutti quando nei confronti delle minoranze, e in particolare della gente del viaggio, scattano le rappresaglie e si innescano i luoghi comuni in salsa razzista. Zingaro è termine che ormai nel linguaggio comune ha assunto una connotazione negativa, quasi un marchio d’infamia, che in tempi di multiculturalismo stride parecchio. Sinti e circo, infine: non è per prendere le distanze, ma anzi è per valorizzare le diverse storie di ciascuno, che è giusto precisare che l’accostamento è abbastanza forzato. E questo attestano gli studi fin qui noti, anche se resta ancora parecchio da approfondire.