Con Tinin Mantegazza scompare una tempra d’Artista creata con uno “stampo” irripetibile. Lo scorso anno il Museo Civico delle Cappuccine di Bagnacavallo, nell’amata Romagna di Tinin, gli dedicò una mostra molto bella e azzeccata anche nel titolo: “Le sette vite di un creativo irriverente”. Perfetto. Il cabaret a Milano, il giornalismo, la regia, il teatro, la televisione, la pittura, l’illustrazione con i suoi primi lavori pubblicati sul Corriere della Sera… E’ stato autore, attore, scenografo e costumista. Questo e molto altro ha scritto la storia umana e artistica di un uomo che si è introdotto nella vita della cultura italiana e in quella di tante persone con un tratto inconfondibile. Si pensi solo all’invenzione e alla realizzazione del popolarissimo pupazzo Dodò della trasmissione Rai per bambini “L’albero azzurro”, e del Sig. Totò all’interno dei programmi di Enzo Biagi.
Tinin Mantegazza, che si è spento ieri a Cesenatico all’età di 89 anni, è stato molto affascinato dal circo e dall’arte della gente del viaggio. Gli si illuminarono gli occhi quando conobbe l’esperienza dell’Accademia d’Arte Circense che s’insediò in una colonia di Cesenatico nel 1990. La frequentò a lungo, strinse amicizia con Egidio Palmiri, i due si scambiarono storie e pensieri sul presente e sul futuro dell’antica arte. Entrambi di origini liguri e nativi della stessa provincia di Savona (uno di Vado Ligure e l’altro di Varazze), una differenza d’età di pochi anni, ci hanno lasciati entrambi in questo tormentato 2020. Anche al presidente Antonio Buccioni è stato legato da lunga amicizia.
La caratteristica di Mantagezza è stata la commistione dei generi: ha dialogato con tutte le arti. Emblematica la vicenda della galleria “La Muffola”: è luogo deputato per accogliere le opere di disegnatori, ceramisti e pittori, ma diventa subito anche un “palco” per personalità che hanno segnato la storia della musica e del teatro nel nostro Pese. Da Giorgio Gaber a Bruno Lauzi, da Enzo Jannacci a Cochi e Renato, da Maria Monti a Paolo Poli.
Le problematiche dei tendoni itineranti le ha conosciute anche da dentro. Seppure per un breve periodo, ha infatti fatto parte della commissione consultiva del ministero per i Beni e le attività culturali dedicata al circo e allo spettacolo viaggiante.
Nel 2011 ha dato alle stampe Il giocoliere, un racconto punteggiato di quindici splendidi inchiostri di Ilario Fioravanti, edito dalla Fondazione Tito Balestra. Fioravanti, un altro gigante dell’Arte, che ai personaggi del circo, e in particolare ai clown, ha dedicato terracotte che trasudano pura poesia.
Nello stesso anno vergava un altro intervento dal titolo emblematico: “Il circo non muore (…al massimo sta poco bene)”. “Non può morire, deve solo trovare le sue medicine, una delle quali può essere una buona legge, ma da sola non basta, occorre anche una buona, intelligente, popolazione circense, ricca di fantasia, aperta a comprendere il nuovo. Sarebbe morto il circo? Ma va là! Viva il circo”.
Nella città di Cesenatico fra le tante realizzazioni che ha lasciato, una si accende ogni sera sul porto canale: è una ‘vela di luce’. Tinin Mantegazza resta con noi con le sue suggestioni immortali.