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Si ride in yiddish al circo Klezmer

Servizio e fotografie di Stefania Ciocca

La storia che il Circus Klezmer racconta è quella di un matrimonio che si celebra a “ritmo klezmer”, un genere di musica tradizionale ebraica che solitamente accompagna celebrazioni quali, appunto, i matrimoni ma anche i funerali e le feste di famiglia. Lo strumento principale, che un po’ caratterizza tutta la cultura ebraica è il violino e proprio il suo suono dà inizio allo spettacolo e alla stagione teatrale 2011/2012 del Teatro milanese Franco Parenti.
Le nozze hanno luogo in un paesino dell’est europeo chiamato Belz, con gli abitanti e i protagonisti che lo rendono comico, divertente, poetico ma soprattutto universale nonostante venga recitato in yiddish. Perchè in fondo in ciascuno dei personaggi che agiscono riempiendo lo spazio del palcoscenico (utilizzando la sua forma rettangolare, ma anche quella circolare disegnata da uno spazio interno a mo’ di pista circense nonché per lo spazio aereo occupato da corpi e oggetti) possiamo riconoscere i nostri vissuti e riderne con leggerezza. Attraverso il puro nouveau cirque che coglie spunti e spontaneità dalla strada ma anche dall’arte, dalle tradizioni popolari, da differenti culture e da caratteri umani particolari si viene così a creare uno spettacolo che parla in lingua yiddish ma che comunica al mondo.
L’universalità dello spettacolo è dovuta a questa comicità che caratterizza una situazione vicina a noi anche se apparentemente lontana, sia geograficamente che temporalmente.
La musica, dal momento che l’aggettivo klezmer è già nel titolo, è un elemento fondamentale e accompagna, sottolineando e animando dal vivo, i diversi momenti: dalla giocoleria del futuro sposo alle acrobazie su trapezio solo, fune e tessuti della sposa; dalle sfuriate e dalle ilari provocazioni sensuali di una vicina che con la sua comicità coinvolge tutto il pubblico all’irriverente ubriachezza e abilità acrobatica di un altro abitante di questo piccolo mondo.
E poi c’è il regista (ma anche attore, comico, autore) Adriàn Schwarzstein che anima la scena e la platea contagiando il pubblico e interpretando il ruolo del matto del villaggio. La storia che si dipana tra i cinque personaggi che agiscono in scena (oltre che al già citato Adriàn Schvarzstein ci sono Helena Bittancourt, Alba Sarraute, Luis Nino “Toto” e Joan Català) è, come si diceva, quella delle imminenti nozze in un piccolo paese, complicate dallo smarrimento delle fedi nuziali che si ritroveranno (in maniera alquanto bizzarra) solo al termine dello spettacolo per celebrare il matrimonio e il lieto fine.
L’ambientazione è ricca ma al contempo povera: entrando nella Sala del Teatro Franco Parenti tutti sono rimasti affascinati da questa scena disegnata da Miri Yeffet e Tzabar Amit, caratterizzata da toni caldi che ripropone la piazza di un villaggio, con la sua edicola, il mercato della frutta, le case che vi si affacciano. Ma i mezzi attraverso i quali la scena è realizzata sono tra i più semplici, ovvero tanto cartone, cassette di legno e assi in legno assemblate nella maniera più semplice. Ma è quella semplicità che sa di poesia, che affascina il pubblico attraverso le suggestioni della musica suonata dal vivo da un orchestrina (composta dai musicisti Petra Rochau, Rebecca Macauley, Nigel Haywood), dei tessuti candidi che si muovono nell’aria richiamandosi a Chagall e alle sue spose volanti, a un mazzo di fiori abbandonato in scena per poter librarsi sopra gli altri protagonisti.
Questa semplicità ha decretato il successo di uno spettacolo che sta celebrando il suo settimo anno di vita: dal 2004, partendo da Barcellona, la musica Klezmer non ha smesso di suonare e accompagnare questo mix di tradizione popolare, comicità clownesca e tecniche del circo, e a Milano continuerà a farlo fino a domenica 16 ottobre.

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