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Rodcenko e l’amore per il circo in mostra a Roma

Circo.it si è occupato di lui nella rubrica “scatti d’autore” lo scorso gennaio. Lauretta Colonnelli sul Corriere della Sera presenta la doppia esposizione allestita a Palazzo delle Esposizioni nella Capitale dall’11 ottobre 2011 all’8 gennaio 2012: “Realismi socialisti. Oltre la propaganda”. Stiamo parlando di Aleksandr Rodčenko.
Dal sito internet del Palazzo delle Esposizioni riprendiamo il testo “Teatro e circo: magia e fantasia” tratto da “Aleksandr Rodčenko: gli esordi della fotografia d’avanguardia in Russia Aleksandr Lavrent’ev”.
“Negli anni venti Rodčenko non era un frequentatore assiduo di teatri, ma negli anni trenta questi diventarono quasi gli unici luoghi in cui la fantasia e l’immaginazione potevano trovare spazio. Rodčenko realizzò una serie di fotografie raffiguranti spettacoli al Bol’šoj: l’opera fiabesca Ruslan e Ludmilla (1937) di M. Glinka, ispirata a scritti di A. Puškin, e il balletto La fille mal gardée (1938). Lavorò dal parterre con un’ottica a fuoco morbido thambar, a volte con un’esposizione fino a un secondo. Alcune figure risultarono sfocate e tutta la scena appariva avvolta in nuvole di luce. Ma ciò che Rodčenko amava di più era il circo con i suoi giochi, le sue acrobazie e le sue prodezze. Esso era un ritorno all’infanzia: un fondale scuro, riflettori multicolore e funamboli che, come nello sport, compiono imprese impossibili. Alla fine dell’autobiografia Bianco e nero (1939), il maestro esclamava tristemente: “E così un paese socialista non avrebbe bisogno di ventriloqui, illusionisti, giocolieri? Di tappeti, fuochi d’artificio, planetari, fiori, caleidoscopi?”. In quel paese, si chiedeva Rodčenko, non c’era posto per il divertimento, le acrobazie, la luce e il movimento? Solo per la politica e i temi approvati “dall’alto”? Le fotografie del circo di Rodčenko combinano aspetti apparentemente contraddittori: da un lato calcolo, analisi e forma, dall’altro romanticismo, espressione e pittoresco. Dopo il 1935 l’artista tornò alla pittura da cavalletto, raffigurando acrobati, clown e giocolieri scaturiti dai suoi ricordi personali e dalla fantasia. Magia, bravura e libertà erano le qualità che Rodčenko apprezzava di più negli spettacoli circensi. Il circo significava raggiungere l’impossibile, riuscire a maneggiare contemporaneamente dieci palline sospese in aria. Rodčenko fotografò per la prima volta il circo di Mosca nel 1928, subito dopo aver acquistato la leica, utilizzando uno stile da reportage perché la sua maniera era per certi versi rigida e costruttivista. Era interessato anche a ciò che accadeva dietro le quinte e nei camerini. Gli ultimi negativi sono datati 1944. Quasi tutte le serie del circo degli anni quaranta furono eseguite con una leica e un obiettivo a fuoco morbido thambar. Nel circo ci sono sempre luci direzionali contrastanti. Le caratteristiche specifiche di quell’obiettivo erano innanzitutto il focus lungo, e poi la capacità di produrre immagini “velate” per via della sua struttura ottica. Nelle immagini, i riflettori creano quindi aloni magici attorno alle figure, i costumi degli artisti brillano e ogni cosa ha l’aspetto di un sogno ammaliante: lo spettacolo stesso diventa ancor più splendido e teatrale. Nel 1940 fu avviata la preparazione di un nuovo numero di “SSSR na Strojke” dedicato al circo sovietico. Rodčenko fotografò insieme al reporter Georgij Petrusov acrobati, clown e domatori del circo di Mosca. Lui e Stepanova realizzarono la veste grafica di tutte le pagine e gli inserti centrali. Purtroppo la rivista non fu mai pubblicata perché nel luglio del 1941 la Germania attaccò l’Unione sovietica. All’inizio della guerra Rodčenko fu incaricato di montare la guardia di notte su un tetto per prendere le bombe incendiarie con uno speciale attrezzo e metterle in una scatola riempita di sabbia. Alla fine di luglio la sua famiglia e i colleghi dell’Unione degli artisti di Mosca furono evacuati a Molotov (l’attuale Perm), negli Urali. Lì Rodčenko fotografò i battistrada dalla ferrovia locale per il giornale “Stalinskj Udarnik” (L’operaio d’assalto stalinista). Riuscì a far rientro a Mosca solo alla fine del 1942 e nella primavera del 1943 fu riunita tutta la famiglia. Negli anni del dopoguerra si sperava fortemente che il clima generale cambiasse, sia nella vita quotidiana che nell’arte. Nei primi anni cinquanta Rodčenko iniziò a lavorare con la fotografia a colori, ma le sue condizioni di salute peggioravano e non poteva passare troppo tempo in laboratorio. Si limitava a sviluppare pellicole e a stampare provini, ma le possibilità del colore lo sconvolsero. Rodčenko era sempre alla ricerca di novità – tanto che il suo amico e collega Boris Ignatovicˇ lo chiamava “l’esploratore del futuro”. Il suo entusiasmo per le innovazioni fotografiche, per lo spirito creativo, attinse largamente alla pittura francese a cavallo tra Ottocento e Novecento, e in particolare alle tele degli impressionisti. I suoi artisti preferiti erano Delacroix, Courbet, Degas e Van Gogh. Anche la fotografia poteva trarre insegnamento dalle loro opere, assorbendone il romanticismo e la scelta di soggetti interessanti, la visione penetrante e la frammentazione della realtà e, non ultimo, la fedeltà all’arte. La fotografia è un’arte era il titolo di un articolo scritto nel 1934 da Rodčenko, e lui lottò tutta la vita per dimostralo. Ai suoi occhi l’arte era un miracolo. Miracolosa era la sua natura inspiegabile – impossibile da interpretare in termini logici – e impenetrabile. La fotografia – affermava – è ricca di miracoli riguardanti la forma visiva in cui i particolari più inafferrabili si combinano con una diversità di piani, contrasti di prospettiva, colori e forme per veicolare il movimento. In altre parole, la fotografia è un’arte perché dispone di un suo specifico sistema di strumenti espressivi, diverso da qualsiasi altra arte”.

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