di Alessandro Serena
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71 anni sono circa 25.000 giorni e altrettanti notti. Giorni e notti passati a montare il circo, a fissarlo bene in caso di maltempo, magari imprecando. A guardare che gli animali siano ben stabulati, a dar loro da mangiare, nel caso a chiamare un veterinario amico. Giorni passati ad affiggere manifesti e ad aprire le casse sperando in una buona affluenza. Notti passate guidando, per un totale di chilometri impossibile da calcolare, su una strada benedetta e maledetta, che ha dato tanto ma che ha tolto molto di più.
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Nella triste occasione di dover fare un riepilogo della vita di Roberto Bellucci appare chiaro come questa sia stata rappresentativa del modo di fare circo nell’Italia di fine Millennio fra trionfi e delusioni. La schiettezza ruvida, l’affetto spigoloso, la maniera schiva di dimostrare la stima, il modo di fare impresa e persino il suo percorso terreno lo disegnano come uno dei personaggi più emblematici del circo italiano del Secondo Dopoguerra.
La famiglia Bellucci ha le radici ben piantate nello spettacolo popolare. Il fondatore della dinastia è Emidio. Suo figlio Armando nella seconda metà dell’800 sposa Maria Gemma Lelli, una cavallerizza semi sconosciuta. Il primo complesso diretto dai due prende il nome di Circo Arbell, inaugurando la curiosa tradizione di utilizzare anagrammi dei nomi dei famigliari.
Nel decennio fra il 1935 e il 1945 il Grande Circo Equestre Arbell si esibisce in sale prestigiose come il Puccini di Milano, il Politeama Giacosa di Napoli, il Politeama di Palermo, il Verdi di Firenze ed altre ancora. Sono quindi fra i pochissimi circensi ancora attivi nel terzo millennio ad avere nel DNA anche la nobile tradizione di portare spettacoli equestri ed acrobatici in giro per i teatri della penisola. Mercato riservato alle compagnie più raffinate e dotate di spirito imprenditoriale. Altra osservazione importante, già negli anni compresi fra le due guerre i Bellucci hanno un serraglio di tutto rispetto, anticipando quindi la tendenza dei complessi nostrani di formarsi un proprio grande parco zoo.
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Emidio, figlio di Armando, sposa Italia Riva. Da questa unione nascono sei figli: Armando, Gemma, Roberto, Gilda, Renato, Loredana e Mario. Il nuovo complesso famigliare viene chiamato Embell Riva, anche in omaggio al celebre calciatore sardo, come ebbe modo di raccontare proprio Roberto. Negli anni sessanta il complesso si trova a dover ripartire. Un po’ come tutto il circo italiano, una storia continua di arresti e ripartenze.
Ricordava Roberto: “Mio padre rimediò dalla famiglia Giachi un circo usato talmente piccolo che tutto intero stava nei cassettoni della carovana. Aveva gradinate a due file e lo chapiteaux a due antenne con scheletro a schiena d’asino. La tela era legata con del fil di ferro.” Dal tendone che si regge a mala pena riparte un cammino che porterà lontano.
Con le sorelle ed i fratelli si forma nei mille mestieri del circo. In pista e fuori. Acrobata eccentrico e ben presto ammaestratore di felini, già dal 1965 in gabbia con due leoni. A partire dagli stessi anni Roberto accompagna i famigliari negli angoli più reconditi della nazione, in particolare le isole che saranno sempre terreno fertile per i Bellucci, dimostrando anche la tendenza del gruppo ad intraprendere lunghi viaggi.
Il piccolo tendone comincia a crescere, piano piano, con giudizio, metro per metro. Le imprese costruttrici sono quelle che hanno fatto la storia: Magri Poletti, Ravennate ed infine Canobbio. Insieme cresce il numero degli spettatori e di conseguenza i posti a sedere, le tribune, le strutture in generale, anche grazie ad una continua frequentazione con un’altra ditta storica, quella di Calcide. Alla quale verrà affidato il compito anche di costruire trasporti speciali per i numerosi animali che cominciano ad arrivare, come i primi due elefanti che nel 1967 vengono acquistati dallo zoo di Torino.
Proprio nel momento della crescita avviene un grande lutto, nel 1969 scompare il capofamiglia Emilio, ma è proprio in questo momento che Roberto e i suoi dimostrano la capacità di superare le avversità di ogni tipo che la vita li pone davanti. Purtroppo saranno molte, ma la scorza e la tenacia tipica del mestiere li porteranno lontano. Roberto attinge del resto alla grande forza famigliare, sia nel senso di unità di affetti, che di spessore professionale che nel frattempo hanno acquisito i suoi cari.
Da lì a poco poi Roberto sposerà Ive Larible, figlia di Benito, nel frattempo ingaggiato al circo Embell Riva. Con Ive arriveranno Cristian, Elvit, Jodi, Roberta, Ilenia, Emiliana. Nel segno della famiglia numerosa, altra caratteristica che contraddistingue i Bellucci.
Il circo cresce e a Roberto vengono affidate mansioni importanti come la colonna pubblicità e la gestione del personale. Sempre grande attenzione viene posta anche alle dinamiche famigliari, nel 1975 il complesso dispone di una Scuola elementare parificata che viene titolata ad Emilio Bellucci, il capostipite.
Nel 1976 l’Embell Riva realizza la prima di una lunga serie di tournée all’estero, visitando la Jugoslavia che diventerà meta continuativa di numerosi complessi. È poi la volta della Turchia. Mentre in Italia continuano ad essere battute con grande esito Sicilia e Sardegna.
Nel 1980 Roberto debutta con quelli che diventeranno i suoi felini preferiti, le tigri, con sei esemplari.
Sono anni importanti per la crescita del circo, che nel 1981 diventa di “prima categoria” secondo i criteri del tempo. Secondo Roberto: “All’epoca il pubblico aveva voglia di circo. Noi non avevamo un nome altisonante, ma forse proprio per questo, la gente rimaneva sempre molto soddisfatta”.
Erano in effetti anni d’oro per l’impresa circense italiana. Sia per la voglia di circo che ricordava Roberto che per la costanza dei circensi di non deluderlo con mezzi al limite del lecito (come i “biglietti truffa”).
Nel 1985 una delle più grandi soddisfazioni per Roberto Bellucci, che viene invitato al Festival di Monte Carlo con la performance delle tigri, nel frattempo arrivata a 14 esemplari. Il numero non riceve nessun premio importante. Il famoso critico del Corriere della Sera Massimo Alberini scrive: “Il verdetto della giura non convince. L’ingiustizia maggiore l’ha subita Roberto Bellucci. Già il fatto di vedere riunite in gabbia 14 tigri è eccezionale. Ma è l’eccellente dressage a entusiasmare… meritava almeno un Clown d’Argento.” Di certo anche solo la semplice partecipazione al Festival più importante del mondo è un ulteriore attestato alla qualità dell’Embell Riva. Del resto i Bellucci stanno ampliando il loro già notevole parco zoo con una giraffa, il rinoceronte Kunta, poi nuovi elefanti, e un gruppo di felini sempre in controllo.
Ma un gruppo così numeroso di famigliari è maggiormente esposto al rischio di lutti: nel 1986 Renato muore in un tragico incidente d’auto. La famiglia Bellucci dimostra ogni volta di trovare ulteriore slancio da questi gravi lutti famigliari, come se ogni nuovo successo fosse dedicato alle persone care scomparse.
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Al circo viene assegnata la piazza di Roma che viene affrontata in grande stile con uno spettacolo di 22 numeri in uno chapiteau arrivato ormai ai 40 metri di diametro.
È utile segnalare come “fare Roma” in quegli anni significasse davvero un’investitura globale. I Bellucci infatti si muovevano sempre di concerto con l’Ente Nazionale Circhi e portare il proprio complesso nella capitale voleva dire avere convinto prima di tutti i colleghi a cedere una piazza così importante alla propria ditta. E poi persuadere i romani, gli spettatori.
Del resto la partecipazione dei Bellucci alla vita dell’Ente è rilevante. Sia Armando che Roberto saranno per anni consiglieri e di loro si ricordano interventi non certo diplomatici, anzi a volte anche molto critici, ma sempre costruttivi e imperniati sul rispetto della categoria. Da lì in poi l’Embell Riva avrà accesso a tutti “i giri” più rilevanti, e in capo a qualche anno non ci sarà città importante o capoluogo di regione che non abbia avuto per Natale, Pasqua o in altre occasioni importanti questo circo. Che in quegli anni porta spettacoli ricchi di attrazioni internazionali fra le quali ricordiamo, solo per citarne alcune: il Duo Kristoff, i Palacios, i Souza, i Gartner, i Goncalves, Bubi Ernestos, la troupe Kretsu, i Brumbach, gli Alexis Brothers, i Tonitos, Old Regnas, Dubsky e molti altri.
Gli stessi numeri “di casa” continuano a salire di livello e Mario è invitato con il gruppo di animali esotici e con gli elefanti all’ATA di Vienna, allora uno dei più forti spettacoli natalizi del mondo.
Ma è anche tutto il circo a continuate a viaggiare per il mondo, alle nazioni visitate di frequente si aggiunge la Grecia (dove l’Embell Riva si troverà anche in concomitanza con la vittoria del Milan della Coppa dei Campioni nel 1994).
Nel 1990 il fratello Armando lascia l’Embell Riva che comincia a subire una profonda trasformazione. Da allora, come del resto già accaduto in altri complessi rilevanti, avverranno numerose scissioni che ridurranno di fatto la forza famigliare.
Un altro grave incidente stradale avviene nel 1993 quando Elvit il giovanissimo figlio di Roberto, rimane per sette mesi in coma, prima di riprendersi. Da lì a poco scompare l’anziana Itala, il cui funerale verrà celebrato proprio all’interno dello chapiteaux nuovo che non aveva potuto vedere.
Negli anni ’90 Roberto e in genere tutti i Bellucci sono fra i principali sostenitori della fondazione dell’Accademia d’Arte Circense che nascerà a Verona per poi trasferirsi per lungo tempo a Cesenatico prima di tornare a Verona. I bambini dell’Embell Riva andranno ad ingrossare le fila degli studenti per anni. Ancora centinaia, migliaia di chilometri percorsi per permettere ai propri figli un’alfabetizzazione regolare.
Tanto più che il circo continua a viaggiare lontano. Le terre di quella che una volta era chiamata Jugoslavia continuano ad essere visitate e rimane memorabile una permanenza in una Sarajevo ancora dilaniata dalla guerra.
Nel 1998 buona parte delle forze famigliari sono ingaggiate al Circo stabile di Budapest grazie all’intuizione del direttore del circo magiaro Istvan Kristof.
Nel 2001 Roberto si ritira dalla gabbia, affermando, a malincuore: “Mandare avanti un complesso come il nostro da quando la famiglia si è ridotta non lascia spazio da dedicare agli animali.” Sono proprio gli anni in cui l’integralismo animalista si incattivisce e i Bellucci sono sempre in prima linea nella lotta contro un atteggiamento ideologico e fanatico. Lo dimostrano anche qualche anno con la creazione dopo dello Zoo d’Abruzzo che sarà poi diretto da Mario, ma che testimonia una volta di più la volontà di trovare soluzioni adeguate e sostenibili per il benessere degli animali.
Nello stesso periodo purtroppo le cose iniziano a cambiare in maniera profonda per tutto il settore circense italiano, e non in meglio. L’impresa circo si avvia a passare attraverso un momento di crisi che forse è il peggiore di sempre e del quale al momento non si intravede la fine. Roberto è amareggiato e frustrato per la situazione e non si capacita di come tutto il mondo per il quale ha tanto lottato non riesca ad affermarsi come in passato.
Con uno slancio coraggioso, in linea con tutta la sua vita, decide non già di realizzare l’ennesima tournée in terra straniera ma di fatto di trasferirsi in toto in Egitto. Nonostante le prime difficoltà la scelta risulterà vincente, e l’Embell Riva riuscirà a tornare a numeri di spettatori e un fatturato in linea con la sua storia e con il lavoro che ogni giorno viene dedicato a ciò.
Ogni giorno e ogni notte, per un totale di oltre 25.000 giorni e notti regalate al circo.
Il presidente dell’Ente Nazionale Circhi, Antonio Buccioni, il Consiglio direttivo, tutta l’Associazione di categoria dei complessi italiani, la redazione di Circo.it e della rivista Circo, si uniscono al dolore dei familiari di Roberto Bellucci, ai quali esprimono profondo cordoglio.