Mezza tacca?
di Gilberto Zavatta
Un racconto che Gilberto Zavatta ha voluto condividere con il sito Circo.it, nel quale ripercorre la sua gioventù negli anni intorno alla Seconda guerra mondiale. Con uno sguardo ironico tira le somme della sua vita e delle sue abilità come giocoliere, ricordando in circo di una volta e i grandi personaggi incontrati.
Episodio 1
Se qualcuno si rivolgesse ad un altro dicendogli: “Tu sei una mezza tacca” quest’ultimo potrebbe risentirsi e magari rispondere per le rime. Ma se gli si dicesse: “Tu sei nella media”, sebbene il significato sia il medesimo, ma detto con formula diversa, non provocherebbe nessuna reazione. Tralascio subito questo argomento, ma lo riprenderò più avanti. Eccome se lo riprenderò! Il bambino del circo, ovvero il bimbo con genitori artisti di circo, prima o poi sarà pervaso da una aspirazione: diventare bravo come il papà. Questo è ciò che accadde anche a me. Mi sedevo sulla prima sedia libera vicino alla controporta e, tutte le sere, guardavo papà entrare in pista in piedi sul cavallo, con il suo costume da cosacco e il colbacco. Mi sembrava un marziano. Seguivo le sue evoluzioni (era bravo papà) poi, dopo il salto mortale “a ritorno” e i salti in piedi, egli rientrava in camerino e io correvo da lui. Un giorno gli dissi: “Papà, anch’io voglio fare il cavallerizzo” e lui: “Perché no, ma devi attendere qualche anno ancora”. Poi accadde qualcosa. Papà si fece seriamente male ad un ginocchio eseguendo il salto mortale, ma arrivando sul cavallo fuori equilibrio per poi cadere al suolo con tutto il peso su una sola gamba. Il numero di jockey fu tolto dalla lista. Dopo un certo periodo papà ci riprovò ma era divenuto timoroso e insicuro. La decisione fu dolorosa ma inevitabile: alla soglia dei 40 anni papà dovette rinunciare a continuare ad essere un cavallerizzo.
Intanto mi ero appassionato a un’altra specialità. Era un periodo in cui il numero delle sbarr” andava forte. Nel circo del nonno nel corso degli anni si erano avvicendati forti sbarristi del calibro di Temellin, Boni, Mirion, Popescu. I loro volteggi mi entusiasmavano. “Papà, papà, mi piacerebbe fare le sbarre”. “Ma, vedi Gil, c’è bisogno di un’attrezzatura impegnativa, ci vuole un maestro e ci vuole anche l’età. Non è un numero adatto ai bambini”. Altra delusione! In seguito arrivarono i Folco, i Portner e i Casi. In ognuna di queste famiglie c’era un giocoliere: Erminio Folco a terra, Athos Portner a cavallo e Esterina Casi giocoliera-ballerina. Fu amore a prima vista. “Ecco” mi ero detto “io farò il giocoliere”. Non esistevano ostacoli o impedimenti vari di nessun genere. Mi ero procurato tre palline da tennis e avevo subito cominciato a “darci dentro” ma i miei colleghi giocolieri non si allenavano mai, forse perché già soddisfatti dei loro livelli raggiunti e così, al mattino, mi trovavo ad essere da solo in pista e piuttosto demoralizzato. Il tempo passava. L’ultimo anno di guerra era stato turbolento e pericoloso. Non si viaggiava più con il circo e si pensava solo a sopravvivere in qualche modo. Le famiglie di artisti se ne erano andate ognuna alla ricerca di un posto relativamente sicuro dove poter resistere durante gli ultimi mesi di guerra.
continua…
Tutte le immagini sono tratte dal libro “Il circo di ieri e di oggi” di Alessandra Litta Modignani