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di Gilberto Zavatta

Mezza Tacca? Episodio 3

Continua il racconto autobiografico di Gilberto Zavatta. I difficili anni del secondo dopoguerra, il primo sassofono e la ricerca della propria strada. L’episodio precedente può essere letto a questa pagina.

Un giorno papà arrivò con un volume in mano: Metodo Salviani per saxofono n1. Che bello! Gli esercizi! Mi ero subito reso conto che erano facili. In fondo avevo suonato il quartino per tre anni, quindi una certa tecnica l’avevo incamerata. Avevo studiato quegli esercizi accuratamente, per la disperazione dei familiari. Un mese dopo, a stagione già avviata con il circo, papà era riapparso con il Metodo n°2. Certo più impegnativo, con note più fitte. Ogni esercizio lo ripetevo più volte, e in capo a due mesi li avevo superati con disinvoltura. Ma papà era spietato: arrivò col numero 3! L’avevo sfogliato e mi ero spaventato tant’erano fitte le note e collocate con grande estensione. Ero stato preso dallo scoramento. Papà mi guardava senza dire nulla. Mi ci ero buttato sopra e ogni esercizio mi faceva sputare l’anima e ci vollero mesi per poterli superare. Meno male che non esisteva il volume numero 4. Ah sì? Questo lo dite voi! Mio padre arrivò con il quarto. “Eh no papà eh no. Il quarto lo fai fare a tua nonna. Quello equivale a un esame per il diploma del Conservatorio per gente che studia 8 ore al giorno”.

Il quarto metodo me lo portai dietro per anni non venendone mai veramente a capo. Era comunque un periodo in cui ero concentrato solo con la musica trascurando un po’ tutto il resto. Ero invischiato però in un altro pensiero fisso non inerente a capacità artistiche. Nella mia famiglia due doti erano quasi un cult: la forza e la prestanza fisica. Guardavo con ammirazione i bicipiti dei miei zii, 40-42 cm di circonferenza e con invidia gli oltre 1.80 di altezza del mio zio più anziano. Quando non suonavo facevo decine di sollevamenti con le braccia e avevo imparato a fare gli appoggi sugli anelli di un nostro artista che li usava nello spettacolo. Ero basso 1.64 ma dicevo a me stesso: “vuoi che non posso crescere 3 centimetri all’anno?” In cinque anni sarò alto come lo zio”. Ero sì cresciuto 3 centimetri, ma in cinque anni! Fino ai miserandi 167 di cui dispongo. Intanto la chitarra languiva. Non c’era nemmeno più Florian a spronarmi finchè un giorno, passando vicino ad una carovanetta di un sinto avevo udito degli armoniosi accordi. È la radio, avevo pensato, invece era un giovanotto a produrli e ne ero rimasto incantato. Ebbene, imparai più da lui in una settimana che non in tutti gli anni precedenti. Del resto il popolo zingaresco ha prodotto nel corso di tanti anni grandissimi chitarristi, Manitas de Plata, Sabicas e Django Rainard, grande jazzista, zingaro di etnia “manusha”. Verso i 18 anni ero volenteroso e abbastanza soddisfatto di me stesso anche se consapevole di avere molto da imparare ancora. Per esempio avevo chiesto a papà: “Come mai io mi sento in forma e sono energico, però tu a 46 anni, mi sovrasti ancora ai salti al trampolino per non parlare di zio Emilio che sembra un extraterrestre?” Papà parve soppesarmi poi disse: “ti manca un po’ di potenza, ma non credere che per migliorare siano sufficienti i salti che fai durante lo spettacolo, bisogna provare per ore, come si fa per qualsiasi altro numero, bisogna affinare le plance, imparare ad arcuare, stringere bene il raggruppamento, potenziare i muscoli delle gambe e, soprattutto, studiare bene la rincorsa in modo di arrivare al trampolino senza passetti corti o eccessivamente lunghi”. Cose molto più facili a dirsi che non a farsi, pertanto io avevo continuato col mio tran tran. Qualche volta ero assalito da un dubbio: “non rimarrò mica una ‘mezza tacca’?”.

continua…