di Gilberto Zavatta
Mezza tacca? Episodio 2
Continua il racconto di Gilberto Zavatta sulla sua vita e sulla scoperta del proprio talento. La prima parte è disponibile in questa pagina
Aprile 1945. Finalmente era finita, era finita!
Indicibile la gioia di tutti. Però non c’era più una lira in tasca e bisognava dunque muoversi. Padova era lì, a dieci chilometri, uno dei miei zii era partito (in bicicletta) sperando che la piazza non fosse già stata concessa ad un altro circo. Lo zio era stato fortunato ed aveva ottenuto il permesso di erigere il circo in quella stupenda piazza chiamata Prato della Valle in occasione della Fiera del Santo che si sarebbe svolta nel mese di giugno. Ecco il festoso ritorno delle famiglie di artisti! Ecco i Medini, Florian, i Folco i Casi e i Portner. La popolazione, avida di divertimenti dopo anni di rinunce e repressione, sembrava impazzita. Invadeva il prato e riempiva all’inverosimile il circo e tutte le baracche presenti in fiera per giorni e per settimane. Io avevo ritrovato gli amici “Boda” Folco, Luigi Medini, Athos e Cipriana Portner. Si ma il papà mi aveva sottoposto ad un impegno impietoso: al mattino prove con il maestro Silvio Cati, ore 14: scuola privata per recuperare l’anno scolastico perduto, ore 17 scuola di musica con lo strumento che papà mi aveva comprato un “quartino” ovvero il più piccolo della famiglia dei clarinetti. Alle ore 19 rientravo al circo dove trovavo il comico Florian che mi diceva; “Dai, Neni, fammi sentire i progressi con la chitarra”. Uffa! Non ne potevo più! Progressi zero. Ma era dopo lo spettacolo che trovavo il mio sfogo assieme ai miei amici andando in giro per le baracche della fiera fino alle ore piccole. Rientravamo al circo mentre in qualche angolo del Prato qualche orchestrina ancora suonava il boogie-woogie e la gente ancora ballava sulla strada.
Ma tutto finisce. Un mese magico era volato via e il circo aveva ripreso il viaggio e dopo parecchi mesi, come sempre avviene, le famiglie di artisti avevano concluso la collaborazione e altre erano arrivate. I miei amici se ne erano dunque andati, ma erano giunti gli Zacchini e i Bogino. Il Trio Zacchini, la più bella, la più spassosa, la più irresistibile entrata comico-musicale. Tino, il più giovane, un virtuoso del sassofono e del violino mi aveva provocato una folgorazione. Quella cascata di note che uscivano dal suo sax argentato…dire che mi affascinava è dire poco. Ero corso da mio padre: “papà, papà, io…ecco…io vorrei un sassofono!”. Papà era rimasto un pò perplesso.
“Ma Gil, tu hai già il quartino“
“Ma papà non mi piace, sembra una piva…”
Non se ne era più parlato ma io ogni sera ero lì sulle gradinate a ridere con gli Zacchini e a bearmi delle suonate di Tino che io reputo il più geniale musicista tra tutti i circensi della mia e dell’attuale epoca, assieme a Chicchino Celà il quale con la tromba sembrava Harry James. Il tempo passava e a fine stagione ci eravamo fermati per svernare a Trieste. Papà un giorno disse di aver combinato qualche serata da farsi in un locale notturno con il numero di giocoliere. “Cosa? In un locale notturno? Ma io…” Papà era stato irremovibile. E così, pieno di paura, avevo fatto il giocoliere (assai scarso) assieme a papà (scarso pure lui) per un pubblico che ci aveva tollerati buonamente. Comunque era pur sempre lavoro, assai benvenuto al circo fermo. Dopo il numero ogni sera mi attardavo ad ascoltare l’orchestra con gli occhi puntati a quel sassofonista il quale si era accorto del mio interesse. “Ti piace il sax?” mi aveva chiesto “eh sì”. “Bene se vuoi te lo vendo e io mi compro un Selmer” ero corso da papà “Papà…papà! lui vende il sax, lo vende!” Mio padre non aveva commentato, ma dopo l’ultimo spettacolo del nostro breve contratto, mi aveva detto: “Vieni Gil” eravamo andati dal sassofonista:
“Quanto vuole?”
“Venticinquemila lire”
“Ne ho ventimila”
“Affare fatto”.
Il mio caro papà aveva sacrificato l’intero compenso ottenuto nel locale per accontentarmi. Eravamo usciti dal locale alle due di notte, con la Bora che fischiava e con il ghiaccio sulla strada, ma io il freddo non lo sentivo soffocato com’ero dall’emozione. Le carovane erano situate ad un chilometro distante che lo facemmo a piedi a piccoli passi per non scivolare. Giunti in carovana mamma e fratellini dormivano. Io avevo aperto l’astuccio e avevo estratto il sax. “Ma cosa fai? Sei matto? Vuoi svegliare tutti?” Avevo riposto lo strumento ed ero andato a letto. Dal mattino seguente in poi io ero divenuto un TORMENTONE SENZA PIETA’: la mamma era andata fuori di testa, papà se la cavava perché era sempre fuori per affari vari, gli zii le zie e i cugini mi detestavano, ma mi ammiravano per la costanza. E così andò avanti durante tutto l’inverno.
continua…
Le foto a corredo di questa serie sono tratte da “Il Circo di ieri e di oggi” di Alessandra Litta Modignani