Non è un film già visto, è un film già stravisto. Una politica che nasce e fa proseliti attraverso l’arte della vociferazione in piazza non può non avvalersi dell’appoggio degli animalisti, non troppo vincenti quando si tratta di operare quella cosa scocciante ma democratica che è chiedere il voto alle urne e tuttavia maestri nell’arte di far finta di sembrare un’infinità quando sono sempre gli stessi. Alla tentazione di strizzare l’occhio a costoro ha ceduto per un attimo persino la mia amica Michela Brambilla, che se non mi sbaglio appartiene alla coalizione (ammesso che si possa chiamare ancora così!) del centrodestra: come dunque rimproverare chi, con gli urlatori della piazza, ha dimestichezza quotidiana?
Bastava che i bambini vedessero non dico un elefante, ma un campino con qualche quadrupede attorno perchè si mettessero a frignare coi genitori per essere portati al circo. Uno di quei bambini ero io, e so di cosa parlo. Oggi quella città, di cui ho parlato nel mio libro Quando Milano faceva faville e su Circo in una serie di puntate, è molto lontana da quella che vota Pisapia. Ho ricordi splendidi degli anni ’70, quando poteva accadere che il Medrano di Leonida Casartelli potesse trascorrere più di due mesi nelle storica zona delle Varesine accumulando incassi da far felice un imprenditore circense per una vita e, a poche settimane di distanza, sotto Natale, il circo di Cesare Togni potesse affrontare a sua volta il giudizio di un vasto pubblico non stanco di quest’arte facendo tirare un sospiro di sollievo da far vibrare un grattacielo – io c’ero, e posso testimoniare – al mio buon amico che Dio sa quanto ne aveva bisogno. Però la domanda è questa: lontana, sì, ma quanto?
Certo nell’ultimo decennio esperienze positive si sono alternate a esperienze in taluni casi davvero negative. Ho visto amici proprietari di circhi di serie A mordersi le mani per certi errori di valutazione fatti in gennaio, mese divenuto ormai poco consigliabile per le piazze di Milano non solo per via dell’esodo in massa dovuto alle vacanze invernali in montagna ma anche a un certo blocco mentale che induce i milanesi a uscire poco di casa fuorchè nei giorni di sabato e domenica. Blocco dovuto al freddo e alla nebbia mentre dentro casa c’è comunque il televisore pieno di canali; blocco dovuto ai mezzi di superficie e anche alla metropolitana, che in quel periodo sciopera spesso e volentieri. Io ricordo un anno lontano in cui il Circo di Moira Orfei, a Milano per Natale, ebbe tale accoglienza da sostare con il proprio chapiteau fino a metà febbraio. Neppure adesso quel circo, per verità, omette di far sosta anche a Milano in una piazza che gli è ormai consueta chiamando un pubblico con cui ha stabilito una certa complicità. E’ comunque vero che città come Roma o come Napoli offrono ai grandi circhi maggiori garanzie.
Oh, intendiamoci: di circo si parla tanto anche a Milano, e in particolare in questo periodo, ma attraverso la mediazione di spettacoli – molto enfatizzati, peraltro – in cui l’arte circense si coinvolge o si lascia coinvolgere (decidete voi!) in diversi modi. Circo sì, ma anche teatro; circo sì, ma anche commedia musicale; circo sì, ma anche balletto. Su un giornale uscito nei giorni scorsi a Milano ho visto un titolo, “Circo o Danza?”, il quale invitava alla lettura di un testo per nulla polemico che tuttavia sottolineava, con certe argomentazioni, il dubbio espresso all’inizio. Su questa contrapposizione – Circo Classico e Circo Contemporaneo – si sono spese, anche col mio modesto contributo, fiumi di parole e non mi sembra il caso di tornare sul discorso in questa sede. Anche perchè la domanda chiave, ancora una volta lo ripeto, è un’altra. Quanto vale a Milano un elefante in spicciola moneta di mercantilismo politico? Davvero una cultura che si autoproclama egemone può, con uno schioccar di dita assessoriale, cancellare una antica affezione per una antica arte che è l’unica, ripeto l’unica, ad assemblare tre generazioni in un medesimo applauso? Davvero il mondo circense può continuare a rispondere come ha sempre fatto, piantando e spiantando con elefanti appresso magari a dare una zampa o una proboscide e lasciando la parola ai risultati?
Capisco gli amici circensi che diffidano di Milano, ma di invitarli a sventolare bandiera bianca su quel loro chapiteau reduce da miliardi di battaglie quotidiane proprio non me la sento.
Ruggero Leonardi