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Primo Levi: giocolieri nel lager

Chi pensa che l’arte circense possa esprimersi compiutamente solo in sede di spettacolo è lontano dal vero. E’ riflessione, questa, che io faccio oggi risfogliando un libro ospite nella mia biblioteca dal 1981. Si tratta di uno dei racconti che Primo Levi scrisse ispirandosi, da par suo, alle esperienze vissute in un Lager tedesco per scontare la “colpa” di essere nato ebreo.
Un giorno l’attenzione di Primo Levi è attratta da uno di quelli che loro, detenuti politici, chiamavano “Grunen Spitzen”, punte verdi. Erano essi pure detenuti ma per reati comuni, e nella gerarchia carceraria erano privilegiati rispetto agli altri perché a loro era riservato il compito della distribuzione del cibo. Distribuzione, inutile aggiungere, che sovente si risolveva in fame acuta per i non privilegiati.
Il nuovo venuto si pone all’attenzione di tutti fin dal primo giorno della sua presenza in quel triste luogo perché fa qualcosa che lo rende “un po’ meno triste”. Racconta Primo Levi: “Nel lavatoio, tutto nudo, dopo essersi lavato accuratamente con una saponetta profumata, se l’appoggiò sul vertice del cranio, che aveva rasato come tutti noi; poi si curvò in avanti, e con ondulazioni impercettibili del dorso, fece scivolare la sontuosa saponetta piano piano, dal capo al collo, poi più giù lungo tutto il filo della schiena, fino al coccige, dove la fece cadere nella mano. Due o tre fra noi applaudirono, ma lui non mostrò di accorgersene, e se ne andò a rivestirsi, lento e distratto”.
La scena si ripete anche in giorni successivi, benchè senza scadenze precise. Ci sono giorni in cui è capace, mentre spala la terra, di interrompere il lavoro e di impugnare la pala a mo’ di chitarra per improvvisare una canzoncina battendo con un ciottolo ora sul legno e ora sul ferro. E si badi, precisa Levi: “Non era un esibizionista. Nei suoi giochi non si curava affatto di chi gli stava intorno; sembrava piuttosto preoccupato di condurli a perfezione, ripetendoli, migliorandoli, come un poeta insoddisfatto che non cessa mai di correggersi”. O come, mi permetto di aggiungere, un artista di circo che sempre deve mantenersi in esercizio, sempre deve tenere in pugno quel suo difficile mestiere quotidiano anche quando la realtà che lo circonda è ben lontana da quella di una pista o di un palcoscenico.
Certo il rapporto con lo scrittore, verso cui tuttavia cela un innegabile senso di rispetto, non è dolciastro come si potrebbe vedere in certi stupidi film. Accade una volta che Eddie (così si chiama) scopra lo scrittore mentre fa cadere di mano la matita nell’atto di compiere l’attività di scrivere cui – ovviamente, dato il luogo – si guarda come a un delitto e gli dia uno schiaffo. Ma, si affretta a precisare Primo Levi, quel gesto violento va inteso in maniera ben diversa da quella che normalmente si intende. “In quel contesto voleva dire pressapoco ‘bada a te, guarda che l’hai fatta grossa, ti stai mettendo in pericolo, forse senza saperlo, e metti in pericolo anche me’”.
Arriva poi un giorno in cui, se non fosse per la perfidia del luogo, il tedesco Eddie, giocoliere per arte e rapinatore per diporto, strapperebbe addirittura gli applausi. In quel giorno arriva infatti un vagone pieno di tubi di cartone da scaricare. “Eddie”, racconta lo scrittore, “mi condusse in un magazzino interrato, sistemò sotto alla finestrella uno scivolo di legno su cui i miei compagni avrebbero fatto scendere i tubi, mi mostrò come avrei dovuto accatastarli ordinatamente contro le pareti e se ne andò. Dalla finestrella, potevo vedere i compagni, lieti per quel lavoro insolitamente leggero, ma incerti e impacciati nei loro movimenti, che facevano la spola fra il vagone e il magazzino, portando venti o trenta tubi per viaggio; Eddy ne portava talvolta pochi e talvolta tanti, ma mai a caso. Ad ogni giro, studiava strutture e architetture nuove, instabili ma simmetriche come castelli di carte; un viaggio lo fece facendo volteggiare in aria quattro o cinque tubi, come i giocolieri fanno con le palle di gomma”.
Una scena di organizzazione che viene fatto di definire acrobatica. Eppure siamo in un Lager, luogo di abbrutimento dell’uomo che non sembra dare speranze. Ma in quel giorno lì nel Lager c’è tanto Circo, e almeno per qualche ora a vincere non è la morte programmata da una infame ideologia ma l’arte che il vivere circense porta con sé ovunque vada.
Ruggero Leonardi

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