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Philippe Daverio: elogio del circo e dei suoi animali

di Claudio Monti

Philippe Daverio a Sarzana per parlare del circo nell'arte
Philippe Daverio a Sarzana per parlare del circo nell’arte
“Il ragionamento da fare sul circo non è mica tanto facile”. Se lo dice lui, che da tempo ha un “passepartout” per spiegare i segreti dell’arte al pubblico televisivo, allora significa che il circo non è robetta da scuole serali. Philippe Daverio è un divulgatore d’arte e di cultura e sentirlo parlare della polverosa arte della pista fa un certo effetto. Ma chiamato al nono raduno nazionale delle scuole di piccolo circo (che si è svolto a Sarzana ad aprile) per tenere una dotta lezione sul circo nell’arte, Daverio è andato contromano rispetto a chi vede nel circo di tradizione un vecchio arnese del passato. Ed ha anzi intessuto le lodi del circo che, a più di due secoli di distanza dal suo debutto sulla scena moderna, riesce ancora a suscitare stupore, grazie ad una comunità di uomini e animali che viene da lontano e che è destinata a compiere ancora un lungo tragitto. Vale la pena di seguire il suo ragionamento e per facilitare le cose lo faremo per capitoli.

Parade di Pablo Picasso
Parade di Pablo Picasso
Il circo ha una storia, anzi una Storia, rivoluzionaria e popolare. “Il circo ha radici molto profonde e lontane che affondano nell’epoca romana, ma il circo romano antico è un’idea ormai evaporata”. Il circo moderno nasce invece alla fine del 700 – ha proseguito – da un friulano, Antonio Franconi, e da un inglese, Philip Astley. “In questo periodo Parigi diventa la capitale del circo e questo avviene quando al teatro si sostituisce lo spettacolo popolare che reclama i propri diritti e in particolare il diritto al divertimento. A Parigi si stanno affinando le menti di quelli che poco dopo faranno la rivoluzione e la stessa voglia popolare che spingerà alla rottura del sistema aristocratico del teatro, porterà all’esplosione del mondo del circo, che si sviluppa come conseguenza della rivoluzione sociale che cambia la storia d’Europa”. Anzi, il circo è esso stesso rivoluzionario – ha detto Philippe Daverio – e accompagnerà i cambiamenti della Francia cominciando ad avere un successo stabile e definitivo a partire dagli ultimi 30 anni del XIX secolo. In questo periodo sta finendo il percorso rivoluzionario con la Comune di Parigi e per i ricchi comincia la Belle Époque mentre per chi non è ricco comincia comunque un periodo di vita che sarà di una pace lunghissima – 44 anni di pace in Europa non si erano mai conosciuti – durante il quale si inventano i divertimenti corrispondenti. “E’ in quell’atmosfera che nasce il circo moderno, che si afferma come grande tradizione popolare”.

Pietro Longhi, rinoceronte a Venezia
Pietro Longhi, rinoceronte a Venezia
Nasce il culto del circo nell’arte. I pittori non restano indifferenti al fascino del circo, anzi – suggerisce Daverio – “cadono nella sua trappola”. Già i veneziani nel 700 rimangono stregati dal circo e “uno dei più bei quadri di Pietro Longhi rappresenta tre damine col coprifaccia che guardano un animale esotico, il rinoceronte”. E’ il primo segnale di ciò che diventerà il circo, che già allora ha la forma di un teatrino tondo a cielo aperto, con la sabbia per terra. Un genere di teatrini che sono purtroppo scomparsi: a Milano l’ultimo fu bombardato nel 1944. “I teatri all’aperto sono il primo passo verso ciò che diventerà la tenda da circo”.
Ormai è fatta. “Così nasce il culto del circo, intimamente legato alle abilità di dimostrazione e di controllo del mondo animale e contemporaneamente all’idea che chi fa parte del mondo popolare ha diritto ad un suo gioco personale, autonomo e molto lontano da quello del teatro ufficiale, aulico, e più lontano ancora dall’opera. Non per niente nel circo diventa fondamentale l’orchestrina. Nel gioco circense si mescolano le capacità del saltimbanco medievale, il gusto per l’animalistica che proviene inizialmente dalla formazione dei cavalli, e l’idea che la musica sia una sorta di rimescolamento definitivo e di macchina che fa stare tutto insieme”.

Il colonialismo e l’arrivo degli animali esotici. Negli anni in cui il circo nasce – ha spiegato Daverio – l’Europa diventa colonialista e cominciano ad arrivare gli animali strani. “Trovare un leone in giro per l’Europa nel 700 non era facile, infatti il rinoceronte a Venezia aveva fatto notizia. Trovare un leone a partire dal 1870, con la Francia che aveva cominciato a conquistare l’Algeria e il Nordafrica, con l’Inghilterra che si occupava di mettere le proprie mani in India e nell’Africa centrale, diventa molto più facile. Alla struttura dello spettacolo di circo diventa economico il fatto animale, cioè necessario, utile e dimostrativo portare la belva feroce, l’animale esotico, il cammello, che non si vedevano mai dal vero ma solo nelle stampine, recuperando in questo modo anche la sua origine lontana che è quella del circo romano. Dopo 1700 anni quello che era il gioco circense con i leoni diventa il gioco con il leone addomesticato e questa mutazione è particolarmente attraente. Da leone mangiatore di schiavi o di condannati a morte si passa al leone domato. Dagli elefanti di Annibale si passa a quelli ammaestrati. Dalla figura della commedia dell’arte si passa alla figura del clown, dall’immaginario antico si passa al gioco delle ballerine con l’orchestrina”.

Il circo come archetipo del cambiamento possibile. “Il circo è il momento nel quale la nostra civiltà occidentale comincia a riassumere tutto il suo passato rendendolo moderno, un po’ come per dimostrare che l’umanità può migliorare. E’ questa la radice dell’affetto che tutti abbiamo portato al circo”. In maniera quasi totale fino ad un certo periodo, circa 40 anni fa, ma poi la televisione ha preso il posto del circo (“basta guardare una sera Bruno Vespa per capirlo…”, ha ironizzato Daverio). Sta di fatto che “nella storia delle nostre borghesie occidentali, dell’Europa che muta, il circo diventa fondamentale”.

Il saltimbanco di Antonio Mancini
Il saltimbanco di Antonio Mancini
Picasso, Chagall, Botero & Co. Talmente fondamentale che l’arte ne è imbevuta. E qui Philippe Daverio ha giocato le sue sconfinate conoscenze passando in rassegna una serie di pittori che hanno dipinto il circo: da Pablo Picasso (definito “indagatore regolare dell’anima circense”) col suo fondale Parade e i famosi arlecchini e saltimbanchi, a Renoir, da Donghi a Chagall, da Botero a Georges Seurat, da Henri de Toulouse-Lautrec a Edgar Degas fino agli autori meno noti al grande pubblico per avere rappresentato il circo, come gli italiani Antonio Mancini e Arturo Martini.
L’arte – ha spiegato Daverio – sfata il mito del circo come spettacolo per bambini: “In nessuno di questi dipinti che vi ho mostrato ci sono i bambini ma sempre gli adulti, mossi da una curiosità inattesa per le abilità, la fisicità, anche per un certo erotismo che il teatro ufficiale non garantiva”.

Il circo reinventato e la cura degli animali. “Il circo è stato ucciso dalla televisione”, ragiona Daverio, “perché i tempi dello spettacolo circense hanno bisogno di essere condivisi sotto al tendone, intorno all’arena, sentendone gli odori, i rumori,… tutti elementi che non sono adatti al sistema della comunicazione televisiva”. Ma a ben guardare il circo non è morto e sta vivendo una sorta di resurrezione.
livio-togni-ammaestratore“Il circo ebbe il suo fulgore fra la fine dell’800 e la prima metà del XX secolo. Però alcuni protagonisti del circo oggi stanno reinventando qualcosa di nuovo. Io ho un simpatico amico che si chiama Livio Togni e che si occupa del circo Darix Togni. Sono andato a trovarlo alcune volte e mi ha sempre colpito il modo straordinario col quale in quel circo tengono gli animali. Il momento che viviamo è contraddittorio. Ci sono degli animalisti che dicono: non dovete tenere il leone in gabbia, va riportato in Africa. Ma il leone che torna in Africa chiede di essere riportato immediatamente a Berlino perché non sa cosa fare in Africa; ormai parla tedesco, la prima volta che ha incontrato un watussi non è neanche andato d’accordo e soprattutto quando gli hanno chiesto di cacciare la zebra non aveva la forza d’animo di riconcorrerla perché era abituato a mangiare scatolette”.
Con l’arma dell’ironia si dicono grandi verità. “Oggi molti animalisti sono contrari al circo, reputano che sia una sorta di costrizione, di cattiveria, così come molti sono contrari agli zoo e ne ho visti chiudere negli ultimi anni, quello di Milano è morto e molti ne stanno scomparendo in Europa. Io non sono in grado di esprimere un giudizio etico al riguardo, quello che so è che chi continua oggi a lavorare nel mondo del circo sta riportando questo rapporto fra fisicità, esercizi, gioco e soprattutto mondo animale, ad un equilibrio che talvolta è assolutamente commovente”, è il giudizio di Philippe Daverio.
Ancora un esempio tratto dalla esperienza diretta. “Andando allo zoo non avevo mai capito il motivo per cui un cappotto di cammello fosse così costoso, ma se andate a vedere quelli di Darix Togni capite per quale motivo quella lana è morbidissima. Sono andato a salutare più d’una volta i suoi cammelli e dromedari e sono di una morbidezza, di una cura, di una qualità che è quasi inattesa. Il mondo del circo rappresenta ancora oggi, almeno in una parte, il rapporto col mondo animale portato ad un parossismo di dialogo possibile. Certo, non è quello della natura, ma quali sono gli animali che sono totalmente naturali?”

Sopra, Livio Togni e, in questa foto, una immagine esterna del circo Darix Togni
Sopra, Livio Togni e, in questa foto, una immagine esterna del circo Darix Togni
Ancora un affondo nel paradosso per descrivere la realtà: “Io ho parlato con parecchi leoni del circo ed erano anche abbastanza felici di avere la tredicesima e la pensione garantita rispetto ai loro colleghi che hanno dei problemi quotidiani di posto di lavoro. Ho parlato coi cammelli i quali sono felicissimi di fare il cammello da circo perché hanno diritto a delle “shamponature” che li lasciano morbidi e loro stessi ne vanno felici e fieri. Ma poi ho parlato anche con gli altri esseri del circo che sono quelli umani: il mondo bizzarrissimo della capacità di compiere gesti dall’aspetto atletico ma che sono ben al di là del gioco atletico vero e proprio, perché sono una sorta di curioso gioco estetico dello stupore,… e quelli sono i più interessanti di tutti. E infatti ciò che è mancato in queste immagini, ma semplicemente perché non ne esistono di dipinti del genere, è la psiche di chi lavora nel mondo del circo, di chi vive questa vita da viandante, che ha una casa da qualche parte ma la sua vera casa è quel tendone e i suoi veri rapporti sono quelli che ha all’interno di quel tendone”.

Maycol Errani in pista con gli animali da Knie
Maycol Errani in pista con gli animali da Knie
Il futuro del circo. “I più fini stanno dando un nuovo destino al circo: sono il Cirque du Soleil, Knie, Zingaro, in Italia i Togni …”, solo per fare qualche esempio. “Stanno ridando vita ad una cosa nuova, che non è più come poteva essere lo stupore per chi vedeva l’animale inatteso nel 1800 ma è quello che oggi determina la nostra sensibilità profonda, la capacità di accarezzare i nostri ricordi e usarli per farne una parte della nostra strutturazione culturale. Noi siamo ciò che siamo perché in noi sono contenute tante meccaniche passate; quelle crudeli dell’impero romano le abbiamo dimenticate, credo che nessuno di noi sarebbe capace di assistere ad un leone che sbrana un impiegato comunale fedifrago, seppure fedifrago… Oggi nella nostra cultura trasversale popolare, dove non esistono più tanto le classi sociali ma pagando un biglietto si appartiene tutti ad un mondo unico, quel mondo del circo che sembrava essere condannato a scomparire, torna fuori e ci lascia un sapore di nostalgia che, se saremo in grado di trasmetterlo, farà si che il mondo del circo che abbiamo visto dipinto alla fine dell’800, continuerà ad essere dipinto nella nostra testa anche nel secolo che stiamo affrontando oggi”.

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