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Per capire i russi bisogna guardarli al circo

“Per capire il popolo russo bisogna osservarlo al circo”. Con questo titolo un grande inviato italiano, Ennio Caretto, all’epoca corrispondente per La Stampa dalla grande madre Russia, e in seguito al Corriere della Sera, scriveva un reportage che merita ancora di essere riletto. L’occhiello di quel servizio era ancora più esplicito: “Uno spettacolo che costituisce l’orgoglio nazionale”. E poi: “L’amore per questa forma di svago è profondo in tutto l’immenso Paese – I clowns più famosi (Popov e Karandash) sono veri eroi nazionali, specchi della vita e dei costumi collettivi – Gli artisti del circo si formano in apposite scuole e sono aiutati e protetti dallo Stato; nell’ambito della società sovietica godono di una posizione privilegiata”. Lo riproponiamo integralmente dal ritaglio che porta la data del 2 maggio 1968.

Ed oggi cosa è cambiato per il circo nell’ex regno del comunismo? Ce lo racconta un reportage di Alessandro Serena pubblicato in due puntate sulla rivista Circo di luglio e di agosto.

Dal nostro corrispondente
MOSCA, aprile

“Era domenica mattina, e il Circo di Mosca presentava il suo solito spettacolo. Avevo acquistato il biglietto di ingresso giorni prima, ma ero ansioso anche di osservare il pubblico, e vi andai con molto anticipo. Viale Tsvetnoi era già ingombro di automobili e di pullman, l’aria risuonava di colpi di clacson, e gente allegra bloccava il marciapiede. Contro il botteghino chiuso s’accaniva invano un gruppo di ragazzi, mentre un altro cercava tra la folla qualcuno pronto a cedere il suo posto per due rubli o un po’ di vodka.
Il Circo di Mosca è un vero teatro in muratura, a cupola, con il palchetto per l’orchestra al di sopra dell’ingresso, il ridotto, il bar e, in luogo del palcoscenico, un’arena centrale. Lo spettacolo è un miscuglio sapiente di acrobatismo, comicità ed arte, con richiami discreti al patriottismo ed all’amore. Cantava canzoni « beat » una bella bruna in minigonna, e sventolavano le loro gloriose bandiere i cosacchi in piedi sui cavalli lanciati ad un galoppo sfrenato. Eseguivano esercizi di ginnastica gli orsi ammaestrati, e il celebre pagliaccio Popov motteggiava i lavoratori stanchi e incompetenti con squisita sobrietà di gesti e profondità d’osservazione. Nessun spettacolo o forma d’arte riflette meglio del Circo la natura russa, l’anima e il gusto popolari. Esso riassume compiutamente la sostanza delle vecchie sagre di paese, e prima ancora dei tornei medioevali. In ogni città che si rispetti, da Tbilisi a Novosibirsk, da Mosca a Leningrado, v’è il Circo Stabile, così come vi sono il Teatro, il Conservatorio, la Cattedrale ed il Palazzo dei congressi del partito.
I suoi artisti sono amati ed ammirati: additati in patria ad esempio di virtù civiche, vengono inviati all’estero quali ambasciatori di talento e di folclore. Le grandi tradizioni sono tramandate con passione e fedeltà. In nessun altro campo, il genio individuale russo s’è integrato così perfettamente con la proprietà e la direzione di Stato. Oggi, come cinquant’anni fa, il Circo è lo svago e l’orgoglio nazionale. Gli uomini che ne rivelano tutta l’umanità e immediatezza sono i pagliacci Oleg Popov e Mickail Rumyantsev, detto Karandash, matita. Essi hanno innalzato la loro professione alla dignità del mimo. Sono uno specchio dei tempi e dei costumi. La vita quotidiana, le vicende politiche, i grandi personaggi, il sesso suggeriscono loro critiche e vignette. « La donna — diceva Dostojevski — sa il diavolo che cos’è ». E in uno dei suoi « numeri » più esilaranti Karandash tenta invano di rimettere insieme la statua di un nudo femminile da lui fatta in quattro pezzi. « L’uomo politico — scriveva amaramente Pilnyak — è disossato ». E il pezzo di bravura di Popov è un esercizio d’equilibrio su una corda nel corso di una concione « mute » di partito. Popov è ancora giovane. Karandash è anziano, e di fronte a lui hanno riso egualmente Stalin, Kruscev, Breznev e Kossighin. Popov e Karandash non sono soltanto gli eredi di una grande scuola, ma anche il prodotto di una organizzazione nuova. Ai russi è sempre più raro nascere con il circo nel sangue in qualche celebre famiglia di acrobati o di prestigiatori, ed è sempre più frequente invece innamorarsene, e apprenderne i segreti in uno degli appositi istituti professionali, aperti quarant’anni fa. Alla vocazione si unisce così la disciplina. Per diventare trapezisti occorre studiare ed esercitarsi sette anni, per diventare pagliacci ne bastano quattro, e i migliori allievi sono spesso donne. Negli Istituti s’insegnano altresì lettere, matematica, fisica, musica e teoria e storia del circo. Superato l’esame, ottenuto il diploma, tramite uno speciale ufficio di collocamento, gli allievi assumono subito un impiego. La loro carriera incomincia in genere in provincia e finisce a Mosca. Ciò non toglie all’artista del circo il suo alone di romanticismo. Cli istituti gli offrono solamente prospettive di fama, che egli la raggiunga rimane una questione personale. Piuttosto l’artista ne guadagna in sicurezza di lavoro e in fiducia in se stesso. Nell’ambito della società, egli gode oggi di una posizione privilegiata. Non viaggia più su un carrozzone, ma in treno o in aereo, e non ogni settimana, ma saltuariamente. Mangia e dorme bene, in casa o in albergo, veste con eleganza. Tale industrializzazione, che tuttavia lascia ancora molto sfogo ai sogni e alla poesia, è visibile soprattutto nel nuovo circo in costruzione a Mosca, i piedi della collina di Lenin: un palazzo di vetro e cemento armato, assai moderno, ampio, vastissimo, con tremila posti. Grazie a un colossale meccanismo sotterraneo, la sua arena centrale può essere sostituita, davanti agli occhi degli spettatori, da una piscina profonda quattro metri, o da una pista di ghiaccio, o da un’altra arena per animali selvatici. Contemporaneamente, compariranno su grandi schermi laterali scene di giungla, deserti o vastità popolari. Si offrirà così al circo la possibilità di rinnovarsi, di uscire dagli schemi abituali e tentare soluzioni nuove. Il potere sovietico è sicuro che lo spirito del circo non verrà snaturato. Nessuna decisione è presa senza il parere favorevole di un consiglio composto dagli artisti più esperti. E quaranta, cinquanta anni di carriera, hanno abituato questi uomini a cogliere ogni mutamento dell’umore popolare. Ha scritto Leonov: « Per noi russi, il circo è essenziale, come un ramo verde fuori della finestra ». E’ difficile spiegare tanta passione e fedeltà. Forse i russi vedono nel circo un richiamo alla libertà della natura e, insieme, una conferma della vittoria dell’uomo sulle sue manifestazioni ostili. Forse li attira la semplicità e la varietà dello svago. Forse sono mossi dalla nostalgia per quelle consuetudini e quella virilità che sembrano purtroppo destinate a scomparire. E’ un fatto, comunque, che per capire questo popolo bisogna anche osservarlo al circo, mentre si diverte in umiltà e amicizia.

Ennio Caretto