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Pechino, la città proibita dell’acrobazia

di Alessandro Serena

PECHINO – Frequento Pechino ormai da una ventina d’anni, la mia prima volta risale al 1989, una manciata di settimane dopo i fatti di Piazza Tiennamen, con la rivolta degli studenti e la condanna unanime di tutto il mondo. Ricordo lo stupore di una città grigia, con poca gente in giro. Compagnie acrobatiche di livello non eccelso (i migliori artisti si potevano vedere allora in province lontane), spettacoli montati in maniera rozza e sale disertate dai turisti, che per altro evitavano anche le altre maggiori attrazioni: la Grande Muraglia o la Città proibita, dove però ai pochi stranieri venivano offerti Rolex finti, perlopiù di pessima qualità. Una metropoli piena di smog che a fatica lasciava intravedere il sole.
Da allora sono riatterrato più volte nella grande città, in aeroporti in continua metamorfosi. Il sole è ancora nascosto, ma il cambiamento, in ogni settore, mi è apparso visibile in maniera palese nell’ultima recente visita. Sono rimasto nella luccicante capitale d’oriente fra il derby della Supercoppa italiana Milan-Inter, fonte di grossi guadagni e di un’enorme eco mediatica e la visita del vicepresidente americano Joe Biden che (in questi tempi di crisi) ha giurato al colosso cinese eterna fedeltà, alla faccia dei diritti umani e della annosa questione del Tibet.
Ora il turismo è diventato un grande business, soprattutto quello locale. Prima i lavoratori erano impegnati sei giorni alla settimana con sei giorni di ferie all’anno. Ora si parla di cinque giorni alla settimana, il che ha permesso l’invenzione seppur tardiva del “week end fuori porta”. Inoltre ci sono tre settimane di vacanze d’inverno e tre d’estate. Più soldi e maggior tempo libero, questa è stata la vera rivoluzione. Le olimpiadi del 2008 hanno fatto il resto, con la realizzazione di potenti ed efficaci infrastrutture. L’economia cinese corre, eppure, mi faceva notare la mia guida, David Zhang, ancora non è stata capace di affermare un proprio marchio a livello internazionale, mentre continua ad essere nota per le imitazioni sottocosto.
Ma questo non è del tutto vero per il modo di fare circo. Ci sono attualmente quattro grandi spettacoli in città con approcci e tagli differenti, in grado di soddisfare il gusto di una domanda eterogenea. Vediamo come.
Nella capitale hanno la loro residenza fissa due compagnie importanti, la Beijing Acrobatic Troupe e la China Acrobatic Troupe.
La prima, di dimensioni e possibilità più ridotte, ha compiuto un gesto clamoroso, considerato il proverbiale spirito autarchico locale. Ha affidato l’ultima produzione ad un creativo del Cirque du Soleil, Guy Caron, il quale, nel piccolo teatro gestito dal gruppo, ha impostato lo spettacolo Magic Music Box.
Il regista francofono, uno dei pionieri del circo contemporaneo con la creazione della Scuola di Montreal e il fondamentale apporto al colosso canadese, dimostra di trovarsi a proprio agio anche con limitati mezzi a disposizione.

Il National Indoor Stadium
Alcune semplici trovate: un percussionista sempre in scena, alcuni personaggi che aiutano le transizioni da un numero all’altro ma appena accennati, che permettono di godersi lo spettacolo senza dover stare troppo attenti a seguire la trama. L’uso di tipici separé con temi orientali ma scorrevoli, per far apparire e sparire attrezzature ed artisti. Manca del tutto la comicità, ma lo spettacolo ha un ottimo ritmo e Caron, novello Marco Polo, mostra di rispettare la Cina e le sue tradizioni molto più di numerosi artisti indigeni moderni ed esterofili visti di recente in alcuni festival europei. La scelta di puntare su di un creativo straniero è interessante, eppure il pubblico non accorre numeroso, forse per errate strategie di marketing.
China Acrobatic Troupe al diabolo
La China Acrobatic Troupe (anche nella foto in home page) è una delle più grandi compagnie acrobatiche del mondo, con sessanta anni di storia, centinaia di acrobati, un istituto di formazione riconosciuto dallo stato, la continua e proficua collaborazione con importanti colossi dello spettacolo dal vivo in tutto il mondo.
Di recente ha acquisito la gestione del National Indoor Stadium, una grande e moderna struttura realizzata per le passate Olimpiadi, a due passi dal famoso stadio a nido di rondine disegnato dal dissidente Ai Weiwei e dal prodigio architettonico del Water Cube, il cubo d’acqua che ospita gli sport acquatici. Un vero e proprio ennesimo centro di vita sportiva, artistica, culturale e in definitiva economica della città. Il nuovo spazio impone alla troupe di ripensare il proprio approccio alla creazione degli spettacoli con una architettura scenografica notevole, piste rialzabili e standard tecnici altissimi. La messa in scena dello spettacolo con una trentina di percussionisti tutti attorno alla grande pista e una ventina di clown sparsi per il pubblico, non convince, ma i singoli numeri sono di qualità eccelsa, come la performance al diabolo di sette ragazze, già vincitrici della medaglia d’oro al Festival di Parigi.
Il cubo d'acqua a Pechino
In città agiscono poi compagnie non indigene. Al grande, centrale ed affollatissimo Teatro Chaoyang opera la troupe acrobatica della provincia di Sichuan, che offre uno spettacolo in linea con le migliori tradizioni cinesi e performance ispirate ad usanze ed oggetti tipici della quotidianità: sedie, tavoli, biciclette, stendardi, lanterne, vasi e giare di terracotta. Una trentina di persone in scena con musiche, costumi e movenze etniche. Un prodotto tipico offerto da numerose agenzie di viaggio ai propri clienti che trovano inviti e biglietti negli hotel di qualsiasi categoria.
Ma la novità di maggior rilievo è il Global City Circus, un enorme tendone montato non distante dalla nuova zona olimpica da un’impresa privata. Un circo dagli standard tecnici e di accoglienza del pubblico sorprendenti e decisamente superiori a quelli europei: sedie imbottite e con tavolini (come in business class), hostess ovunque. Una pista di 18 metri (contro lo standard di 12), circondata da fontane danzanti, proiezioni fantasiose su un grande schermo vidiwall che funge da fondale. Un’altezza notevole che permette exploit come il globo con otto moto che sfrecciano all’interno, la ruota della morte e trapezio volante alla coreana. Giochi di luci laser dell’ultima generazione. Ballerine e percussionisti dal vivo. Inservienti con uniformi peculiari. E soprattutto una struttura che richiama quella classica: programma internazionale, clown e molti numeri con animali (elefanti, canguri, orsi) adorati dagli spettatori. E ciò che stupisce è proprio il pubblico, in gran parte locale, molto simile a quello occidentale con grande preponderanza di nuclei famigliari festosi che affollano il grande tendone ad ogni spettacolo. Forse è questa è la Cina d’oggi, un mix di stili ed estetiche che, di fatto, forma un’estetica nuova.
Può forse essere proprio il circo il marchio internazionale forte di cui la Cina è priva? Di certo gli spettacoli che si possono ammirare oggi attorno alla città proibita sono tutt’altro che copie malfatte. Non Rolex fasulli a basso costo, ma perfetti meccanismi ad orologeria che rispondono alle esigenze di un vasto e nuovo bacino di utenza, alquanto vario, esigente ed accontentato.