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Okidok, l’umorismo sotto la pelle

di Lucia Cominoli

Una carriera iniziata a dodici anni e dunque un’esperienza  artistica già lunga e affascinante da raccontare, visti i risultati,  anche se molto giovani. Sono gli Okidok, Benoit e Xavier. Circo li ha  intervistati.

Avete iniziato molto presto la vostra carriera di clowns.

Benoit: Sì, è così. Io e Xavier ci siamo  conosciuti a dodici anni a scuola, a un workshop di circo per bambini.  Nel tempo libero abbiamo cominciato ad esercitarci con il juggling,  l’acrobatica e a realizzare dei piccoli show, oltre che a seguire  laboratori di circo sociale, nei quali abbiamo conosciuto il nostro  primo insegnante.

Xavier: Inoltre nella città in cui  viviamo, Tournai, ogni anno c’è un famoso festival, La Piste aux  Espoirs, in cui si riuniscono moltissimi artisti, un contesto ideale per  noi per imparare osservando che esistono diversi modi di recitare e di  fare circo e in cui abbiamo cominciato ad esibirci intorno ai 15-16  anni. La varietà dei generi per noi è sempre stata fondamentale. Fin dal  principio infatti ci è stata insegnata l’importanza di mischiare  tecnica e commedia. C’è molto più divertimento nel recitare se hai  l’umorismo sotto la pelle e anche per il pubblico diventa tutto più  interessante. I nostri primi tentativi così sono andati verso questo  tipo di ricerca, proseguendo con delle piccole performance fino a 18  anni quando poi dovemmo scegliere se proseguire la carriera circense o  se andare all’università. Alla fine decidemmo di frequentare l’Ecole  Lassaad, una scuola di teatro, nata dopo dieci anni di collaborazione di  Lassaad con Jacques Lecoq a Parigi.

Benoit: Contemporaneamente al teatro  continuavamo ad esercitarci con il circo e conclusa la scuola ci siamo  iscritti all’École Nationale du Cirque a Montreal, dove, per due anni,  ricevemmo una formazione sia circense che teatrale.

<strong>La vostra formazione attinge sia  alla tradizione che al contemporaneo. Ci sono dei clown della pista che  sono stati per voi in questo senso punti di riferimento?</strong>

Xavier:  Sì, certo, ma non tanto da fare dei nomi o da riconoscervi l’importanza  di un genere specifico. Al di là delle distinzioni tra pista e nouveau  cirque, il clown è modo di recitare, uno stile con le sue proprie  regole, che, a mio parere, non possono essere rimosse, perché è una  disciplina, esattamente come per la Commedia dell’Arte. Una volta  acquisite le regole tuttavia si sceglie il proprio personale costume.  Prendendo magari spunto anche da antiche suggestioni, certo, ma senza  esserne vincolati. Ci piace il circo, in tutte le sue forme, non  vogliamo scegliere tra antico e moderno, non è una questione che ci  interessa. A volte ci capita di lavorare in gala internazionali di  stampo molto tradizionale, in Olanda per esempio, mentre altre volte ci  piace confrontarci in Francia con altri amici artisti in qualcosa di più  contemporaneo e qui, ovviamente, il nostro clown assume un’altra  immagine. Ma quello che ci interessa è solamente il clown, il  personaggio che si nasconde dietro la maschera.

I vostri due spettacoli Ha Ha Ha e Slip experience sembrano riflettere proprio questa ricerca.

Xavier: E’ vero. Si tratta di due  spettacoli molto diversi, risultato di diversi percorsi. Il primo è nato  lavorando al Circo stabile di San Pietroburgo, che ci ha fatto venire  la voglia di andare verso un altro tipo di tradizione. Conoscevamo già  bene la nostra tradizione francese del clown, la coppia augusto e clown  bianco, ma qui ci sembrava che il ruolo di uno dei due, obbligato ad  essere più serio, potesse risultare alla lunga un po’ frustrante. Per  mettere insieme due ruoli comici abbiamo pensato così di attingere alla  tradizione russa, in cui ogni clown ha la sua propria personalità e il  nucleo poetico con tutto il suo universo può cambiare di volta in volta  durante l’azione.

Dopo il viaggio in quell’immaginario  decidemmo in seguito di continuare a lavorare su un clown capace di  rinnovarsi, di farsi meno lirico e più concreto, pronto a tornare sulle  strade per sfidare i propri limiti. Nelle strade infatti è tutto più  violento e qualche volta ci siamo sentiti incapaci di reagire. Su questo  nelle scuole si lavora piuttosto poco. Abbiamo così deciso di  continuare per rafforzarci nel nostro confronto con il pubblico e uno  degli ultimi risultati è stato per l’appunto Slip Experience, in cui,  oltre che i pantaloni, ci siamo tolti il naso rosso. Non avere il naso  rosso rende il clown più umano ed è più facile comunicare con la gente.

Benoit: Secondo me la differenza tra il  clown con o senza il naso rosso è puramente estetica, una scelta  d’immagine. I veri clown sottesi dietro queste icone sono sempre gli  stessi. Se uno rimanda a una dimensione più lirica e più evocativa,  l’altro prende spunto direttamente dall’umanità reale, dall’incontro che  viviamo ogni giorno, un po’meno poetico e misterioso ma di tocco senza  dubbio più immediato.

Xavier: Al di là delle categorie  critiche infatti, al pubblico basta molto poco, non servono grandi  scelte, basta un semplice segnale perché si possa dire: quello è un  clown. Noi non vogliamo giocare sull’orpello, sulla caratteristica  ridicola del clown come poteva valere nella Belle Epoque ma sul ridicolo  della nostra società contemporanea, sulla sua umanità. In Slip  experience lo facciamo costantemente, per prenderci gioco dell’ossessivo  culto del corpo, con cui ci bombardano di continuo tv e giornali,  riducendo quelle bellezze a scimpanzé.

Continuando a parlare di  pubblico quali sono per voi le differenze maggiori nel lavorare in  diversi contesti quali la pista, il teatro e la strada?

Xavier: In generale non ci piace la  tecnica di portare il pubblico sul palco. Nelle strade però tutto è più  semplice, il meccanismo si scioglie perché noi e il pubblico siamo sullo  stesso piano realmente circolare, non c’è palco, non c’è pista, tutto  si mischia ed è per loro più immediato rispondere. Il lavoro è  decisamente diverso comunque di volta in volta, dal momento che ci sono i  più diversi tipi di strade e lì, per esempio durante i festival tutto  può succedere, come incontrare la polizia!

Benoit: Lavorare in teatro, in strada o  sulla pista, ci insegna di volta in volta una cosa diversa. La vera  esperienza sta nel continuare a sperimentare l’azione per adattarsi a  tutte le circostanze.

Quanto conta dunque nei vostri show la dimensione drammatica?

Xavier: Lavorare sull’improvvisazione,  anche a partire da una narrazione è sempre fondamentale, benché tutto  cambi di volta in volta. In Ha Ha Ha avevamo la traccia di due piccole  narrazioni, sviluppate su due livelli. In Slip Experience invece abbiamo  lavorato in direzione opposta, cercando di ridurre la narrazione al  minimo. Non raccontiamo una storia ma a dire il vero un po’ di tutto. Il  centro in questo caso, ed è il punto che più ci interessa, è il  personaggio, il suo lato umano.

Pensate che oggi la risata di clown possa ancora migliorare la nostra vita?

Xavier: Ce lo chiediamo spesso ma devo  ammettere che ancora non lo so. Il clown è prima di tutto  intrattenimento e penso che forse sia più di interesse per chi è  abituato a frequentare regolarmente il teatro cogliere in profondità  questi aspetti.

Benoit: Sì, la maggior parte del  pubblico vuole principalmente divertirsi e il ruolo del clown è prima di  tutto quello di farlo sorridere. Trovare in questo una giustificazione  morale, credo che per quello che è il nostro oggi sia sinceramente un  po’ anacronistico.

© Dal mensile “Circo”, agosto-settembre 2010

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