Skip to content Skip to footer

Nella Giornata della cultura ebraica, una commovente storia di Circo

Esistono doveri verso la Memoria dell’uomo cui nessun uomo degno di questo nome si può sottrarre. Ecco perchè, da 12 anni a questa parte, nella prima domenica di settembre si celebra in tutta Europa la Giornata della Cultura Ebraica auspicando che un orrore di portata universale quale è stato quello della Shoah non si ripeta mai più. Parrebbe che questa sede, destinata a evocare storie e storielle di attività circense, fosse la meno adatta a inserirsi in queste rievocazioni. Non è così. Gente di sangue ebraico è vissuta (e vive) anche nel circo e pure sotto il suo chapiteau, luogo di custodia del gioco più bello del mondo, si è esteso il braccio armato della barbarie nazista.
Scrivo avendo sotto gli occhi un libro di 200 pagine delle edizioni Mursia datato 1997 che, a giudicare dalla sola copertina, di tutto sembra parlare fuorchè di ferocia dell’uomo. Il titolo è Il clown e la cavallerizza e nell’immagine figurano, appunto, un clown e una cavallerizza, due figure emblematiche della iconografia circense. Ben altro è però il contenuto. All’origine, è una storia d’amore circense che pare come tante altre. Irene Danner, artista del circo Althoff – cognome che in Germania risuona nelle orecchie dei degustatori di circo quanto i Togni e gli Orfei qui da noi – si innamora del clown Peter Bento e lo sposa. Un bel matrimonio come tanti, si direbbe, se la Germania in cui prende vita questa storia non fosse quella degli anni ’40, quella di Hitler. Peter Bento, ariano, ha compiuto il crimine di sposare una ragazza ebrea. E persino in un mondo a se stante quale è il circo può arrivare la persecuzione nazista ai danni di chi appartiene a questa razza “immonda” e di chi le è complice. Ed è in questo spaventoso gioco di equilibri delicatissimi che si colloca in primo piano la figura del direttore Alfred Althoff, uomo parsimonioso nelle parole ma ben deciso nell’agire, che grazie alla propria autorevolezza ma anche a quell’arte innata del fingere che è, da sempre, peculiarità dei circensi di razza, contribuisce a sottrarre la coppia, nonchè il bambino che si sta sviluppando nel corpo di Irene, all’atroce destino riservato invece a tanti altri che hanno la sventura di essere nati ebrei. Trascrivo qui un momento della storia, in cui il circo si svela un nascondiglio pieno di risorse grazie anche alla presenza degli animali.
“Una sera, due uomini della Gestapo irrompono improvvisamente nella roulotte-ufficio di Adolf Althoff. Con prontezza di spirito, lui chiama il suo fedelissimo Mohamed. Deve portargli – dice – un elenco del personale e una bottiglia di cognac. Mohamed capisce immediatamente che è solo un pretesto e corre da Irene. Peter, il marito, non c’è. Correndo, attraversano l’area col bambino e vanno alla stalla degli elefanti. Gli uomini difficilmente oserebbero entrare, perchè gli elefanti sono animali molto malfidenti e possono diventare pericolosi con la gente. Mohamed ritorna da Althoff di corsa, tenendo in mano la bottiglia del cognac quasi fosse un trofeo. “Ma dove ti sei cacciato?” gli grida il capo mostrandosi furibondo. Mohamed accenna un inchino ed esce all’indietro dalla roulotte. La cosa impressiona molto i signori della Gestapo.
“Dietro agli elefanti, balle di paglia sono accatastate fino all’altezza del tetto. Irene si spinge dietro col suo bambino. Lo spazio è così angusto che non riesce nemmeno a sedersi. Quando, alcune ore dopo, Peter va insieme a Mohamed alla stalla degli elefanti, gli si offre un quadro commovente: Irene e il neonato dormono tranquillamente nella proboscide
arrotolata di Dicki, l’elefante prediletto da Althoff”.
E anche questa è memoria da non lasciare nel cassetto in un giorno che vuol riproporre il valore della Memoria con la Emme maiuscola.
Ruggero Leonardi