Il Festival di Monte Carlo ha celebrato i suoi primi 40 anni di vita con un’edizione straordinaria, senza gara, ma con decine di grandi artisti di tutte le discipline. Per l’occasione Urs Pilz ha creato anche dei numeri “combinati” che resteranno unici nella storia. SAS la Principessa Stephanie ha ricevuto in lacrime un Clown d’Oro per il suo straordinario lavoro. L’Italia fra i grandi protagonisti dell’evento.
di Alessandro Serena
Un sogno lungo quarant’anni.
“I fari si accendono, l’orchestra attacca l’ouverture, i responsabili di pista verificano un’ultima volta tappeti ed attrezzi. I posti si riempiono e i bambini diventano silenziosi: sanno che il loro sogno sta per avere inizio. La realtà viene sostituita dalla meraviglia…tutto questo è il circo, e ancora molto di più, con il suo fragore e il suo silenzio, con i suoi colori, le sue luci, il suo odore di segatura, di fiere e di sterco, questo universo a parte dove tutto è possibile perché tutto è vero, perché dentro questo cerchio luminoso e incantato non è possibile imbrogliare!” Così nel dicembre del 1974 il Principe Ranieri scriveva nella prefazione al programma di sala della prima edizione del Festival di Monte Carlo. E concludeva: “Questo Festival Internazionale del Circo è stato creato pensando a questo mondo del circo, a questa famiglia trascurata, affinché voi, spettatori appassionati alle loro fatiche e al loro lavoro, possiate conoscerli meglio e celebrarli a dovere.”
Pochi, oltre quarant’anni fa, pensavano davvero che questa manifestazione avrebbe potuto fare tanta strada ed assumere il carattere particolare che la rende unica al mondo. Non risulta esistere infatti, su tutto il pianeta, una rassegna creata da delle massime istituzioni di una nazione che sia diventata tanto organica al settore di cui si occupa. In quattro decenni si sono esibiti oltre 5.000 artisti da 40 nazioni ai quali sono stati conferiti 74 Clown d’Oro, 159 d’Argento e 60 di Bronzo, oltre a numerosi premi speciali. E per il quarantennale si è deciso (come già era successo per il 30° anniversario) di organizzare un’edizione celebrativa, senza gara, ma con la presenza di alcuni fra i più forti artisti della storia recente.
La Principessa circense e l’Italia.
A dieci anni dalla scomparsa di SAS il Principe Ranieri si può dire con assoluta certezza che SAS la Principessa Stephanie non solo ha raccolto il testimone del padre, ma, venga perdonato l’ardire, in qualche modo è andata oltre raggiungendo come un’osmosi con il mondo del circo. Segue personalmente la selezione dei numeri, l’organizzazione del festival, le prove. Non si limita a questo, ha adottato due elefantini indiani condannati a morte (gli ormai noti Baby e Nepal), frequenta i circensi anche lontano dal festival, ne ha addirittura sposato uno. È fautrice del Circus Dinner Show estivo a Monte Carlo e del Festival New Generation, dedicato ai giovani talenti. Si avvicina ai maestri circensi con la consapevolezza di capirne ormai tanto, ma con il rispetto spontaneo per il loro lavoro. Sostiene i lavori dell’European Circus Association e della Federation Mondiale du Cirque di cui è Presidente Onorario. Si schiera in maniera decisa accanto ai circensi nelle battaglie più dure ed impopolari, come quella per il diritto ad utilizzare gli animali, pur lavorando da sempre per migliorare gli standard di vita degli stessi. Principalmente grazie a questo suo sconfinato amore il festival ha potuto mantenere il proprio livello e il Principato diventare ancora più un punto di riferimento costante per il settore. Anche per tutti questi motivi la quarantesima edizione del festival è diventata un evento leggendario e il Golden Show di martedì 19 gennaio il più forte spettacolo circense del circo moderno (di faraoni e imperatori cinesi o romani non si conoscono particolari). Al termine del quale SAS Stephanie ha ricevuto un meritatissimo Clown d’Oro e la definitiva consacrazione di Principessa di tutti i circensi, in un momento molto toccante dove a lacrimare non sono stati solo gli occhi reali.
In questa serata speciale tutta la famiglia si è riunita accanto a lei, il Principe Alberto, Carolina e molta parte della numerosa prole, oltre alla Principessina Pauline che sembra destinata a prendere il posto di SAS Stephanie in quanto ad amore del mondo del circo. Nel palco accanto a quello reale c’era l’aristocrazia del Circo, con tutti italiani, tranne il solo Emilien Bouglione. Liana Orfei, Enis Togni, Davio Casartelli e Walter Nones. Del resto l’Italia ha sempre avuto un ruolo di primo piano nell’evento del Principato, con l’organizzazione di Liana, Nando e Rinaldo chiamata a fondare in pratica la struttura organizzativa e poi con il gruppo di Enis Togni a dirigerla per lustri. E in particolare con la partecipazione assidua di artisti italiani che sono diventati nel palmares assoluto della manifestazione la quarta forza, dietro solo alle potenze del Circo di Stato come Cina, Russia e Corea. Spesso i campioni del circo italiano, trascurati in patria, devono venire qui, nell’ombelico del mondo del circo, per vedersi riconosciuto il loro assoluto valore. Anche per questo fra il festival e tutto il mondo italiano del settore c’è un legame indissolubile.
Giocare con la storia.
Difficile parlare della straordinaria serata del Golden Show. Si è deciso per un gioco: cercare di leggere l’incredibile programma di questa edizione celebrativa tentando di dare ad ogni partecipazione un senso storico di appartenenza al festival.
Lo spettacolo è iniziato con la giovane Kelly Huesca (dotata di ottima presenza) a disegnare sulla sabbia un ritratto che man mano si è svelato essere quello del Principe Ranieri, colui al quale è dovuto tutto questo e al quale il pubblico ha tributato la prima sentita standing ovation. Ma attenzione, il volto del Principe non è uno di quei disegni sulla sabbia in riva al mare, volti a scomparire con la prossima onda, al contrario è destinato a restare indelebile nella memoria e nel cuore di tutti gli appassionati e addetti ai lavori.
Il senso di solennità divertente è stato ricordato dall’Orchestra dei Carabinieri del Principe (noti anche per il celebre cambio della guardia di fronte al palazzo dei Principi) con i canadesi Cat Wall (Bronzo nel 2013) al trampolino a “muro”. Una disciplina che si è sviluppata soprattutto grazie ai creativi del Soleil, ma che è stata poi reinterpretata in molti stili diversi in tutto il mondo e qui resa molto allegra nella versione
swing di Hugo Noel. Uno degli opening più belli di sempre del
festival ha visto i tre grandi clown Bello Nock, Fumagalli e Housch Ma Housch che, riprendendo una gag di quest’ultimo, utilizzavano un meccanismo legato ad una corda per accendere o spegnere la luce. Fino a quando anche il clown ucraino prendeva la scossa e anche i suoi capelli assumevano una forma del tutto particolare. Spesso si dice che a Monte Carlo si hanno a cura i numeri di animali per salvaguardarne la sopravvivenza. Ma la stessa mission il Principato l’ha adottata nei confronti dei grandi clown, questi sì che sono in via d’estinzione e averne portato in gran numero per il 40° è un segnale forte. Si tratta di tre straordinari protagonisti della clownerie moderna, per quanto ognuno nel suo specifico ruolo. Bello incredibile come acrobata comico, Fumagalli come erede di un secolo di tradizione clownesca e di farse e Housch Ma Housch come capacità del clown di reinventarsi ad ogni girata di secolo. Bello di una famiglia svizzera immigrata negli USA e già stella di Ringling Bros. Barnum & Bailey, Fumagalli rappresentante della ricostruzione filologica del circo all’antica che ha avuto le proprie radici da Gruss e si è affermata da Roncalli (dove di fatto è nata la maschera dell’italiano), Housch Ma Housch come l’erede forse più significativo della continua evoluzione del clown di stampo sovietico.
Oltre a questi tre fuoriclasse erano presenti i giovanissimi Starbugs (dal teatro di strada) e i veterani Rastelli (con generazioni di arte nel sangue) con Tonito Alexis, quasi a voler significare l’enorme spettro di possibilità e stili che la clownerie continua a proporre. Inoltre, sempre in quanto a comicità, l’eccentrico Steve Eleky (erede del flemmatico Mac Rooney) e il ventriloquo Willer Nicolodi, con la sua performance assai efficace sia con il pupazzo topo che con gli spettatori. In particolare Willer (Bronzo nel 2004) sembra aver portato nella disciplina l’energia che aveva quando faceva l’acrobata. Un’altra conferma della capacità tutta italiana di reinventarsi in nuove discipline.
La China National Acrobatic Troupe era presente con due numeri con i quali aveva conquistato il Clown d’Oro appena due anni fa. Il numero di salti nei cerchi simboleggia la maniera in cui i cinesi cercano di migliorare le varie discipline dell’acrobatica, sia in quantità che in intensità. Se nel lontano 1987 avevano stupito con un “semplice” numero di salti nei cerchi presentato dalla troupe di Shen Yang, questa volta hanno aumentato il numero di componenti della troupe e inventato un attrezzo telecomandato. Non sempre lo sviluppo della tecnologia rende più fluida la performance, ma di certo gli exploit acrobatici sono da mozzare il fiato.
Per quanto riguarda le “Diabolo Girls” si tratta, a dire di molti, di uno dei migliori numeri di tutti i tempi in quanto a “rotondità” dell’esibizione, nel quale i virtuosismi sono presentati con stile, eleganza, sincronia, precisione. Incastonati all’interno di una coreografia formata da figure corali, di solisti, di coppie, con rimandi a movimenti tradizionali orientali e dei bellissimi costumi con affascinanti e lunghissime piume di fagiano poste sui copricapi.
Il numero di cani di Rosi Hoccheger (Argento 2014) continua ad essere il migliore del suo genere per velocità, ritmo, visibile gioia della dozzina di esemplari di razze e dimensioni diverse, tutti che danno baci e gradiscono carezze, che saltano fuori dalla casetta davanti al sipario, con un’allegria contagiosa che rappresenta la nuova frontiera dell’ammaestramento, sia pure in un contesto estetico classico.
Gli straordinari acrobati russi Shcherbak e Popov (Oro 2013) rappresentano il proseguimento dell’antico collegamento tra pista e palestra. I due sono senza ombra di dubbio i più forti campioni di Acrosport del momento e presentano una coreografia tanto scanzonata quanto sono forti i loro virtuosismi su un medley di Singing in the rain cantato da Frank Sinatra. Molto riuscita la combinazione con i citati Starbugs, gli ottimi Skating Pilar (Bronzo 2012) e il gruppo dei Bingo Circo Teatro (Bronzo 2003), l’evoluzione delle discipline circensi ucraine del post unione sovietica.
Il circo è nato a cavallo, recitano molti importanti storici, e uno dei momenti più emozionanti della kermesse è stato senza dubbio la performance equestre presentata dal grande maestro Alexis Gruss (Oro 2001) e dal nostro leggendario Flavio Togni (Argento 1976, 1983, 1998, Oro 2011). Una specie di raffinata ma potente Jam Session equestre con un repertorio vasto ed eseguito alla perfezione del classico “carosello” con debù finali. Toccante l’armonia, non solo degli equini, ma anche delle due eccelse Chambrière che si incrociano con affetto e stima come si fa fra pari grado, anche se Flavio, per obblighi di età, tenta di inchinarsi mentre Alexis lo abbraccia. In questa performance c’è tutta la grande tradizione dell’aristocrazia del circo europeo, con dinastie dal sangue blu che apportano ricchezza al festival da sempre. Flavio, lo ricordiamo, è l’artista più premiato della storia della competizione, ma in qualche modo rappresenta anche la tradizione delle famiglie italiane con grandi parchi zoologici, che tanto hanno dato alla manifestazione, quindi oltre ai Togni, i Casartelli (due Oro), i Nones-Orfei e altri che magari non hanno portato a casa premi ma fatto ottima figura (come i Bellucci).
Ad un certo punto è calata in pista una mezza tonnellata di muscoli per un altro momento unico nella storia del circo, l’esibizione congiunta del bulgaro Encho Keryasov (Argento 2007), dei Peres Bros. (Argento 2001) e dei Fratelli Pellegrini (Oro 2008). Il povero presentatore Petit Gougou quasi non è riuscito a terminare la propria introduzione perché, nella penombra, si stavano sistemando i sette incredibili atleti pronti a presentare una manciata di minuti da sogno (e non solo per il pubblico femminile). Tre storie diverse, con Encho la scuola dell’Est che si raffina in Occidente. Con i Peres la costanza forgiata anche grazie all’Accademia del Circo. Con i Pellegrini la straordinaria parabola di quattro fratelli che hanno iniziato in piccoli circhi e night club prima di assurgere ad assi della propria disciplina. Encho durante i saluti ha sollevato il braccio di Ivan portandolo al centro della pista e in quel momento, se possibile, gli applausi sono diventati ancora più forti, perché la maggior parte dei presenti era al corrente della grande avventura umana di questo ragazzo (guarito da grave malattia), che per altro il giorno stesso festeggiava il suo compleanno. Gli uomini volanti sono un altro classico del circo, e si può affermare senza tema di smentita che l’esibizione dei Tabares (Oro 2004) è quella che presenta il maggior numero di esercizi concentrati nel minor tempo possibile. 11 artisti segnalati come statunitensi ma di origine latino americana (il leader Nelson Quiroga è argentino) presentano, senza un attimo di tregua, prima una serie di slanci spettacolari, poi una serie di doppi in tutte le salse sia maschili che femminili, poi quattro tripli di quattro agili diversi. Infine dei salti in rete dinamici e spettacolari. La disciplina che ha visto brillare Tito Gaona e Miguel Vasquez è stata ben rappresentata in questa importante occasione.
Solo tre artisti sono stati capaci di vincere l’Oro con numeri di felini e hanno festeggiato i 40 anni del festival insieme in gabbia. Ospite di casa e “titolare” del numero Martin Lacey Jr (Oro 2010), il primo ammaestratore d’Oro (e primo italiano) Giuseppe “Massimiliano” Nones (Oro 1987) e il “direttore d’orchestra” Nikolai Pavlenko (1990). Il generoso Lacey ha messo a disposizione il suo bellissimo gruppo di felini per una formazione che alcuni hanno chiamato “i tre tenori”. Anche in questo caso tre storie diverse ma ugualmente significative, la tradizione Nord Europea dell’ammaestramento, quella italiana della produzione di grandi numeri (Walter Nones per il circo della regina Moira Orfei, ricordata a dovere durante la conferenza stampa) e quella del circo sovietico. A guardare bene qui si intravede anche il futuro del festival con la famiglia Lacey impegnata su più fronti e il nipote di Giuseppe, Stefano Nones Orfei, nuovo astro della disciplina e destinato ad altri successi.
Altra combinazione riuscita è stata quella fra Laura Miller e Anastasia Makeeva (Bronzo 2014) le due belle artiste si sono librate in aria e buttate in acqua in un crescendo di emozioni e figure acrobatiche riportando in vita la figura romantica e sensuale della trapezista (pur se tecnicamente differenti).
Il giocoliere Kris Kremo (Argento 1981) ha sfoderato il solito enorme carisma portando con sé la tradizione del teatro di varietà mitteleuropeo nel quale la propria famiglia si è distinta per generazioni.
La famiglia di René Casselly ha vinto il premio del pubblico con la solita sequenza di incredibili esercizi di ammaestramento e acrobazia sugli elefanti (il giovane Renè è un fenomeno di cui si parlerà a lungo), confermando l’enorme affetto spontaneo che questi saggi pachidermi esercitano sugli spettatori.
La performance del passo a due cinese di Wei Baohua e Wu Zhendan (Oro 2002) i due “artisti-generali” della Troupe dell’Esercito di Canton hanno ricordato di cosa può essere capace la Cina se coglie dalle discipline più classiche d’Europa (la danza classica) portandone all’estremo limite i virtuosismi tecnici e di come il carisma non sia solo una questione occidentale. E i sospiri sono aumentati nel singolare connubio con il duo Desire of Flight (Oro 2014): i sentimenti fatti persona sia in aria che a terra.
La Troupe Sokolov (Oro 2014) di bascule, ha rappresentato la consolidata tradizione delle grandi troupe e dell’importanza della regia (di Alexander Grimailov) entrambe ben radicate in Russia. Gli exploit fisici al limite del possibile sono resi ancora più godibili grazie al surreale omaggio al film Amadeus.
Un caso rarissimo nella storia del festival, i funamboli della troupe Valjanski non si sono potuti esibire. Evidentemente il ripristino del numero non ha avuto il decorso desiderato e così si è preferito non assistere ad una performance che non fosse in linea con quella che li aveva fatto vincere l’Argento nel 1998.
I balletti del Circo di Stato di Minsk hanno arricchito le belle parate di inizio e fine spettacolo, coordinati dai direttori di pista Daris Huesca ed Enrico Caroli. L’orchestra di Reto Parolari è stata diretta dal Maestro Osvaldo Pugliese Camahue. Tutto è stato coordinato dal direttore artistico Urs Pilz, circondato da un ottimo staff, questa volta alle prese con un’impresa sovrumana.
I pochi eletti che erano presenti sia ai festeggiamenti del trentennale che quest’anno sono stati i Bingo, Martin Lacey Jr., Kris Kremo, il passo a due di Canton, i nostri Flavio Togni e Fumagalli. Con la bella peculiarità di David Larible, impegnato al Cirque d’Hiver di Parigi che ha però potuto presentare il proprio one man show al Teatro Principessa Grace, ricevendo convinte standing ovation dalla platea di nobili di sangue o d’arte, raccontando così la storia della vicinanza e interscambiabilità fra pista e palcoscenico.
Ritorno alla realtà.
Gli appassionati e gli addetti ai lavori, appena concluso il festival devono come riaversi da una colossale sbornia. La rassegna del Principato, purtroppo, non è per qualità e per esiti, una fedele fotografia del panorama attuale del circo internazionale e men che meno del circo italiano. Anzi è quasi una crudele istantanea all’incontrario, con le istituzioni drammaticamente lontane, ma anche una certa fatica ad andare d’accordo con gli spettatori e a mantenere il livello degli spettacoli inalterato. Ciò che rende possibile per il Circo italiano continuare a sperare in un futuro migliore e confermare di meritare il terzo posto assoluto nel palmares del più grande festival del mondo è solo il grande orgoglio e la capacità di sopravvivenza dei nostri artisti.
In ogni caso bisogna farsi coraggio e pensare che il Festival di Monte Carlo, come scrisse ai tempi del trentennale questa rivista, “è diventato per coloro che del circo hanno fatto la loro ragione di vita il libro dove scrivere e leggere le pagine più importanti della propria storia, e di quella del circo moderno.” C’è da scommettere che continuerà ad essere così per moltissime altre edizioni celebrative.
Monte Carlo chiama Italia: un sogno lungo 40 anni
di Flavio Michi
“Monte Carlo 26 dicembre 1974, nell’Esplanade de Fontvieille risuonano le prime note del Festival Internazionale del Circo: un sogno, una scommessa ideata e voluta da S.A.S. il Principe Ranieri”. Iniziava così il pezzo di Roberto Pandini che su Circo del gennaio 1996 con Analisi di un sogno rendeva omaggio ai primi vent’anni del Festival di Monte Carlo. Ne sono passati altri venti e il festival è più vivo che mai, a dispetto dei pessimisti. Un grande successo di pubblico, grazie anche alla televisione che, in Italia ma anche nel resto del mondo, ha diffuso le immagini di tantissimi numeri di alto livello.
Parliamo di migliaia di artisti provenienti da più di 60 paesi con circa 1.200 numeri in 38 anni, senza considerare la trentesima edizione celebrativa. Più di 800 cavalli, 200 elefanti e oltre 600 felini e plantigradi. Dal 1974 ad oggi sono cambiate tante cose. Già all’epoca dell’articolo di Roberto il muro di Berlino era caduto da oltre cinque anni e ci sono state aperture verso nuovi paesi. Anche grazie al festival molti hanno scoperto l’esistenza di paesi come l’Ossezia, l’Udmurtia, il Tatarstan, la Guyana. Anche il mondo del circo è cambiato in questi 42 anni e il festival si è adeguato al rinnovamento pur mantenendo ferma la posizione verso il circo tradizionale. Già dalla decima edizione c’era chi pensava che poi il festival sarebbe diventato biennale “perché non riusciranno a trovare i numeri buoni”. Gli artisti ci sono e ci sono tantissimi numeri di alto livello grazie alle tradizioni dei paesi europei, alla creatività e al potenziale umano della Cina e della Russia. Dobbiamo dire che negli anni recenti molte edizioni sono state molto più forti di altre del passato. Ovviamente gioca a favore il fatto che dall’inizio degli anni ‘90 gli spettacoli sono due e non più quattro come agli inizi, quindi si possono fare selezioni migliori. Ma dal 1974 ad oggi ogni festival è stato unico ed ogni edizione irripetibile grazie al Principe Ranieri che lo volle fortemente e al grandissimo impegno della Principessa Stephanie che continua alla grande il lavoro del padre.
Non si risparmia alle prove: arriva per prima e va via per ultima. Il circo ce l’ha nel sangue. Come noi. Ripercorriamo allora quattro decenni di storia del festival con notizie, statistiche, curiosità.Il servizio è stato pubblicato sulla rivista Circo gennaio 2016