Ma andiamo con ordine. La motivazione che ha posto sul piedistallo l’equitazione “in the French tradition” si basa sulla relazione armoniosa tra cavaliere e cavallo, sulla non violenza e sulla mancanza di costrizione, sul rispetto del cavallo sia a livello fisico che psicologico. Generando un mix di abilità ed emozioni che fanno si che il cavallo partecipi agli esercizi senza alcuna coercizione. Peculiarità solo francesi? Certamente no, ma l’Unesco ha ritenuto di ravvisare in quella nazione la punta di diamante di un genere. E siccome ogni tradizione ha una sua scuola di riferimento, nel caso francese l’Unesco indica la Scuola militare di equitazione di Saumur, nella regione della Loira, che non a caso ha saputo fondere paesaggio, tradizione, cultura equestre e turismo. Chi non ha mai sentito nominare il “cadre noir”, dal nome dello spettacolo equestre (oltre che della scuola) che propone le esibizioni dei cavalieri nella classica divisa nera (da qui il nome cadre noir) impegnati a creare figure sia a cavallo montato che a redini lunghe? Si tratta di uno degli eventi più gettonati dai turisti che si addentrano nei percorsi fra i castelli della Loira.
Abbiamo chiesto a Silvia Resta, da circa vent’anni nel settore equestre con esperienze agonistiche e spettacoli fino alle splendide performance di teatro equestre, la prima ad entrare a cavallo al Teatro La Fenice di Venezia per il Gran Ballo della Cavalchina, un giudizio sul “premio” per il quale la Francia ha presentato la sua candidatura e l’Unesco l’ha accolta senza colpo ferire.
Non c’è dubbio che le prime scuole di equitazione siano nate in Italia, addirittura nel Rinascimento.
E’ così. I primi maestri in assoluto sono stati italiani. La cosiddetta alta scuola spagnola, così chiamata solo perché nata sotto la dominazione spagnola, è stata fondata da cavalieri italiani. Si pensi solo a maestri come Cesare Fiaschi (Ferrara 1523-1592), Pignatelli, o in seguito al ruolo giocato da Antonio Franconi a Parigi. Anche la Francia vanta una importante tradizione, che risale al 700 circa, con La Guérinière, e non per nulla la terminologia che si usa anche oggi nell’alta scuola o nei lavori in libertà, utilizza termini francesi, come ad esempio il debout.
Direi che in anni recenti chi l’ha fatta diventare in voga come tecnica di addestramento sono stati due americani: Monty Roberts e Pat Parelli. Dall’autobiografia (L’uomo che ascolta i cavalli) di Monty Roberts del 1996 è stato tratto due anni dopo il famoso film con Robert Redfor, L’uomo che sussurrava ai cavalli. Questi due addestratori hanno codificato alcuni comportamenti a terra del cavallo libero in modo da poterlo condizionare anche senza toccarlo, il che non vuol dire non essere coercitivi, perché si tratta comunque di un condizionamento, però il risultato finale è il cavallo che si muove senza legami di sorta (corde ed altro) vicino all’uomo e quindi all’apparenza libero. Poi nello spettacolo equestre chi ha ripreso queste tecniche e le ha portate in scena sono stati artisti equestri francesi, in primis i fratelli Pignon.
Assolutamente si, il primo che mi viene in mente è Paolo Rebecchi, ma ce ne sono tanti. Al pubblico circense è ben noto Alessandro (Alex) Giona, originario del veneto, che ha montato uno spettacolo molto valido e che nel 2009 ha anche vinto il Clown d’Argento a Montecarlo.
Certo, con un’esibizione che rimane impressa nella memoria di molti: sette cavalli bianchi, senza morso, redini, sella né frustino, mandati nella pista del festival monegasco… dando proprio l’immagine dell’uomo che sussurra ai cavalli e creando con loro una danza incredibile. E per rimanere fra i premiati a Montecarlo, citerei anche Flavio Togni…
Torniamo alla Francia. Lei come valuta la scuola di Saumur?
E’ di certo un’eccellenza, anche se fanno pure il salto a ostacolo che io non condivido. Ma mi verrebbe da citarne altre: quella di Vienna e la Escuela Andaluza del Arte Ecuestre di Jerez de la Frontera, una delle più prestigiose scuole di equitazione del mondo (che si è esibita per la prima volta in Italia per Horselyric, ndr).
Anche le redini lunghe, anch’esse citate dall’Unesco, sono una peculiarità della scuola francese?
Direi che fanno sempre parte dell’alta scuola spagnola, ma è una specialità che in Italia non fa quasi nessuno.
Quindi una “medaglia”, quella appesa sul petto della equitazione francese, alla quale avrebbe potuto aspirare anche l’Italia?
Se il riconoscimento fosse per una tradizione e una cultura equestre, per una storia passata o potenziale, sicuramente si. Potenzialmente l’Italia non ha niente di meno della Francia, il problema è che noi non abbiamo potuto esprimerlo al meglio perché non siamo stati supportati dalle istituzioni pubbliche. In Francia sono ingenti i finanziamenti alle scuole di equitazione, ma c’è anche un problema di cultura: oggi in Italia l’equitazione è più snobbata rispetto alla considerazione che riceve oltralpe. La Francia è più avanti sicuramente nel senso burocratico del termine, ha saputo creare un sistema di finanziamenti da parte dello Stato che in Italia non c’è stato. E poi ha avuto la fortuna di annoverare alcune esperienze, come Bartabas e il Teatro del Centauro, che hanno tracciato un solco peculiare negli spettacoli equestri.
Il 19 dicembre lei presenta all’Ippodromo di Cesena una novità assoluta, “Il Circo del Minotauro”, con i cavalli Fidalgo, Engreido e Zar, gli artisti Claudia Menotti, Alex Amaduzzi, Fabio Cacioppoli, Marco Alfieri, Mattia Leonardi, Cristina Sangiorgi, Serena Di Paolo, Mauro Bigotto e Seline: che cosa porta in scena?
Sì, è uno spettacolo nuovo al punto che è in fase sperimentale. E’ un lavoro della Compagnia equestre “Le Zebre” e si tratta del nostro primo tentativo compiuto di teatro equestre.
Può svelarci qualcosa nel merito?
Non si tratta di numeri di equitazione presentati uno dietro l’altro, ma di una storia in cui il cavallo è uno degli attori in scena. Nella fattispecie lo spettacolo è incentrato su Giovanna d’Arco e sulla leggenda del Minotauro, che a loro volta rimandano ad altro, un contenuto sociale che si potrebbe sintetizzare nell’invito ad accettare le diversità. Non ci sono solo il bello e il brutto, c’è anche chi è diverso, e deve avere pari dignità.