L’ultima di tante e tante volte in cui avevo incontrato Vittorio Medini era stata in occasione della grande festa di celebrazione dei 130 anni della famiglia Togni al Palasharp di Milano. Si teneva su abbastanza bene, anche se non era più l’uomo forte, deciso, sanguigno (talvolta troppo) che avevo conosciuto nel trentennio anni-60-70-80. Non è davvero un caso se nella serie di articoli che io, milanese, sto dedicando sul mensile “Circo” al rapporto fra il mondo circense e la mia città menziono, e ancora menzionerò, la sua vicenda artistica e umana. Nessuno chapiteau più del suo, credo, si è aggirato fra le piazze – spesso avventurose – di Milano e dintorni dando vita anche a fruttuosi apparentamenti con culture diverse da quella più strettamente circense. Sotto quel tendone, per esempio, ha avuto luogo negli anni ’70 e non per caso uno spettacolo di Dario Fo. Non per caso perchè quelli erano tempi in cui l’attore-commediografo dava inizio al suo percorso di trasgressione teatrale che sarebbe giunto fino all’esasperazione dei giorni nostri cercando di sottolineare agli occhi del pubblico la sua diversità anche con la scelta non del tradizionale palcoscenico ma della trasgressiva pista di segatura. Si chiamava Circo Città di Milano, quello di Vittorio Medini, e in un certe senso lo era. Era un circo che “arava” ininterrottamente la città e i dintorni ovunque si trovassero spazi erbosi e si era reso familiare a tutti anche se non sempre, purtroppo, gli spettacoli circensi avevano la dignità che ci si sarebbe potuta pretendere. In famiglia, però, erano tutti circensi dalla testa ai piedi. Quando ero giornalista del settimanale “Oggi”, avevo dedicato un servizio di tre pagine a Denise, l’ultima nata degli 8 figli Medini, che aveva rivelato precoci attitudini a esibirsi come cavallerizza. Questa rara storia l’avevo poi trasferita nel mio libro “Animali nel circo” (SEI). E a proposito di libri: una spontanea, fresca, eloquente testimonianza di che cosa significa “fare avanti e indietro” in carovana fra la metropoli e le periferie alla ricerca di un piatto di minestra quotidiano l’ha fornita la moglie, Wanda Medini, in un libro che ho avuto il piacere di presentare al Circolo De Amics di Milano nel 1986 in occasione di una serata promossa dal sindaco Aldo Aniasi. La vita del viaggiante vista dagli occhi di una donna, far figli e fare circo, dare amore e inghiottire in fretta qualche lacrima. Raffaello Romano, che allora si occupava di cronache circensi per il “Corriere”, aveva scritto a Wanda Medini dopo aver letto il libro confessandole che, “in alcune pagine, mi sono commosso”. Così allora. Nell’anno di grazia 2010 il “Corriere” esce annunciando nel titolo che è morto “Vittorio Medina”, pur se nel testo è correttamente scritto “Circo Medini”. Sic transit gloria mundi.
Ruggero Leonardi