Un pizzico di Fellini, una spolverata di Leoncavallo, qualche opinione di Boll. Ecco David Larible, il pagliaccio dagli occhi azzurri, il “clown dei clown”, come mezzo mondo l’ha ormai soprannominato.
E proprio “Il clown dei clown” è il titolo dello spettacolo in tournée europea e in scena fino a domenica 29 al teatro Bellini (via Conte di Ruvo, info 081 549 1266, prezzo 25 – 42 euro). Assieme a lui sul palco, il clown bianco Gensi, interpretato dallo spagnolo Fulgenti Mestres e la musica, elemento costante di tutto lo show, arrangiata e suonata dal tedesco Stephen Kunz.
E’ la prima volta che viene a Napoli?
Sì, è un debutto per me. Ma la città la conosco bene, e l’amo moltissimo. Sono infatti un appassionato collezionista delle vostre canzoni classiche e amo la commedia di Eduardo e Scarpetta. Sarà un’emozione incontrare un pubblico così ben esigente in ambito teatrale
Ci racconta il suo spettacolo?
E’ la storia di un inserviente che per casi fortuiti si ritrova ad essere il protagonista della serata, scoprendo in sé qualità comiche e di recitazione che non conosceva. La morale è che ognuno di noi, se messo nelle condizioni giuste, può fare qualcosa di straordinario. Si riderà molto, ma non solo: un clown non può far soltanto ridere. E’ in realtà un giocoliere di emozioni. Che a volte può portarti dall’allegria alla lacrima in poche battute..
Lei spesso interagisce anche con il pubblico…
I momenti interattivi abbondano durante i miei spettacoli, con spettatori scelti a caso dalla platea. Attenzione però: Il pubblico non è mai una vittima da ridicolizzare, quanto piuttosto un compagno di giochi, con cui condivido il palco. Le persone spesso mi ringraziano, per esser diventate per un attimo protagoniste della scena.
Cosa significa essere un clown?
Bisogna innanizutto comprendere che un clown non rappresenta. Un clown è.
Non portiamo in scena personaggi, ma noi stessi. Per questo non si deve mai scambiare il nostro cerone per la nostra maschera. Molti clown rischiano di non far ridere proprio per questo: diventando personaggi perdono la spontaneità e la genuinità che deve sempre caratterizzare chi vuol fare questo mestiere. Poi si può far quel che si vuole, naturalmente senza sforare nel cattivo gusto. Ma il clown è fondamentalmente un anarchico comunque.
Spesso lei cita Chaplin tra i clown più grandi della storia.
Certamente. A mio parere sono in pochi ad eguagliarlo, forse solo Totò. Ho avuto comunque il piacere di lavorare con grandi maestri dell’arte circense come Charlie Rivel e Oleg Popov.
Qual è il suo pubblico ideale?
I bambini naturalmente. Che però sono anche il pubblico più difficile. Perché non li puoi raggirare. Ma quando riesci a convincerli, la loro risata è sempre la soddisfazione più grande. Un clown dovrebbe sempre studiare la sincerità dei bambini e degli ubriachi. Per emularne quell’armonia che solo loro possono trasmettere.
Dal 1996 calca i palcoscenici di teatri di mezzo mondo coi suoi spettacoli. Non le manca un po’ il circo?
Sempre. Ho un rapporto viscerale col circo, intorno a cui ruota tutta la mia vita. Per questo non riesco ad allontanarmene più di tanto. Ho infatti terminato a dicembre con una tournee col circo “Roncalli” tedesco. Se dovessi un giorno scegliere tra teatro e circo, prenderei certamente la seconda strada.
La sua famiglia è nel campo circense da sette generazioni…
Esatto. Sono nato a Verona, ma le nostre origini, come si nota anche dal cognome, sono francesi. Mio nonno era clown, come me. Mio padre invece era un grande trapezista e giocoliere. Quando gli confessai di voler prendere la strada che poi ho scelto, mi iscrisse subito a scuola di musica, di danza e ballo. Non ci si può di certo, come alcuni pensano a torto, improvvisarsi pagliacci. Lo studio, come per tutte le discipline è fondamentale, affiancato ad una costante umiltà.
Che differenza c’è nelle tipologie di “clown bianco” e “clown augusto”?
Le rispondo parafrasando Fellini: il clown bianco e l’augusto rappresentano la Società e tutte le metafore che ne derivano. Il primo potrebbe essere un papà, il secondo un bambino, o magari un padrone e un operaio, un maestro e lo studente mascalzone. E non importa quale livello sociale una persona raggiunga nella vita: ci sarà sempre un clown bianco sopra, che proverà a rendergliela miserabile. Il pubblico ovviamente s’identifica con l’augusto.
(24 gennaio 2012)
La Repubblica