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L’ammaestramento “in dolcezza”? Comincia alla fine dell’Impero Romano

Le prime tracce di ammaestramento in dolcezza degli animali impiegati negli spettacoli nasce da molto lontano: dalla fine dell’Impero Romano, quando gli spettacoli con animali si trasformano da cruenti in acrobatici. Lo dimostra una tesi di laurea in Storia e documentazione storica discussa da Guido Claudio Toresella presso la facoltà di Lettere e Filosofia dell’Università degli studi di Milano, molto importante anche perché per la prima volta ha analizzato un argomento quasi del tutto inesplorato, poggiandosi su reperti storici e artistici mai studiati prima.

“La crisi che ha afflitto gli spettacoli di tradizione romano-pagana è stata originata dagli stessi fenomeni che hanno influenzato tutto l’Impero romano, specialmente la parte occidentale. Si è trattato fondamentalmente di una crisi economica aggravata, se non provocata, dalle invasioni barbariche. A causa di queste incursioni, molte città si sono trovate in rovina e non hanno più potuto permettersi il lusso di continuare ad allestire certe munificenze come gli spettacoli pubblici, che erano infatti un fenomeno tipicamente urbano. Pertanto la rovina delle città che li alimentavano ha implicato anche la loro fine.

Dall’inizio del V secolo si poteva assistere ai ludi solo nei grandi capoluoghi e comunque per poco tempo ancora: riuscivano ad allestirli unicamente le città sedi di corti imperiali, come Roma e Ravenna. In questo scenario le cacce in anfiteatro, o venationes, sopravvissero almeno fino all’inizio del VI secolo apparentemente senza perdere nulla della cruenza che le aveva caratterizzate per secoli. Mentre però nell’Impero d’Occidente la loro fine risultava sempre più vicina, nell’Impero d’Oriente bizantino le ultime manifestazioni si mantennero più vitali e più a lungo.

È evidente che la fine delle cacce cruente fu provocata da motivi economici: era costosa la formazione di cacciatori addestrati specificatamente per la specie animale da affrontare, come lo erano le spedizioni necessarie per catturare le fiere, trasportarle e mantenerle fino all’entrata nell’arena. Inoltre la distruzione degli habitat naturali, assieme al consumo indiscriminato degli animali esotici, resero necessario il loro reperimento in luoghi sempre più lontani e impervi, generando un ulteriore aumento dei costi.

È molto probabile che proprio questo insieme di fattori abbia portato a riconsiderare l’organizzazione delle venationes stesse, facendo sì che gli spettacoli d’acrobati con animali ammaestrati prendessero il sopravvento sugli spettacoli culminanti con l’abbattimento delle fiere, perché presentavano il vantaggio di poter essere ripetuti più volte. Così le cacce non sparirono, ma piuttosto si trasformarono gradualmente in una nuova forma di spettacolo. Bisogna dunque presupporre che l’atto di morte dei ludi venatori si sia radicato nelle fonti del tempo relativamente al termine, ma che di fatto gli spettacoli con animali siano continuati sotto altro nome.

Già nel corso del Tardo Impero infatti è riscontrabile la diffusione del termine ludi molles, un genere di spettacoli incruenti, perchè consistenti in acrobazie e giochi d’abilità con animali. Questo termine compare nell’Historia Augusta, dove sono descritti gli spettacoli offerti dall’imperatore Caro nel 283. In quel passo viene definito toicobate l’acrobata che elude l’inseguimento di un orso correndo su per una parete; lo si potrebbe assimilare al wallrun del parkour. Subito dopo in quello spettacolo viene introdotto nell’arena un orso ammaestrato che interpreta una piéce mimica come se fosse un essere umano.

Con il termine “cacce incruente” s’intende quindi il principio teorico secondo cui gli animali non vengono più uccisi; in compenso però le sorti dei protagonisti umani non cambiano. Questa situazione è confermata dai bassorilievi dei Dittici Consolari e da una lettera stilata da Cassiodoro dov’è riportata la grave preoccupazione di Re Teoderico per quei professionisti dell’arena che, sbranati dalle fiere, non dispongono più di un corpo da seppellire. Così appare pressoché certo che le venationes abbiano ceduto il passo ad esercizi di acrobazie e d’abilità, in cui era motivo d’attrazione per il pubblico il rischio corso dal cacciatore d’esser ferito o addirittura sbranato, e la sua perizia nello sfuggire agli assalti della fiera. Dunque se la finalità dello spettacolo era di provocare la furia dell’animale, si rese necessario sviluppare una serie di modalità di giochi e di meccanismi per poter trarre d’impiccio l’acrobata al momento opportuno.

Nell’arena brulicante di scene diverse, in svolgimento contemporaneo, si poteva vedere una gran quantità di fiere che inseguivano uomini o altri animali e inservienti a cavallo o appiedati che avevano il compito di disorientare le bestie con una gran varietà di strumenti: manichini impagliati, panni colorati e odorosi, lacci, fruste e giocoleria. Tra gli attrezzi di scena si può identificare la cochlea, un pannello leggero e girevole.

Da quanto riporta Cassiodoro, sappiamo che veniva sfruttato più o meno come una muleta da corrida: l’acrobata la frapponeva tra sé e la fiera, costringendola a inseguirlo in un girotondo. L’ericius era un bussolotto in vimini o canne intrecciate, armato d’aculei, in cui un acrobata si rinchiudeva per lasciarsi sballottare a zampate nell’arena. Il contomonobolon era una pertica usata per volteggiare sopra le fiere che caricavano all’attacco. Il dispositivo più curioso, di cui non si conosce ancora il nome, era costituito da un palo centrale ruotante alla base su cui erano imperniate due braccia elevabili, alle cui estremità erano poste delle ceste in vimini capaci di contenere un acrobata ciascuna.

Aggiungendo a ciò la rotazione sul perno centrale si doveva ottenere un effetto carosello capace di disorientare qualsiasi orso. Di certo il suo impiego richiedeva però un notevole sforzo fisico e grande prontezza di riflessi. Un ultimo attrezzo scenico era il pontus: una struttura costituita da pertiche orizzontali poste ad altezze diverse. Gli esercizi che vi si eseguivano dovevano essere piuttosto simili a quelli che si eseguono alle moderne parallele asimmetriche di ginnastica artistica, con la differenza che alla spettacolarità delle acrobazie si aggiungeva la pericolosità di un orso al posto del materasso”.

Tratto da: Circo, novembre 2010

Il titolo della tesi è “Gli spettacoli pubblici nella Tarda Antichità”, relatore il professor  Gianfranco Fiaccadori, correlatori la professoressa  Simonetta Segenni e il professor Mauro Della Valle.

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