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Il varietà a Milano sui periodici della Belle Époque

Milano, giugno 2010. E’ mattino presto quando raggiungo la sezione microfilm della Biblioteca Nazionale Braidense, davanti a me una lunga scala a spirale ripida e ritorta. Affronto gli scalini cigolanti uno per volta e arrivata in cima entro in una piccola stanza dove il bibliotecario m’invita a compilare la richiesta di routine per la consultazione del materiale, ultimo ostacolo che ormai mi separa da Yorick.
In uno stato di semiagitazione assicuro la bobina al perno del lettore ed ecco, come per incanto, comparire sullo schermo la prima pagina del periodico, citato addirittura ne Il Teatro di Varietà in Italia, libro di Antonio Morosi, primo storico dello spettacolo di arte varia. Che emozione! Questo è quello che si può chiamare degno coronamento di mesi di ricerche sul mondo del varietà milanese e traccia tangibile dell’esistenza, anche a Milano, della cosiddetta stampa concertistica.
Il bibliotecario, incredulo, compila la ricevuta delle scansioni ed esclama: “Caspita signorina, sono davvero tante!”, mentre io sorridendo con soddisfazione non vedo l’ora di leggere in tranquillità il contenuto degli articoli. E da qui mi si svela un mondo…
Grazie alla consultazione di Yorick (sottotitolo Rivista internazionale. Teatri Varietà e Concerti) scopro l’esistenza di un giornale antecedente dedicato al varietà, Eden-Milano, diretto dallo stesso caporedattore, Enrico Becattini, ma di proprietà di un’agenzia le cui pubblicazioni durano solo sei mesi. È lo stesso Becattini a fornire indirettamente quest’informazione in un articolo sulla prima pagina della sua nuova avventura editoriale, datato 2 aprile 1892, nel quale chiarisce i suoi intenti e si dichiara pronto a ripartire più determinato di prima, dopo l’esperienza fallimentare di Eden-Milano. “[…] Yorick si occuperà di tutto quanto riguarda la vita artistica dei teatri, varietà e concerti di Italia e dell’estero. Yorick procurerà dilettare il pubblico con piacevoli racconti, con notizie interessanti e possibilmente briose […]”.
Il periodico domina la scena fino al 17 settembre 1894, quando da Genova arriva Berra Miniére, con l’intento di creare un giornale concorrente; fra i due non è di certo amore.
Tralasciando le schermaglie fra i direttori, molto divertenti e gustose, la consultazione di queste testate è stata di fondamentale importanza per raccogliere notizie. Ricchi di particolari e dettagli sono gli articoli in prima pagina dedicati agli artisti, spesso corredati da preziose fotografie che rendono il tutto più accattivante e con una forte valenza pubblicitaria, non a caso il nome della celebrità di turno è ripetuto nel corpo del testo molteplici volte evitando volutamente sinonimi. Sia in Eden-Milano sia in Yorick sia ne La Mascotte sono rare le volte che compaiono i nomi dei collaboratori e i pochi rinvenuti sono pseudonimi, molto usati nell’ambiente del caffè-concerto.
In tutte e tre le testate il linguaggio utilizzato è colloquiale, lo stile semplice, curato e con un occhio di riguardo per le ‘gentili lettrici’. Sono, infatti, le donne a comprare per la maggiore queste pubblicazioni. Purtroppo la stampa concertistica nasce e nel giro di poco tempo muore, per la mancanza di sponsor, per il tarlo degli abbonamenti non pagati e per l’esiguo numero di lettori.
Ciò non toglie che gli spettatori del varietà fossero moltissimi, a Milano questo genere d’intrattenimento spopola per tutto il periodo della Belle Époque che vede nascere numerosi teatri fra i quali l’Eden, il più ricercato ed elegante. Già il nome è un programma, difatti è spesso identificato con una sorta di luogo di perdizione bonaria. Signore e gentiluomini di tutto rispetto attendono con trepidazione che arrivi la sera, per recarsi nel meraviglioso palazzo dei divertimenti. Il suo vasto salone di cinquecentocinquanta metri quadri, con un soffitto alto più di nove metri, affrescato di celeste con putti alati, verso il quale s’innalzano quattordici colonne verniciate di rosso, incanterebbe anche lo spettatore odierno. La sala, illuminata di giorno dalle ampie vetrate e di sera dalla luce elettrica, è occupata da tavolini liberamente disposti e da soffici poltrone di velluto rosso a ridosso del palcoscenico, ben visibile anche dai posti in balconata.
E la magia non finisce qui, accanto alla sala per gli spettacoli vi sono le grotte artificiali che con le loro mille stalattiti calcaree variamente disposte e gli zampilli d’acqua uscenti dalle pareti costituiscono esse stesse un’attrattiva, dando l’illusione di camminare nel ventre di una montagna; una trovata davvero originale per un café-chantant che sorge in largo Cairoli, nel pieno centro di Milano. Le grotte conducono al piano sottostante il teatro, dove alcuni locali, riscaldati d’inverno e freschi d’estate, ospitano otto biliardi italiani e francesi, una birreria tedesca in stile medievale, il gioco dei birilli, la pista per il pattinaggio a rotelle e alcune aree di servizio quali la cucina e una cantina con oltre quarantamila bottiglie. Risalendo al piano ammezzato ci s’imbatte nei salottini per i pranzi di famiglia, mentre al primo piano vi è il grande salone per i banchetti. Infine con un ascensore si può salire fino al terrazzo disposto a giardino pensile, dal quale si gode di un’ottima vista sulla città.
Dall’aprile del 1889, pochi giorni dopo l’inaugurazione, hanno inizio in questo teatro gli spettacoli di varietà – organizzati dai soci fondatori Gaspare Stabilini e Malacchia Colombo – vera essenza dell’Eden definito “il meet del pubblico milanese e forestiero, che trova in quelle rappresentazioni sceniche un mezzo variato di passare la serata, senza noie e sopraccapi” e se lo dice Romeo Carugati, cronista de La Lombardia, bisogna crederci!
La buona riuscita di questi ritrovi dipende dai programmi ben concertati, accompagnati dalla mescita di cibi e bevande di ottima qualità. La scrittura degli artisti e la stesura della scaletta sono compiti delicati che competono al direttore artistico, aiutato dal regisseur e dal maestro che dirige l’orchestra. Il risultato è uno spettacolo che si divide in due tempi per una durata minima di un’ora e massima di tre. I numeri in scaletta, generalmente una dozzina, possono essere ricondotti a tre macrocategorie: canto, attrazioni e comicità che si alternano secondo una precisa logica, cerando una formula vincente in grado di soddisfare l’esigente pubblico milanese abituato a continue novità e raffinate esibizioni. Nulla è meglio di un’introduzione musicale per permettere agli spettatori di entrare nel mood dello spettacolo per essere poi risvegliati e conquistati dalle affascinanti divette, dalle entusiasmanti attrazioni e dalle esilaranti performance comiche.
Anche i numeri di circo equestre entrano a far parte del varietà; si ritrovano nel novero delle attrazioni abili giocolieri, intrepidi acrobati, audaci ammaestratori di animali, contorsionisti, velocipedisti, trapezisti, simpatici clowns musicali, fenomeni umani e molti altri artisti spesso di esotica provenienza. Bisogna riconoscere che i circensi sono in grado di emozionare maggiormente gli spettatori e per farlo si sottopongono a un duro lavoro di reinvenzione di sé e dei propri numeri. Fanno vita appartata e con il pubblico hanno pochi rapporti dopo lo spettacolo, anche perché gli acrobati devono sottostare a un pesante programma di allenamento, che lascia poco tempo da dedicare ai divertimenti, hanno abitudini e stili di vita completamente diversi da quelli delle canzonettiste, solite intrattenersi con i signorotti danarosi dopo la rappresentazione fino alle prime luci dell’alba.
I teatri di varietà, luoghi mondani per antonomasia, sono deputati agli incontri, gli avventori vi si recano per fruire dello spettacolo, ma soprattutto per guardare e farsi ammirare in un continuo gioco di sguardi. Nel 1907, accade un fatto curioso, protagonisti sono gli ingombranti copricapo delle signore. La moda del tempo vuole che i cappelli siano delle vere proprie architetture svolazzanti e variopinte, adornati con fiori, frutta, lustrini, fiocchi, piume, peccato questo collida con le esigenze di visibilità degli spettatori. I direttori teatrali, a malincuore temendo di perdere pubblico, si vedono costretti da un’ordinanza della prefettura a far depositare al guardaroba i ‘discreti cappellini’ a tutte le signore. Ovviamente le spettatrici non accettano di buon cuore l’imposizione mostrandosi piuttosto reticenti, fino a che la problematica diventa scottante, tutti i giornali ne parlano, denominandola “la questione dei cappelli”. Alla fine cedono, ma probabilmente solo perché trovano un degno surrogato del cappello, le acconciature elaborate da sfoggiare con orgoglio.
Anche questo simpatico aneddoto fa parte di quel particolare fenomeno di costume che prende il nome di spettacolo di varietà, per il quale è difficile stabilire una data d’inizio e un paese d’origine, ma che ha saputo animare e dare un senso alle serate di tante persone, più o meno ricche, più o meno rispettabili, che in questi teatri sotto la maschera del perbenismo e sotto la dura scorza delle convenzioni sociali spesso si lasciano trascinare dal fascino delle esibizioni, vengono catturate dall’atmosfera ambigua, ma soprattutto si divertono.
Sfogliando i documenti recuperati fra la polvere, la mia mente parte in un viaggio a ritroso nel tempo, immagino di poter vivere nella Milano di quel periodo spensierato e movimentato, lo ammetto, provo un po’ d’invidia.
Stefania Bianchi

Stefania Bianchi si è laureata lo scorso aprile (110 e lode) all’Università degli Studi di Milano, Facoltà di lettere e filosofia, Corso di laurea magistrale in Scienze dello Spettacolo, con una tesi dal titolo “Il Teatro di varietà a Milano nei periodici della Belle Epoque”. Relatore prof. Alessandro Serena, correlatore Dr.ssa Camilla Guaita.

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