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di Roberto Bianchin

Questo articolo è parte del progetto Il circo italiano a Monte Carlo, che racconta i vincitori tricolore della più importante manifestazione circense al mondo. Scopri tutti i video, gli articoli e le interviste.

Il suo sogno proibito, raccontava, era di “dipingersi il volto e scendere in pista con un vestito da clown”. Non scherzava mica, anche se lo diceva sorridendo, il Principe Ranieri di Monaco. Del resto, amava visceralmente il circo fin da quand’era ragazzo. Il pranzo del sabato a Palazzo, le Palais Princier sur Le Rocher di Monte-Carlo, tanti anni fa, nei giorni del Festival del Circo, era uno dei suoi appuntamenti preferiti. Tavole imbandite con soggetti circensi, nasi rossi e palline da giocoliere. Pochi invitati, scelti con la massima cura. Qualche artista, solitamente delle famiglie più blasonate, qualche ospite d’onore, qualche giornalista. Con questi ultimi l’accordo era niente taccuini né foto né telecamere. Tutto quello che si diceva e si vedeva, doveva restare riservato.

Il Principe Ranieri saluta il pubblico al 27° Festival. Alla sua destra il Principe Alberto e la Principessa Stéphanie.

Come i giochi di prestigio che, a fine pranzo, si divertiva a fare, strofinando una carta da gioco sul pantalone, appena sopra il ginocchio, fino a farla scomparire. Diceva che aveva imparato quando lo avevano mandato in collegio in Inghilterra, alla Summerfield School di Saint Leonards-on-Sea, e si annoiava da morire. “Avrebbe potuto fare il mago!”, squittì una volta una signora di una certa età avvolta in un imbarazzante tabarro leopardato. “Anche il trapezista o il cavallerizzo, se è per quello… ma io volevo fare il clown. Mi chiamo Grimaldi, in fondo, e un po’ anche gli somiglio”, rispose il Principe mettendosi buffamente in posa. Ci fu un attimo di perplessità. “Joe! Mais oui…”, ruggì la voce chioccia dell’ancien chroniqueur del Figaro. In effetti, qualche rassomiglianza c’era tra il Principe Ranieri III di Monaco, per l’anagrafe Rainier Louis Henri Maxence Bertrand de Grimaldi (1923-2005), e Joseph “Joe” Grimaldi (1778-1837), clown, attore e danzatore, considerato l’archetipo del clown moderno, divenuto celebre in Inghilterra dove la sua famiglia (il papà era il dentista della Regina Carlotta), si era trasferita dall’Italia a metà del Settecento. Stesso fisico compatto, stessi lineamenti marcati, stesso sguardo profondo. Stesso cognome e ambedue originari di Genova. Anche se, a parere di uno dei più autorevoli storici del circo come Alessandro Cervellati (1892-1974), che a suo tempo si era posta la questione, non pare vi fossero legami di parentela tra il celebre buffone e la famosa dinastia, una delle più importanti casate della nobiltà feudale della Repubblica di Genova, che regnava sul Principato di Monaco, prima come Signori e poi come Principi, fin dal XIII secolo. Li legava solo l’amore per il circo. Quell’amore che cinquant’anni fa spinse il Principe Ranieri a creare il Festival Internazionale di Monte Carlo per aiutare il mondo del circo e accendere “un faro di nobiltà” che facesse di nuovo risplendere, come ai tempi d’oro, e riportasse in auge la cultura delle arti circensi. “Il circo era in pericolo, a causa di un calo del suo valore artistico, e soffriva la disattenzione del pubblico – spiegava Ranieri – per questo ho voluto dare al circo un riflettore nuovo, per valorizzarlo e per richiamare l’attenzione del pubblico. Ho pensato che fosse giusto che il circo, come altre discipline artistiche, avesse un proprio Festival”.

S.A.S. la Principessa Stéphanie osserva commossa il ricordo dell’amato padre durante le prove (foto di Alessandro Serena).

Chi scrive ha avuto il privilegio di intervistare, sui temi del circo, sia il Principe Ranieri che la Principessa Stéphanie (Stéphanie Marie Elisabeth de Grimaldi, 1965), che ne ha raccolto l’eredità con amore e intelligenza, a più di vent’anni di distanza. Sorprende, rileggendo queste interviste (una è del 1996 per Repubblica, l’altra del 2018 per la rivista Circo, Premio Massimo Alberini per il miglior articolo sul circo), la sostanziale unità di pensiero e d’intenti tra padre e figlia. La stessa passione, la stessa visione. La stessa voglia di custodire gelosamente la storia e la cultura del passato e al tempo stesso il desiderio di spalancare gli occhi sul futuro. Per la gioia di farsi sorprendere ancora una volta. Esercizio difficilissimo, non certo da tutti. “Amo il circo tradizionale, con una pista sola, e sotto un tendone. Ma questo non mi impedisce di pensare che innovare è necessario. E anche modernizzare la presentazione, il modo di scendere in pista e la coreografia dello spettacolo. Gli stessi artisti devono cercare di rinnovarsi”. (Ranieri). “Il circo è uno spettacolo attualissimo, perché i numeri tradizionali vengono rivisitati dall’immaginazione degli artisti, e le coreografie, le luci e i costumi cambiano, si rinnovano. E questo è magico”. (Stéphanie).

La Principessa Stéphanie saluta il caloroso pubblico del Festival tra la figlia Camille Gotlieb e il figlio Louis Ducruet.

A Monte Carlo sono riusciti a trovare la sintesi perfetta tra l’antico, romantico circo degli strepitosi ottuagenari Clowns en Folie, magicamente presenti da decenni, e il roboante rokkaccione delle creste colorate degli scatenatissimi Bingo, scelti e voluti personalmente dalla Principessa. O la novità, tanto per dirne un’altra, della bizzarria di mettere in pista la formidabile brigata dei Pompieri di Parigi. O di sfilare in parata, come si faceva agli albori, per le vie della città. Di far camminare i funamboli sopra le teste dei cittadini nella piazza del Palazzo dei Principi. Sarà anche per questa capacità –oggi piuttosto rara- di coniugare l’antico col moderno che Monte Carlo è stato capace di mantenere per mezzo secolo lo scettro di “migliore del mondo”, a dispetto dei numerosi tentativi di imitazione in ogni angolo del globo. Per non parlare dell’atmosfera, dell’eleganza, della raffinatezza, della gentilezza, che avvolgono ogni gesto, ogni momento, rendendo ogni anno i giorni del Festival unici e imperdibili. Ranieri, che era amico personale di molte delle grandi famiglie del circo, che spesso andava a trovare anche in incognito, aveva un grande rispetto per il lavoro dei circensi: “E’ gente che ha scelto una vita difficile, che fa un lavoro che è un’arte, e che deve mostrare ogni sera quello che sa fare. Che si guadagna la vita rischiando la vita ogni giorno. Al circo non si può barare. È questo che lo rende unico”. Anche Stéphanie pensa che il circo sia qualcosa “da difendere e salvaguardare” in quanto “tradizione che rappresenta, anche rispetto a un mondo ormai troppo virtuale, un importante valore culturale europeo. Il circo è uno spettacolo unico, il più bello del mondo, uno spettacolo familiare in cui, diversamente da altri, tutti si possono ritrovare, dai bisnonni ai nipotini, e sia gli uni che gli altri lo possono apprezzare”. La Principessa è, anche qui, sulla stessa lunghezza d’onda del padre: “Il circo è il solo posto al mondo in cui non è possibile mentire. Ogni sera devi mostrare quello che sai fare davvero, prendendoti a volte anche dei rischi. Il circo è professionalità, fatica, sudore. È verità. Ma soprattutto è generosità: la generosità della gente del circo che dona sé stessa agli altri per regalare dei sogni. È questo che fa andare avanti il circo”. Stéphanie tiene la barra diritta, come il padre, anche sulla spinosa questione dell’utilizzo degli animali. Ha una specie di fattoria, sulle alture del Principato, dove ne assiste parecchi, ha salvato due elefanti, Baby e Nepal, che erano stati “condannati” a morte, ha costituito un’associazione, ha lanciato una petizione che ha raccolto migliaia di firme, e non perde occasione per ribadire con forza il suo pensiero: “Chi sostiene che nel circo gli animali stanno male, non sa nulla. Gli animali vengono sterminati dai bracconieri nelle foreste e gli animalisti non se ne occupano. Nel circo sono artisti a tutti gli effetti, fanno parte della troupe, e sono trattati con il rispetto dovuto a tutti gli artisti. Sono amati, trattati bene, nutriti e curati. Mio padre è stato il primo animalista prima ancora che si sapesse dell’esistenza degli animalisti. Qui al Festival abbiamo sempre preteso condizioni molto severe sul trattamento degli animali. Senza animali il circo chiude”. “Se al circo non ci fossero più animali, il circo diventerebbe un music-hall –spiegava Ranieri- ci sono, e ne convengo, dei brutti numeri di animali, con un addestramento fatto male, e che si presentano male in pista. Ma ci sono anche, e sempre di più, dei buoni numeri in cui il gioco e la complicità tra l’uomo e l’animale sono evidenti” (parole profetiche, se si pensa che sono state pronunciate 28 anni fa…).

La Principessa Stéphanie premiata con il Clown d’Oro in occasione del 40° anniversario del Festival.

È facile dare addosso al circo –continuava- ma non si fa nulla per eliminare la crudeltà e l’atroce brutalità del trasporto e del trattamento degli animali destinati al mattatoio. Cosa dire poi dei centomila cani abbandonati dai loro proprietari sulle strade di Francia quando partono per le vacanze? Cosa dire del combattimento dei galli e dei cani, mantenuti in vita nel nome della tradizione? E della corrida che attira tanta gente? E del massacro delle piccole foche con metodi primitivi e selvaggi? Gli animali che formano dei buoni numeri di circo sono tenuti, curati e nutriti tutti i giorni con attenzione e affetto”. Per questo Monte Carlo, a dispetto di quei Paesi che sembrano andare in direzione ostinata e contraria, ha deciso di continuare a presentare al Festival dei numeri con gli animali. Ad ogni edizione ci devono essere almeno un numero con i cavalli, uno con gli elefanti, uno con tigri o leoni. E dato l’alto livello dei numeri presentati, quasi sempre un numero con gli animali è destinato a salire sul podio. Anche per lanciare un segnale ben preciso a chi non vuole più sentirne parlare. La Principessa Stéphanie prosegue così con orgoglio –e con successo sempre crescente- sulla strada intrapresa dal Principe Ranieri, al quale nell’ultima edizione è stato tributato un doveroso, sentito e toccante omaggio. Perché la passione per il circo, spiega la Principessa col suo dolce sorriso, “è la malattia più bella del mondo”. “Quando mi sento dire, dalla gente del circo, che appartengo anch’io alla grande famiglia del circo, è qualcosa che mi tocca profondamente. È un grande onore. Que vive le cirque!”.