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Il palomino, la tournée a Spalato, l’Accademia e il clown d’Oro: Flavio Togni ricorda Palmiri

Ecco l’intervista integrale a Flavio Togni, dalla quale la rivista Circo ha estratto una parte per comporre lo “speciale Palmiri” insieme a molti altri interessanti contributi.

“I miei primi ricordi del Signor Palmiri risalgono a quando ero bambino. Lui aveva già chiuso il circo da qualche anno e abitava a Rimini. Mio nonno gli aveva dato un bellissimo cavallo palomino: me lo faceva cavalcare, dandomi i primi consigli, quando mio papà mi portava con lui in occasione di alcune visite al Signor Palmiri. Anche se avevo solo 7 anni, ho ancora ben presente davanti agli occhi questa immagine”. Flavio Togni tuffa la mente indietro nel tempo, ma non deve minimamente sforzarsi per richiamare alla memoria i suoi primi incontri con Egidio Palmiri e poi tutti gli altri che hanno puntellato la sua vita di ragazzo e adulto. Tutto è ancora nitidamente scolpito. Gli abbiamo chiesto di raccontarci il Palmiri che ha conosciuto, inizialmente grazie soprattutto al lungo sodalizio col papà, Enis Togni, e in seguito per averlo frequentato più da vicino in prima persona.

Allora Flavio, immagino tu abbia tanto da narrare, da dove si parte?
Sì, davvero tanto. Mi piace partire dal rapporto fra mio papà e il Signor Palmiri. Fra loro ci sono sempre stati un grande rispetto e un’altrettanto grande stima reciproci, una vera amicizia, direi anche una profonda intesa… Si capivano perfettamente, avevano un ottimo rapporto. L’amicizia col Signor Palmiri andava un po’ conquistata, non era immediata con le persone che lo approcciavano per la prima volta, occorreva entrare in familiarità e conquistarsela la sua amicizia, ma quando succedeva era per sempre.

Torniamo alla tua conoscenza del Signor Palmiri…
Anche da ragazzino, mio papà mi ha portato spesso alle riunioni dell’Ente Circhi, non a tutte naturalmente, ma parecchie volte sì…

E qual è stata la tua prima impressione nell’imbatterti col number one che tutti chiamavano Presidente?
Di una personalità molto autorevole, questa è la prima sensazione che mi ha sempre trasmesso, insieme ad un’aurea … direi di un particolare carisma che a me è rimasta impressa ma penso anche a tanti altri. Sono cresciuto in un atteggiamento di assoluto rispetto nei confronti del Signor Palmiri, che a lungo mi ha trasmesso una certa soggezione, poi invece da una determinata data le cose sono mutate.

Cosa è successo?
Nel 1978 col Circo Americano eravamo nella ex Jugoslavia in tournée, avevo 18 anni, e lui venne a trovarci a Spalato con una splendida imbarcazione che si chiamava “Roby” (come la nipote del Signor Palmiri, ndr). C’erano anche Denny, la Signora Leda ed altri. Lì ho conosciuto un Signor Palmiri diverso da come lo avevo sempre considerato: divertente, sorridente… rimasi colpito dalla sua umanità, socievolezza, ironia, cordialità. Anche di quella esperienza ho ricordi plastici, come il bagno che facemmo al largo, i tuffi, i giochi in acqua con i miei fratelli e cugini.

Quindi entrando più in familiarità e al di fuori delle occasioni “formali”, si poteva scoprire un Palmiri inedito, ma forse anche il Palmiri autentico?
Certo. Totalmente diverso, non quello in veste ufficiale che nella vita associativa un po’ tutti hanno conosciuto: un “timoniere” inflessibile, ligio ai “protocolli”, capace anche di richiami energici…. In tanti potrebbero testimoniare in prima persona sulla regola che il Signor Palmiri introdusse per le riunioni dell’Ente Circhi: giacca e cravatta. E guai a trasgredire. Invece quando si trovava in occasioni informali e con gli amici, tanto più se la compagnia era ravvivata dai bambini, si trasformava.

Andando avanti con gli anni cosa è cambiato fra te e il Signor Palmiri?
Nei suoi confronti ho sempre continuato, fino all’ultimo, ad avere grande rispetto e ammirazione. A mio parere ha fatto tanto e bene per il circo italiano. Quello di cui la categoria beneficia ancora oggi, cioè i contributi Fus, le tariffe agevolate e tutto l’impianto normativo che ha reso possibile l’attività dei circhi, lo si deve a Palmiri e al gruppo dirigente che lo ha attorniato. La creazione dell’Accademia del Circo, i rapporti con le istituzioni, con l’Agis, con alcuni politici che tanto hanno fatto per il settore, si pensi solo a Giulio Andreotti, sono eredità della stagione Palmiri.

L’Accademia è stata un po’ la sua fulminazione…
Direi che è stata un figlio, amorevolmente voluto e cresciuto da Palmiri e dalla Signora Leda. Entrambi hanno considerato gli allievi come figli loro. La perdita della Signora Leda ha lasciato un segno indelebile nella vita di Palmiri, la sofferenza è stata enorme ma, anziché chiudersi in se stesso, ha saputo investire ancora più totalmente le sue energie sull’Accademia, che per lui è diventata una ragione di vita. Veramente ci ha messo il cuore. E quando è mancata la Signora Leda, un ruolo decisivo a fianco del Signor Palmiri l’ha svolto Ivana, alla quale vanno enormi meriti nella conduzione dell’Accademia.

E l’Accademia è stata importante per il circo italiano?
Assolutamente sì. Dal punto di vista della preparazione scolastica gli artisti che uscivano dalle famiglie circensi avevano indubbiamente delle carenze rispetto a quanti hanno potuto frequentare le scuole pubbliche, com’è accaduto agli allievi dell’Accademia, e sono stati seguiti nello studio pomeridiano prima di immergersi nei corsi delle diverse discipline. Quindi da un lato ha fatto fare un salto di qualità alla nostra categoria ma anche agli occhi delle istituzioni, e dall’altro ha concentrato in un college eccellenti “maestri” nella giocoleria piuttosto che nell’acrobatica.

Palmiri ha sempre sferzato i direttori a dare il massimo, a presentare spettacoli e circhi all’altezza, a rinnovarsi, a rapportarsi correttamente con le istituzioni, a non tradire la fiducia del pubblico e delle amministrazioni comunali che accolgono i complessi sulle “piazze” di piccole e grandi città. Negli ultimi anni manifestava qualche rammarico da questo punto di vista?
Rammarico, nel senso di dolersi per un obiettivo non realizzato, non direi. Potrei naturalmente sbagliarmi, ma ho piuttosto visto in lui la consapevolezza di chi era ben cosciente di aver fatto tanto e di essere arrivato a quel traguardo della vita in cui si padroneggia serenamente l’evidenza che i giorni rimasti sono meno di quelli trascorsi e che nessuno di noi può fare tutto. A questo aggiungo un pensiero personale, del quale sono pienamente convinto: il Signor Palmiri non aveva niente da rimproverarsi nemmeno dal punto di vista della continua sollecitazione a migliorarsi che ha sempre rivolto a tutti. Sbagliare è umano, e chi fa, poco o tanto commette qualche errore, a differenza di chi non fa nulla. E per lui che ha fatto tantissimo, sinceramente non saprei elencare sbagli degni di questo nome.

Hai un ricordo più intimo che ti lega a Palmiri, magari associato ad un momento particolarmente importante della tua carriera?
Sia il Signor Palmiri che mio papà erano persone di poche parole e di altrettanto rare esternazioni affettive. Erano così per carattere. Se non ti dicevano che avevi sbagliato era già un complimento. Ad esempio, nessuno dei due mi ha mai detto apertamente “bravo” a seguito di qualche premio vinto, però entrambi mi hanno indiscutibilmente dimostrato di apprezzare quel che facevo.

In che modo te l’hanno fatto capire?
C’è un fatto accaduto molti anni fa che non dimenticherò mai. Quando vinsi il Clown d’oro a Monte Carlo, seduti uno vicino all’altro su un piccolo divano nella sala delle feste c’erano il Signor Palmiri e mio papà. Arrivò il momento dell’annuncio del palmares e scoppiarono gli applausi. Loro due non non si sono alzati, non sono venuti ad abbracciarmi, ma io li ho visti, senza farmi da loro vedere, pieni di commozione. E’ stato per me molto toccante.

Il periodo di maggiore crescita della categoria è stato contrassegnato anche da rapporti solidi fra i direttori e il presidente Palmiri, da una categoria coesa e solidale?
Bisogna partire dal presupposto che quella generazione ha vissuto il periodo della guerra ed è uscita dalla distruzione con una incredibile energia di rinascita. Un tratto distintivo di quel gruppo dirigente era che la parola valeva più di mille contratti. Un sì o un no volevano dire tutto. Adesso in generale, nel mondo in cui viviamo, questi valori sono cambiati, di conseguenza anche fra noi circensi i rapporti sono mutati. Non c’è da colpevolizzare nessuno, perché è la società che ha preso questa piega, è tutto più superficiale. Di una persona corretta una volta si diceva “è un galantuomo”. Adesso di galantuomini ce ne sono pochi. Il signor Palmiri è stato un galantuomo.

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