MILANO – L’ annuncio è clamoroso. «Farò sparire il Duomo di Milano», promette Paolo Rossi. Come sparire? «In senso letterale: un attimo e puff… Non ci sarà più». Ma come farà? «Questo è il bello. Ho il mio piano, studiato in ogni dettaglio. Al momento opportuno lo rivelerò». Potrebbe succedere martedì prossimo, quando al Piccolo Teatro Studio, Rossi si trasformerà nel mago Peppon, «mendicante, poeta, sognatore». Esponente massimo di quella Povera gente che dà il titolo al suo nuovo spettacolo, testo di Carolina De La Calle Casanova, liberamente ispirato al El nost Milan di Carlo Bertolazzi che, proprio al Piccolo, Giorgio Strehler affrontò ben due volte, nel 1955 e nel 1979. Spettacolo leggendario, affresco di una città vista dalle periferie, dagli emarginati, dai barboni, dai poveri Cristi. Per Paolo Rossi l’occasione di fare il punto sulla Milano di oggi con uno spettacolo-manifesto di quel Teatro Popolare che scende dritto dalla tradizione giullaresca della Commedia dell’Arte, e che, con un tocco di pop in più, dà anche il titolo alla sua compagnia. Giocando con un canovaccio rocambolesco, pieno di situazioni surreali, Rossi fa il surf sulla cronaca «viva». Cambiando persino in corsa l’intestatario della lettera che Peppon indirizza al sindaco di Milano, non più Letizia Moratti ma, da qualche giorno, Giuliano Pisapia. «Abbiamo dovuto ribaltare il copione – racconta il comico -. L’ egregia signora sindaco di una città dove i più vivi sono al cimitero, nella seconda versione è diventato il “caro Giuliano” che ha scatenato l’euforia di una piazza pronta di nuovo a sperare, a ritrovare valori perduti». A dar fiato a tante nuove domande, individuare nuovi bersagli, mettere all’ erta su nuovi rischi, una storia, anzi una storiaccia a forti tinte d’amore, tradimento, morte. «Epica, surreale, grottesca. Tra Brecht, Jannacci e i Legnanesi. Sullo sfondo di un inquietante Palazzo di Giustizia e sotto il tendone di un circo, di scena c’è una compagnia di artisti straccioni e molto freak, donne barbute, uomini forzuti, antropofagi e indovine. C’è Peppon, l’illusionista alle prese con il matrimonio di sua figlia Nina, che ama il pagliaccio Rico ma poi cederà al mafioso Togasso… Finirà nel sangue, anche se il lieto fine, in queste circostanze, è di rigore». D’ accordo, ma tornando al Duomo, perché farlo sparire? «In realtà Peppon vuole solo spostarlo da qualche parte, per esempio a Sesto San Giovanni. È il suo regalo di nozze per la figlia. Le alternative che gli vengono in mente, un viaggio a Rio per il Carnevale, un “bunga bunga” ad Arcore sono troppo costose. Togliere di mezzo il Duomo invece è un miracolo a portata di mago. Un dono vero. Al suo posto resterà un deserto di sabbia, uno spazio vuoto foriero di quella solitudine positiva e quel silenzio negativo necessari a meditare su quello che è successo negli ultimi trent’ anni a questa nostra città, a questo nostro Paese». Satira di sinistra alla sinistra. Mestiere difficile. «Vero. Ma anche più stimolante. Questa destra prestava fianco fin troppo facile, tutto finiva sempre su Berlusconi, ormai ridotto a macchietta. A sinistra non manca certo il materiale, ma le prospettive sono più ampie. Non lasceremo Pisapia da solo. Se qualcosa non funzionerà lo diremo sempre. Ormai possiamo solo prendercela con noi stessi. È il momento dell’autoironia più spudorata. E tra i bersagli mi ci metto pure io». Quando infatti, durante lo spettacolo, si parlerà del concertone che dovrebbe riunire artisti «di destra e di sinistra», il nome di Gigi D’Alessio apparirà a fianco di Paolo Rossi. E il Nostro trasalirà: «Non è possibile! Come posso aver fatto questo?». Frecciate pronte per quelli subito pronti a salire sul carro del vincitore. «La fila è già lunga. Anche nel nostro campo. Ma qualsiasi sia il carro un artista vero dovrebbe sempre stare giù». A proposito di comici, cosa pensa di Beppe Grillo? «Che era uno dei più grandi talenti ma ormai non fa più il comico. E forse dovrebbero avvertirlo che ai comizi non si paga il biglietto». Al suo spettacolo invece qualcuno entrerà gratis: «Otto spettatori a sera, da far salire in scena con noi e mescolarsi al cast. Otto pover Crist dei nostri giorni, precari, disoccupati, stranieri. Insomma perfetti per la parte». Povera gente di oggi uguale a quella di ieri. «La storia sembra scivolare adosso a chi non ha voce né visibilità – conferma Rossi -. Come dice Merilin, la barbona con un occhio solo, chiunque vada al potere, quelli come lei rimangono sempre ai margini». Carolina De La Calle Casanova, che ne indossa gli stracci in scena, così avverte: «Voi artisti continuerete a sognare, voi mafiosi a fare affari. Ma noi barboni… Per noi non cambia mai nulla. Non facciamo notizia, restiamo invisibili».
Giuseppina Manin
Dal Corriere della Sera