Il cirque Calder, in punta di mani
“Ho sempre amato il circo… Così decisi di creare un circo, solo per divertirmi”. Il Cirque Calder è un signore di 86 anni che con maestria e semplicità incanta chi vi entra in punta di … mani.
E’ figlio di una passione scoperta dal suo autore quando ancora non era troppo tardi per buttarvisi a capofitto, senza nulla lasciare alla superficie del banale e del reale.

Nasce così un’idea che si potrà considerare conclusa solo quattro anni dopo, quando pazientemente tutti i personaggi avranno trovato il proprio posto sulla scena, e grazie alla quale Calder svilupperà i tratti caratteristici della sua arte: movimento ed ironia.
Il Circus Calder è la meravigliosa ricostruzione di uno chapiteau, un circo dinamico ma non meccanico, mosso dalla sola perizia manuale, all’interno del quale si esibiscono artisti ed animali costruiti con materiali di scarto. Legno, stoffa, filo di ferro, carta, gomma, sughero, bottoni, tappi di bottiglia, trovano una nuova e fino ad allora sconosciuta dignità, grazie ad una abilità che Sandy aveva iniziato a praticare quando da piccola costruiva bambole per la sorella. La pista ed il tendone furono i primi ad esser creati, i personaggi videro la luce uno dopo l’altro in una stanza parigina del 1926.
“Il mio primo acrobata fu un saltatore, che aveva le gambe di filo d’acciaio, mani di piombo, corpo vestito di velour giallo, e una testa fatta di un pezzo di turacciolo, coi capelli dipinti a guazzo.” Dopo di lui verranno la cavallerizza e l’ammaestratrice, l’elefante ed il leone marino, il clown, l’uomo più forte del mondo, il paziente leone accudito in gabbia dal proprio addestratore, la danzatrice del ventre, il lanciatore di coltelli, il mangiatore di spade, trapezisti, giocolieri e perfino un cowboy ed il suo toro usciti dal Wild West Show di Buffalo Bill, tutti introdotti dalla presentazione di un elegante direttore munito di megafono. La maestria con cui Calder azionava i singoli artisti era condita da una mimica facciale invidiabile, e dalla colonna sonora, fra cui la canzone Ramona, riprodotta dal fonografo azionato dalla moglie Louise. Calder dirigeva e muoveva il proprio circo, interpretando di volta in volta le voci degli artisti, scandendo con un fischietto il susseguirsi dei numeri, dilagando in un’ironia sconfinata, quella dei numeri non perfettamente riusciti, come accade all’assistente del lanciatore di coltelli, trafitta ed accompagnata fuori scena da due solerti barellieri.
Nella Parigi degli anni Trenta il circo di Calder divenne un’attrazione da non perdere, uno di quegli eventi che ogni artista o presunto tale doveva aver visto almeno una volta, meglio se nell’intimità di uno studio. I compagni del gruppo Abstration-Création, Hans Arp, Robert Delaunay, Naum Gabo, Piet Mondrian e gli altri erano entusiasti di questo spettacolo in miniatura e anche il maestro Mirò non riuscì a sottrarsi al fascino di quella performance, rapito da quei pezzetti di carta bianchi, legati ad un filo sottile, uccellini volteggianti che si posavano sulle spalle di una deliziosa addestratrice. Ma il successo si estendeva anche all’interno dello stesso mondo circense: Paul Fratellini si innamorò del cagnolino in caucciù, dispettoso e ballerino, e ne chiese una riproduzione più grande da portare con sé nei propri spettacoli.

Emanuela Morganti
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