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Il circo della farfalla: in pista la metafora della vita

Cattura l’attenzione di un sempre più alto numero di commentatori il cortometraggio che impazza sulla rete, The Butterfly Circus (Il circo della farfalla). Tre giorni fa una lettura in chiave religiosa è comparsa sul blog di Antonio Socci per essere poi rilanciata da numerosi internauti.
Interpretato da Nick Vujicic nel ruolo di Will, l’uomo senza arti che tale è non solo nel film ma anche nella vita, e diretto da Joshua Weigel, Il circo della farfalla non utilizza solo il circo e i suoi personaggi per narrare una storia, ma veicola qualcosa di intimamente legato al tendone.
Il signor Méndez è il proprietario di un circo che per caso si ferma in un luna park e visita il padiglione delle mostruosità umane: la donna barbuta, l’uomo tatuato, le gemelle siamesi… ed anche Will, appunto, che se ne sta in mostra e attende che gli amanti dello spettacolo degli orrori sfilino davanti a queste umanità mutilate e deformi. “Una perversione della natura, un uomo – se così lo si può chiamare – a cui Dio stesso ha voltato le spalle!”, dice chi presenta il macabro show quando apre la tendina che tiene nascosto Will. Ma qualcosa cambia per un incontro inatteso, quello con il signor Méndez, che guarda Will con occhi diversi. Will prima lo rifiuta e poi lo segue. Pensa che ogni circo sia come quello che ha vissuto fino a quel momento, ma ne conosce un altro, che raggiunge i piccoli paesi con questo messaggio: “signori e signore, ragazzi e ragazze, ciò di cui ha bisogno questo mondo è di un po’ di stupore”. Il signor Méndez dirige un altro tipo di spettacolo, insomma, non quello che si fonda sul mettere in mostra “le imperfezioni di un uomo…”

Will

Il circo di Méndez porta in pista contorsionisti, giocolieri, acrobati, trapezisti, l’uomo forzuto… Anna, la regina dell’aria. Artisti che si “muovono pieni di forza, colore ed eleganza”, qualcosa di “sbalorditivo”. A contatto con loro
Will rinasce, sfidato da una frase che Méndez gli scaraventa addosso all’improvviso: “Se solo tu potessi vedere la bellezza che può nascere dalle ceneri”. Ma loro sono diversi da me, ribatte Will guardando gli artisti che si muovono con le loro gambe e afferrano funi e clave con le loro mani. “Un vantaggio ce l’hai – è la risposta di Méndez – più grande è la lotta e più glorioso il trionfo”. Che sembra la regola che percorre da sempre la pista di segatura, ma anche la legge più profonda della vita. Al circo, grazie all’arte della pista e alla umanità che sprigiona dalla compagnia di Méndez, anch’essa opera d’arte, Will subisce la metamorfosi da bruco a farfalla e spicca il volo. C’è molto realismo nella storia: Will nel circo del signor Méndez ha comunque un ruolo legato alla sua condizione umana, si getta da molto in alto in una vasca d’acqua e riemerge fra gli applausi. Viene presentato come qualcosa di eccezionale, un po’ come succedeva nel baraccone, perché lo spettacolo va avanti e la vita pure, e bisogna pur guadagnarsi il pane. Ma adesso Will mostra il meglio di sé, e il pubblico è testimone di “un’anima coraggiosa mentre imbroglia la morte salendo fino a 50 metri in aria e saltando dentro alla piscina”.

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