Il romanzo di Sara Gruen Acqua agli elefanti ha una pecca, quella di trattare di una storia d’amore abbastanza banale. Ma possiede anche il pregio di averla inserita in un contesto particolare, il circo, sapientemente reso in tutta la sua stra-ordinarietà.
Il film del regista Francis Lawrence, tratto dal suddetto romanzo, ricalca più o meno lo stesso schema, esasperando ovviamente i bianchi e i neri del bene e del male. Prendendosi qua e là, come da copione, delle licenze poetiche.
La storia prodotta e distribuita dalle 20th Century Fox ha inizio con un pratico e comodo flashback che riporta la memoria del protagonista Jacob Jankowski all’epoca dei suoi 24 anni, quando le sue sembianze erano quelle di Robert Pattinson, e quando la sua vita prese una piega inaspettata: si dice che capita una volta nella propria esistenza in cui bisogna saper prendere al volo il treno giusto. Jacob, non avendo più nulla da perdere, salta sul treno del grandioso spettacolo dei Fratelli Benzini, un circo che come tanti percorre gli Stati Uniti durante gli anni di depressione e proibizionismo. Sarà lì che in breve tempo potrà mettere alla prova le capacità apprese durante gli anni di studio di veterinaria e diventare il medico addetto al serraglio del circo; lì passerà, letteralmente e a tempi alterni, dalle stelle alle stalle, odiato e poi amato da tutti i membri del circo, a qualsiasi classe essi appartengano; e lì troverà anche un grande amore dal nome Marlena (Reese Witherspoon), rifuggito, ostacolato, nutrito, vessato e infine premiato.
Ma appunto, il sentimentalismo è materia già nota. Si poteva puntare molto su tutto il contorno circense che esula dalla quotidianità, se non fosse che tutto ciò che vive nel nostro immaginario comune è stato riproposto: tutti hanno in mente precise idee, quasi degli stereotipi, quando si parla di circo, si evocano carrozzoni, segatura, lustrini e schiocchi di frusta. Tutte queste cose si ritrovano nel film, il che visivamente attrae (soprattutto per gli ammiccamenti alle mode che tanto vanno per la maggiore, come gli inserti di burlesque), ma se si dovesse cercare l’originalità allora qualche delusione potrebbe esserci. Se fosse possibile avere una memoria storica che portasse indietro sino all’America degli anni ’30 ci ritroveremmo sicuramente nelle immagini che il film propone.
In ogni caso, ciò che viene trasmesso a proposito del circo, all’interno dello chapiteau, è un mondo colorato, patinato, allegro e non manca di far sorridere. Gli appassionati possono anche riconoscere quanto tutto sia ben documentato, anche nel più piccolo dettaglio sia estetico che di contenuto (all’inizio, in una veloce presentazione dei vari numeri proposti dal Circo Benzini, si intravede un domatore nel quale i più esperti ravviseranno lo stile di Clyde Beatty). Spesso viene citato il nome dei Fratelli Ringling, nome probabilmente sconosciuto ai profani.
Anche le regole e l’etica che vige in un circo sono ben esposte, a partire dal gergo usato sino ad arrivare a illustrare la gerarchia: tutti sottostanno al capo, ma sotto al capo e prima di tutti gli artisti ci sono gli animali. Perché, viene ricordato nel film, “se gli animali mangiano carne avariata sai cosa mangiano gli uomini? Niente”.
E’ un animale a dare il titolo al film, a essere il “galeotto” che fa sbocciare l’amore tra Jacob e Marlena e a consumare la vendetta finale: l’elefantessa Rosie, davvero maestosa.
Per quel che riguarda la rappresentazione del mondo che vive dietro al grandioso spettacolo dei Fratelli Benzini si entra nel torbido: la vita difficile degli operai, il sadismo di un perfetto cattivo che non ci pensa due volte a “far vedere rosso” (in gergo: a sbarazzarsi) delle persone divenute scomode. Una vita che sicuramente non manca di essere rappresentata, nella sua rudezza, in maniera anche veritiera; ma, come manicheismo e melodrammatico dettano, possiede quella punta in più di violenza che dà colorito alla storia. Il cattivo in questione, marito di Marlena, direttore del circo nonché detentore delle fila della vita di tutti gli uomini (e degli animali) presenti sui carrozzoni è August Rosenbluth (Christoph Waltz). Nel libro è descritto come un uomo dotato di un incredibile fascino, direttamente proporzionale al suo lato oscuro e violento ottimamente interpretato dall’attore che ben esprime questa caratteristica.
Sul fascino nulla da dire, nel senso che non esiste, pertanto non se ne può parlare. Un po’ come per la bellezza angelica di Marlena.
Ma gli stereotipi scorrono comunque e, arrivati verso la fine, la maestria hollywoodiana non manca di colpire con una sequenza dinamica e di impatto che vede il serraglio impazzito decretare il fallimento del Circo Benzini, tanto spettacolare dall’essere paragonato nella finzione della storia al disastro di Hartford. Anche quello un’altra storia, solo del tutto vera.
A seguire un tranquillo lieto fine condito da immagini e filmini tratti dall’album di famiglia, una famiglia sui generis come potrebbe esserlo quella composta da genitori, cinque figli, sette cavalli e un elefante.
Per un paio d’ore si vedono un bel po’ di cose già viste e già fatte, inframmezzate da momenti divertenti e anche di pathos, tutto condito da una perfetta ricostruzione filologica. Ma, come spesso succede, tra libro e film è molto facile operare una scelta.
Stefania Ciocca