Martedi 1 marzo, ore 21: un giorno e un’ora da segnare, come dicevano gli antichi, con una pietra più bianca delle altre. Perché andava in onda “Dixit”, e parlava di circo, e ne parlava non con le consuete sbrodolaggini di chi di circo non sa nulla ma di chi inserisce il fenomeno in un ben preciso contesto storico. In questo caso, il circo che ha nome Darix Togni chiamato a raccontare se stesso ma anche un pezzo di storia d’Italia in quello squarcio di tempo che va dalla fine del periodo bellico sino ai primi anni di un Paese finalmente pacificato, pur se attraversato da numerosi travagli economici e politici. Di quegli anni e di quegli eventi la famiglia Togni non è testimone puramente passiva perché già pervasa, allora, da un senso di partecipazione politica che si evidenzierà con il procedere dei decenni quando Livio, il figlio maggiore della famiglia, si impegnerà in una militanza che lo condurrà fino alla carica di senatore in rappresentanza di un partito di estrema sinistra.
La testimonianza circense di quegli anni è un continuo confrontarsi, appunto, fra il circo e l’età in cui il circo è chiamato a esprimersi come tale. Grande responsabilità, la sua. Perché l’Italia è stremata, è avvilita, e il circo italiano, che in quella fase ha la sua bandiera di riferimento nel circo dei Togni ancora raggrumati in una sola famiglia, è chiamato al non facile compito di resuscitare spiriti sopiti verso aperture di divertimento nel senso più sano del termine. Divertimento in libertà dopo quasi aver dimenticato quella parola; divertimento perché, vivaddio, qualcuno c’è che sculaccia un leone e possiamo riderci sopra. Darix sembra inventato, per questo ruolo. Esprime audacia ma senza albagia. Si muove fra tigri e leoni con l’aria di chi in gabbia comanda lui ma alla fine la lezione che resta dentro gli spettatori è che non c’è più nessuna guerra, né in gabbia né fuori, perché si è voltato pagina e ci si può finalmente divertire tutti insieme.
Una delizia lo scorrere sul teleschermo delle immagini dei Togni di altre età. Si vede un bambino che, con forza, declama a un microfono di allora che da grande domerà i cavalli: e quel bambino è Flavio Togni, che da grande domerà cavalli, domerà elefanti e domerà anche le giurie di Montecarlo. Ma molto mi è piaciuta, fra le tante, anche una testimonianza di Leda Togni. Re Faruk, ricordava, aveva ospitato uno spettacolo del Circo Darix Togni e tanto l’aveva apprezzato da far allestire in onore degli artisti uno dei suoi banchetti da favoloso Oriente. Ma a tavola, accanto a una sorella di Leda, aveva manifestato anche uno dei non insoliti vizietti dei sultani del favoloso Oriente allungando le mani più del dovuto. La risposta era stata una botta significativa sul braccio che lo aveva lasciato sbalordito. Non sapeva che le donne del circo, e in special modo in casa Togni, non erano tipi da trastullo orientale.
Impeccabile il livello degli interventi in trasmissione, tutti fatti da gente esperta. Costretto, con una pistola alla tempia, a segnalarne uno solo, dirò che molto mi è piaciuto quello di Mario Verdone, che non per caso mi è rimasto nella memoria come immagine di viva simpatia. Molto mi è piaciuto quando ha parlato dell’approccio di Darix Togni al circo come gesto da valutare anche sotto un profilo “culturale”. Grazie, caro studioso che non sei più fra noi. Tu non sai quale sollievo sia vedere usare quella parola, “cultura”, così malspesa quando si esaltano libri e spettacoli che non valgono niente e così avaramente impiegata quando si parla di ciò che avviene sotto lo chapiteau. Io c’ero, in quella Milano del dopoguerra che recuperava le sue forze anche grazie all’incoraggiamento di vitalità e allegria che proveniva dai Togni raccolti sotto quella tenda. E dico grazie a “Dixit” che, per un’ora, mi ha fatto rivivere quella storia che solo gli ignari possono chiamare storia minore.
Ruggero Leonardi