Quest’intervista è parte del progetto Il circo italiano a Monte Carlo, che racconta i vincitori tricolore della più importante manifestazione circense al mondo. Scopri tutti i video, gli articoli e le interviste.
di Alessandro Serena
Nel 1987 finalmente arriva il primo Clown d’Oro per l’Italia che fu anche il primo per una performance di felini. Dopo anni di sfide e delusioni, tocca a Giuseppe Nones, che per l’occasione prese il nomignolo di Massimiliano, alzare al cielo la prestigiosa statuetta. Con un numero di 12 tigri, la cui produzione era stata ideata dal fratello Walter e rodata al Circo della leggendaria Moira Orfei, del cui spettacolo costituì l’attrazione principale per molti anni a venire.
Giuseppe, come nasce l’amore per i felini?
Ho avuto la fortuna di arrivare a maturità in un ambiente straordinario, il Circo di Moira Orfei degli anni ’70, uno dei complessi di maggiore successo dell’epoca, ricco di fermento creativo. I miei fratelli Walter e Guglielmo, con mia sorella Loredana erano stati ottimi acrobati e avevano preferito che io studiassi per potermi occupare della parte amministrativa dell’impresa. Cosa che feci fino ai 17 anni, poi ad una
domanda precisa di Walter scelsi il richiamo della pista ed in particolare quello degli animali. Ma arrivai ai felini gradualmente. Iniziai infatti con il numero dei poni, prendendo il posto di mia sorella Loredana, sempre più coinvolta nella logistica. Poi passai ai cavalli, di seguito agli elefanti e solo dopo essermi fatto una formazione completa ai felini. A quei tempi avevamo un serraglio impressionante ed eravamo seguiti da etologi, veterinari e ammaestratori di primo livello. Ci voleva tempo per apprendere le nozioni necessarie. Cominciai con un semplice numero di quattro tigri nel 1972, nonostante Walter avesse un po’ di timore. Passai poi a mandare i leoni di mio fratello e poi alle tigri. Segnando il mio destino.
Come preparaste il numero che poi vinse a Monte Carlo?
L’addestramento di quelle tigri iniziò negli anni ‘80, quando eravamo in un costante lavoro sul miglioramento dello spettacolo. Con Walter chiedemmo la collaborazione dell’ammaestratore olandese Jean Michon, un veterano, e progettammo una vera e propria attrazione. L’obbiettivo era formare un gruppo di 12 tigri di diversa provenienza (bengala, sumatra, siberia) impegnate in alcuni fra gli esercizi più spettacolari del genere ed altri del tutto innovativi. Come la salita con l’altalena, nel quale la tigre veniva su con l’addestratore fino a sette metri e in alto, dondolando, di fatto usciva da sopra la gabbia. O il giro di pista con la moto, con due esemplari, uno dietro le spalle del domatore ed uno sul sidecar che facevano le fusa. Il tutto sempre con un approccio basato sulla dolcezza e il rispetto per gli animali. Ci vollero anni.
Poi arrivò il giorno della convocazione.
Ricordo che venimmo inviati già nel 1985, ma preferimmo aspettare di raggiungere un livello adeguato all’evento e accettammo di partecipare nel 1987. Quando arrivò il momento eravamo molto emozionati. Il circo stava trascorrendo le feste natalizie a Napoli. Avevamo preparato tutto al meglio, realizzato costumi e attrezzi nuovi molto curati. E soprattutto dei trasporti per gli animali che una volta arrivati in piazza si aprivano idraulicamente triplicando lo spazio a disposizione per garantire maggior comfort. Fra trasporto felini, attrezzi e alloggi viaggianti viaggiavamo con quattro camion a rimorchio di circa 25 metri. Dei motociclisti della polizia monegasca vennero ad aspettarci all’uscita dell’autostrada per scortarci fino allo chapiteaux, dove trovammo ad aspettarci anche una delegazione del club francese di amici del circo che ci accolse con molto calore. Partecipare ad un evento del genere è molto impegnativo. I nostri animali non avevano mai lavorato fuori dal nostro circo. Furono bravissimi ad abituarsi in tempi brevi al nuovo ambiente, ai nuovi odori, ad un tendone più grande e con più spettatori. Bisogna dire che il Festival è molto organizzato. I numeri con animali sono quelli che arrivano per primi e che hanno più tempo a disposizione per le prove. Inoltre c’era uno staff di altissimo livello della famiglia Togni. Con Andrea, Daniele e Tommy Cardarelli. Avevamo anche l’aiuto del maestro Osvaldo Camahue Pugliese, che aveva composto musiche originali e aiutava il direttore d’orchestra nella conduzione.
L’incontro con Monsignore.
Il Principe Ranieri, era un grande appassionato di circo e di animali. Veniva spesso dietro le quinte per vedere quando davamo da mangiare alle fiere, le pulivamo, le coccolavamo. Avevo capito che apprezzava le maniere che utilizzavamo con i nostri compagni di lavoro. Mi chiese della provenienza dei nostri belli esemplari, saputo che alcuni di essi venivano dallo zoo del Frejus, fece qualche calcolo sugli anni e disse che con ogni probabilità erano figlie di una coppia di maschio e femmina che lui stesso aveva donato a quello zoo qualche tempo addietro. Scoprire questo legame inaspettato fu entusiasmante e confermò una volta di più il rapporto di amore di Monsignore con il nostro mondo. Il successo fu notevole. Andò tutto molto bene, le tigri erano tranquille e lavoravano in armonia, la sequenza di esercizi funzionò in maniera fluida. L’esito sugli spettatori fu incredibile, anche considerando che si tratta sempre di intenditori. Ricordo
che una sera venni chiamato fuori sei volte per gli applausi che non finivano mai. Un’emozione incredibile,
fra le più grandi della mia vita. Poi ricevere la statuetta dorata dalle mani di Monsignore fu un sogno.
Che impatto ebbe sulla carriera?
Vincere il Clown d’Oro fu una soddisfazione immensa, non solo per me, ma per tutta la mia famiglia e per il settore, fu il primo Oro per l’Italia. Ma in realtà non cambiò molto la mia carriera. Subito dopo la premiazione, ancora nel Principato, ricevetti alcune proposte importanti. Una dal noto Eduardo Murillo per lavorare al Circus Circus di Las Vegas ed un’altra dal Circo Kinoshita in Giappone. Ne parlai con mio fratello Walter che disse: “Abbiamo lavorato tanto per fare qualcosa di speciale, teniamolo per il nostro circo”.
Monte Carlo resta un punto di riferimento.
Certo. Ogni anno si aspetta con curiosità di conoscere il cast e poi di seguire le performance e di commentare gli sviluppi dell’arte circense. Inoltre io ho avuto occasione di tornare al Festival nel 2016 per il quarantennale. Visto che nella storia solo tre ammaestratori di felini hanno vinto l’Oro, Urs Pilz, ora principale demiurgo dell’evento, ebbe l’idea di farci esibire insieme. Io, il russo Nikolai Pavlenko e l’inglese Martin Lacey Jr. con gli animali di quest’ultimo. Ci chiamavano “I tre tenori”, in omaggio a Carreras, Domingo e Pavarotti. Un’altra grande emozione.
L’importanza di essere il primo.
Sono contento di essere stato il primo Oro, ma in realtà non ho fatto altro che aprire simbolicamente una strada, poi seguita da tanti altri compatrioti che si sono distinti al Festival. Ancora di più se in qualche modo il mio lavoro ha ispirato le nuove generazioni. Sicuro è successo con mio nipote Stefano, che ha partecipato con animali esotici, alta scuola e anche tigri sempre con ottimo esito. Tanto più che di recente è sempre più difficile lavorare con animali, per questo ammiro molto il lavoro del giovane Bruno Togni, che prende insegnamenti dal padre Flavio e porta avanti la tradizione nel migliore dei modi. Perché lavorare con gli animali richiede non solo competenza tecnica, ma anche una profonda empatia e rispetto per ogni creatura.