di Alessandro Serena
Sono molte le storie di circensi che hanno avuto a che fare con una rivelazione, una illuminazione. Fra queste riveste un ruolo particolare quella di Giovanni Palmiri. Uno dei pochi italiani del periodo post-bellico il cui nome sia fuso con la leggenda. Sia per l’abilità dimostrata nell’esecuzione dei numeri, che per un gesto quasi eroico e con connotazioni mistico – religiose.

Origini spirituali
Già la discendenza, che lo accomuna ad esponenti di altre dinastie circensi ben note, ha a che
fare con la vocazione. Sembra, infatti, che il padre Angelo Palmiri (1875-1949), abbia deciso di
abbandonare gli studi religiosi per seguire una compagnia di guitti, cioè attori girovaghi con i
quali presenta recite che spesso hanno alla base un testo sacro.
È gustoso l’aneddoto de La Passione di Cristo talmente ben presentata che al termine il pubblico si
solleva contro Angelo per aver interpretato con troppo trasporto la parte di Giuda. Angelo sposa
poi Albina Ferrua (1882-1970), con la quale fonda un proprio piccolo complesso che presenta
soprattutto duetti cantati, pose plastiche e farse. Giovanni nasce il 7 giugno del 1904. Poi arrivano
Eleonora, Evelina, Ines, Savina ed Egidio. Attorno agli anni Venti si forma il Circo Olimpico che
comincia a dare una certa notorietà alla famiglia. Angelo è un buon clown con il nomignolo di
Fiacca. Giovanni si distingue per raffinatezza ed acume. Allo scoppio della Prima Guerra i Palmiri
si fermano a Milano, dove Angelo è impiegato come guardiano notturno, mentre le ore del giorno
sono dedicate alle prove.

Genesi degli apparati
Sono anni difficili quelli fra le due guerre, inoltre molti degli apparati che renderanno poi celebri i Palmiri, esistono solo nella mente di Giovanni che deve così inventarsi non solo i progetti degli attrezzi ma anche la maniera con cui procurarsi il materiale necessario alla loro realizzazione. Qui emerge una delle sue caratteristiche più importanti: lo studio di nuove attrezzature che sviluppa fino all’inverosimile, dimostrando una capacità tipica di altri innovatori delle discipline circensi di questo secolo (come Karl Wallenda, Ugo Zacchini, ma prima ancora Enrico Rastelli). Per esempio quella dei “motociclisti folli”. Si tratta di un binario circolare largo una quarantina di centimetri, sul quale corre una motocicletta Garelli argentata, facendo ruotare allo stesso tempo anche un trapezio, che permette alla sorella e alla moglie (nel frattempo Giovanni ha sposato Mafalda Colin) di eseguire spericolate evoluzioni ad un’altezza che arriverà fino a diciotto metri. Performance che dovrà tristemente porre fine alla sua vita. Qualche anno dopo, nel 1935, a Savona, Giovanni Inizia una vera e propria “scalata” al cielo cimentandosi negli equilibri sul “bambù”. Immediato obiettivo è superare gli standard di altezza dell’epoca, fissati da artisti tedeschi attorno ai quindici metri.
Dall’Arena Azzurra all’Europa
Le attrazioni aeree dei Palmiri vengono presentate all’interno dell’Arena Azzurra, fondata nei primi anni Trenta. I Palmiri sono scritturati alla fiera di Torino, dove sono notati da impresari stranieri e cominciano la loro prestigiosa carriera di artisti italiani allestero. Nel 1937 sono da Rancy, poi da Amar. L’anno successivo sono scritturati in Germania, da Barum, che resterà il loro contratto estivo di riferimento, mentre dinverno sono ingaggiati in circhi stabili e in altri complessi celebri come Bouglione, Hagenbeck, Krone o Schumann. Da segnalare che sin da subito i Palmiri hanno il nome esposto in bella vista in cartellone, quando non addirittura la loro effige riprodotta in vistosi manifesti, di solito con l’attrazione che viene considerata la più spettacolare, quella della moto. Nel 1941 sono con Jacob Busch per una lunga tournée in paesi allora controllati dai tedeschi (Belgio e Olanda). Al circo stabile di Bruxelles, il Royal, il soffitto è ad un’altezza di venticinque metri, inusuale per uno spettacolo al coperto. Giovanni Palmiri decide di sfruttare quasi tutto lo spazio fissando I’attrezzo del nuovo numero della “scala-bilancia” a ben ventidue metri.
Incidenti, guarigioni miracolose e rinascite
Nel 1942 i Palmiri sono con lo Strasburger in Olanda, con debutto nel prestigioso circo stabile di Amsterdam, il Carré, dove introducono un’altra spettacolare innovazione: la discesa dall’attrezzo effettuata scivolando sulle funi lunghe oltre venti metri, poste in maniera obliqua. Durante una discesa, Egidio perde la presa e precipita in pista facendosi scudo con le mani e fratturandosi entrambi i polsi che da allora gli rimarranno anchilosati. La Germania è anche la sede del primo incidente grave occorso a Giovanni che cade durante la presentazione della bilancia della morte. Si procura numerose fratture, la più grave alla scapola sinistra, e i medici gli diagnosticano due mesi di ospedale e l’abbandono della professione. Qui Giovanni muore per la prima volta. Nel senso che alcune testate specializzate, saputo del grave incidente, danno per errore notizia della morte, e l’artista deve affrettarsi a smentire tale affermazione con “una dichiarazione di buona salute”, da lui stesso firmata. La convalescenza viene ridotta al minimo e Giovanni torna ad esibirsi molto tempo prima di quanto preventivato e prescritto dai medici.
Il voto e l’impresa
Dagli ultimi anni 30 alla fine del grande conflitto i Palmiri si esibiscono in prevalenza all’estero. Nel 1945, però, mentre sono al Renz di Vienna, un bombardamento distrugge tutte le loro attrezzature e gran parte dei loro effetti personali. Devono quindi ricominciare daccapo, ma il momento è difficile. Già il rientro in patria è un’epopea con fasi molto delicate che inducono persino Giovanni a pronunciare un celebre voto:
“Se riuscirò a portare in salvo la mia famiglia porterò un mazzo di fiori alla Madonnina”.

In ogni caso a metà 1945 sono di nuovo in Italia e per un certo periodo ingaggiati dai Togni. Poi si rimettono in proprio e costituiscono la più grande arena mai esistita in Italia, chiamata Original Palmiri, una struttura assai complessa con al centro una pertica oscillante che supera i sessanta metri di altezza e che permette la presentazione delle incredibili attrazioni aeree dei Palmiri, alle quali si aggiunge il “bolide umano”, un salto nel vuoto di Egidio con delle funi metalliche agganciate alle caviglie. Finalmente, nell’agosto del 1947, Giovanni riesce a far fede al voto espresso in Germania. Dell’impresa è stato più volte scritto, preferiamo perciò, in questa sede, riportare quanto annunciato da un quotidiano dell’epoca, Il Corriere Lombardo, che titolava “Finalmente: brividi in piazza del Duomo”:
“A mezzogiorno di oggi, un piccolo aeroplano bianco e azzurro passa nel centro di Milano, sfiorando le guglie del Duomo. A guardarlo non saranno in molti; lo spettacolo che vedranno sarà però diverso dai soliti che il rombo di un motore annunzia, Una figura di uomo, rimpicciolita dalla distanza, sarà vista scivolare fuori dalla carlinga, lottare contro le forze naturali, raggiungere le ruote e, sospeso a corde e tiranti, volteggiare nel vuoto a duecento chilometri orari di velocità. Il protagonista di questa impresa si chiama Giovanni Palmiri ed ha 43 anni. Non è un atleta nel pieno senso di questa parola. Il suo corpo è asciutto e abbronzato, neri, con venature grigie, i capelli. Parla sempre ad alta voce: pare che si ecciti, ma non è che entusiasmo. È nato a Ponte San Pietro presso Bergamo, ma il mestiere dell’acrobata l’ha fatto cittadino del mondo.” “Per questa pericolosa esibizione é stato in pena almeno dieci giorni. Il permesso non glielo davano, nemmeno se avesse firmato diecimila dichiarazioni, con le quali assumeva tutta la responsabilità.” “Dopo laboriose discussioni con i dirigenti dell’aeroporto, presso i quali ha fatto valere la sua parola il gr. uff. Ballerio, direttore della società “Transavio” che ha messo a disposizione dell’acrobata il velivolo CA 100, una specie di permesso è stato strappato.”
Venne realizzata una prova generale: “Il “caproncino” ha fatto un paio di giri, poi l’omino nero è venuto fuori. A raggiungere il carrello ha impiegato solo qualche secondo. Sembrava una tavola a colori da settimanale: il bambino ghermito dal rapace. Il bambino però giocava tra gli artigli, capovolgendosi, lasciandosi andare testa in giù. Il volo è durato in tutto una decina di minuti: Palmiri ha ritenuto che bastasse. II resto lo farà vedere a mezzogiorno, quando apparirà su Piazza del Duomo in un costume rosso, perché tutti lo vedano, con una bandiera in pugno e lancerà fiori alla Madonnina. Ed In effetti il giorno dopo Giovanni riesce nell’impresa. Ed ecco cosa riporta un altro periodico milanese:
“Sospeso al filo della sua abilità a trecento metri dal suolo, ieri a mezzogiorno l’acrobata Palmiri è finalmente riuscito a dare spettacolo ai milanesi sopra il sagrato. Nel cielo di piombo infuocato è giunto puntualissimo il bianco-azzurro “Caproncino” a far cerchio intorno alla Madonnina. Poi d’un tratto, giù da una corda, tra le ruote, è comparso un diavolo rosso, a contorcersi nel vuoto. Sotto, la folla ha rabbrividito, nonostante il caldo del meriggio. Intanto, all’ombra della cattedrale, i compagni di lavoro dell’acrobata tenevano comizi, illustrando le virtù visibili e segrete del loro maestro.
Il pane del circo
L’impresa di Giovanni conquista la copertina dell’illustrazione del Popolo, settimanale pubblicato dalla Nuova Gazzetta del Popolo di Torino, che gli dedica una tavola ben conosciuta da addetti ai lavori ed appassionati della materia. Grazie a questo exploit, e come abbiamo visto anche all’abilità dei Palmiri nel gestire le relazioni con i media, la loro fama cresce. La troupe è scritturata alla Fiera di Zurigo dove la stampa annuncia Giovanni come: “Der Fliegende Narr”, il pazzo volante. Nel settembre del 1948 altra piazza prestigiosa, l’Arena di Verona, con repliche da tutto esaurito. Ormai il successo dei Palmiri é consolidato. Passata la stagione fredda tornano all’arena, ulteriormente migliorata, ormai con un recinto di sessanta metri per quaranta e 2500 posti a sedere, davvero un colosso nel suo genere. Il debutto del nuovo Original Palmiri è fissato per il 22 giugno a Mestre. Pochi giorni dopo, il 30 giugno, avviene la disgrazia che procura la morte di Giovanni. Un incidente banale per chi ha passato la propria vita appeso al cielo a sessanta metri di altezza. La sua Garelli ha la messa in moto a spinta e non a pedale, proprio per rendere più spettacolare linizio del numero. Giovanni prende così la rincorsa spingendo il veicolo, ma scivola, forse per colpa degli stivaletti bagnati di rugiada. Viene così scaraventato verso l’esterno e riesce a tenersi aggrappato per due o tre giri con le sole mani all’attrezzo ormai in movimento, con il corpo a sventolare nel vuoto, ad oltre sedici metri di altezza. Ma alla fine molla la presa e precipita al suolo morendo sul colpo. Giovanni ha da poco compiuto quarantacinque anni. Un particolare inquietante: sembra che la moto sia rimasta a girare sola sul binario sino a notte fonda e all’esaurimento del carburante. L’accaduto produce una vasta eco sulla stampa dell’epoca e soprattutto nell’ambiente del circo, fra coloro che avevano imparato a stimare l’uomo e l’artista. Rimangono impresse le scarne parole pronunciate da Ercole Togni il giorno del funerale:
“Quello del Circo è un pane duro e tu, Giovanni, lo hai
mangiato fino in fondo”.

La storia della famiglia Palmiri, prosegue fra ulteriori incidenti e successive affermazioni, fra le quali quella di Egidio che, tra le altre cose, fonderà l’Accademia d’Arte Circense di Verona ai cui allievi fornirà sempre la possibilità di avere supporto religioso, forse memore delle vicissitudini della sua famiglia. Di certo rimane imperitura l’immagine di Giovanni che, dal cielo, porta i fiori alla Madonnina, grato per averli dato in dono la dote più bella per un artista di circo, quella di far restare il pubblico a bocca aperta e con lo sguardo
all’insù.
L’articolo completo è apparso sul numero di Circo, giugno 1999
