Nel 1917, a soli 16 anni, Marino si iscrive all’Accademia di Belle Arti di Firenze, da questo momento non abbandonerà più l’ambito accademico, dapprima come studente e successivamente come insegnante, grazie ad una carriera avviata nel 1929 alla scuola d’arte di Villa Reale a Monza (dove succede ad Arturo Martini alla cattedra di scultura), e proseguita nelle Accademie di Torino e di Brera a Milano. Quasi nei medesimi anni iniziano le partecipazioni alle maggiori esposizioni nazionali ed internazionali, e contemporaneamente i viaggi all’estero, prima tappa fra tutte Parigi. Nella capitale francese Marini tornerà spesso ritrovando gli amici di sempre, Campigli, De Chirico e Severini, e incontrando le nuove personalità del panorama artistico, Braque, Kandiskij Picasso, Tanguy. Con l’accrescersi dei riconoscimenti e della fama si incrementeranno i viaggi all’estero, la Germania e la Svizzera saranno visitate più volte, mentre parallelamente all’aumento della produzione pittorica aumenteranno le esposizioni intercontinentali, negli Stati Uniti e perfino in Giappone negli ultimi anni della sua vita. I meriti non mancheranno neppure a livello nazionale, nel 1973 verrà inaugurato il Museo “Marino Marini” all’interno della Galleria d’Arte Moderna di Milano, e nel 1979 aprirà al pubblico a Pistoia l’omonimo Centro di Documentazione, ricco di materiale documentario e di numerose opere scultoree.
Tuttavia è solo nel 1934 che durante un viaggio in Germania si forma l’idea chiave dell’opera di Marini: visitando la cattedrale di Bamberga l’artista ha modo di ammirare la statua equestre di Enrico II, il cavaliere si impressiona nella sua memoria come un’istantanea, e due anni dopo inizierà l’omonima serie. I cavalieri non sono ricordi d’infanzia, ma uomini in fuga, angosce tattili frutto del clima precedente e successivo alla tragedia della Seconda Guerra Mondiale. Nel dramma di queste figure si vede spezzarsi il rapporto con la natura; ciò che ancora oggi rimane nel circo (incontro, condivisione, confronto con l’animale) è per Marini un’armonia andata perduta. Nei bronzi, negli inchiostri acquerellati e nelle tempere, la drammaticità del messaggio stride con la semplicità delle forme e l’essenzialità dei colori. Ci è permesso d’entrare all’interno di un equilibrio nel momento stesso in cui questo si perde, mentre va in pezzi la sinfonia di un acrobata con il suo destriero, della realtà con i suoi sogni, di un mondo con i suoi ideali. Su tutta l’opera di Marini cala il velo del conflitto mondiale, e anche a distanza d’anni, quando tutta la ferocia di suoni e colori sarà lontana, questi soggetti recheranno sempre in sé la tragica consapevolezza di ciò che è stato, rispecchiandosi anche nelle Composizioni di elementi nate nella metà degli anni Sessanta.
Ogni opera di Marino Marini non è dunque da considerarsi in sé ma è un richiamo, ad altre immagini di una vita vissuta, e ad altre forme di una vita realizzata. Ricordi e vite che hanno suscitato emozioni ed idee, sentimenti e pensieri che hanno dato origine a figure ed opere.
Emanuela Morganti